Caffe' Europa

 

 

La versione testuale del comunicato integrale delle Br

Caffe' Europa

 

(pag. 3)

Una legge con la quale si intende affiancare il processo di privatizzazione e liberalizzazione in corso, di settori, soprattutto come quello dei trasporti, e più in generale di quelli che abbiano una funzione infrastrutturale. Processo di privatizzazione e liberalizzazione che, oltre ad esercitare la funzione di abbattere i costi nel trasporto delle merci, può svolgere un ruolo importante nelle politiche U.E. di sostegno alla concorrenza del capitale monopolistico europeo, sia in generale per il ruolo del trasporto delle merci nell'attuale sistema di produzione incentrato sulla segmentazione e delocalizzazione del ciclo, e nelle attuali dimensioni dei mercati, sia, in specifico, per la funzione di traino che i settori infrastrutturali possono svolgere nell'investimento di capitali. La nuova legge dovrebbe servire a superare quei limiti dimostrati dalla 146, soprattutto nell'effettiva comminazione delle sanzioni, affinchè funzioni da fattore di contenimento e prevenzione del conflitto in settori in cui, avendo i lavoratori una forza contrattuale potenziale superiore, costituiscono poli di attrazione oggettivamente rischiosi per la governabilità. Nello scontro politico generale entro cui, secondo le intenzioni della borghesia e del suo Stato si dovrà pervenire a ridimensionare, in modo drastico, lo sciopero in quanto diritto, l'aggressione Nato alla Jugoslavia ha costituito, per il sindacato confederale, Cgil in testa, l'occasione per cercare di sfruttare le contraddizioni, presenti in seno alla classe in questa fase, tramite l'invito rivolto ai settori che avevano annunciato azioni di lotta a rinunciare a realizzarle, e la promozione di attivazioni solidaridastiche e di pronunciamenti, per capitalizzare sia un atto di lealismo nei confronti dello Stato in guerra che la subordinazione degli interessi del proletariato a supposti superiori interessi "dell'umanità", più concretamente della borghesia imperialista e concorrenziale che trae vantaggio sia dall'assoggettamento della Jugoslavia che dalla subordinazione del proletariato nazionale. Con ciò ha cercato di realizzare il duplice obiettivo di affermare la subordinabilità della lotta ad altre istanze e di incanalare la posizione dei lavoratori, ad esprimere un consenso all'intervento dello Stato. La linea seguita dalla Cgil, nell'aggressione Nato alla Jugoslavia, è stata quella di fare assumere con gesti concreti una posizione ai lavoratori italiani, nella polarizzazione del conflitto tra Jugoslavia e secessionismo kosovaro-imperialismo Nato, per sfruttare ogni minima possibilità di attiva legittimazione dell'intervento bellico, che viene qualificato dal suo segretario Cofferati, come una "necessità contingente", in una posizione più generale che preme il governo italiano e che, rivendicando una funzione attiva dell'Europa nell'area balcanica, chiede che l'Europa stessa si attrezzi politicamente, istituzionalmente e militarmente a svolgerla congiuntamente agli Usa. Posizione che se ha dato bene il polso di quanto il sindacato si attesti in una posizione di prima linea antiproletaria anche su questo piano, non ha trovato spazio nella classe, la cui situazione difensiva non è equivocabile con una disponibilità a farsi strumento della propria oppressione.

L'adozione di una normativa che ridimensioni il diritto di sciopero, è strettamente connessa alla definizione in via di legge delle regole della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, affinchè le sanzioni siano applicabili come strumento reale di prevenzione del conflitto e non finiscano per renderla debole, come sarebbe possibile se la condivisione politica di questo passaggio da parte del complesso dei lavoratori o la criminalizzazione delle azioni di lotta operate dall'interno stesso della classe e quindi come sua propria contraddizione, apparisse debole e incerta, a causa della inattendibilità degli strumenti formali di verifica dell'entità di una forza sociale quella del sindacato confederale, che non si manifesta esercitandosi in azioni di lotta, e che deve sostenere questo ruolo imprescindibile di quinta colonna dello Stato e della borghesia nei luoghi di lavoro.

La definizione del quadro delle norme sulla "rappresentanza sindacale dei lavoratori", con le necessarie modifiche al testo in discussione in parlamento, è a sua volta anche la base su cui quest'Esecutivo intende sciogliere il nodo della struttura della contrattazione, affinchè la contrattazione aziendale o locale, possa assumere il peso che gli si vuole dare in modo che il salario, e le condizioni di impiego della forza-lavoro, nel quadro delle compatibilità macroeconomiche, siano strettamente legati agli obiettivi e alle sorti del capitale (qualità, produttività, redditività). Nodo che va sciolto in modo tale che sia certa la complementarietà tra il merito della contrattazione centrale e quello della contrattazione aziendale, tra il ruolo della rappresentanza associativa (e storicamente in massima parte confederale) e quello della rappresentanza nei luoghi di lavoro, nell'intreccio e subordinazione del secondo al primo, affinchè siano rese solide le basi di un sistema di relazioni industriali fondato sulla dipendenza della variabile forza-lavoro al capitale come principio, e sulla politica neo-corporativa come quadro generale del governo delle contraddizioni sociali e di classe. Nodi questi che Massimo D'Antona ha affrontato con l'organicità politica che sintetizza il legame tra la maggioranza politica e sindacato confederale, che gli ha fatto svolgere un ruolo di perno nell'equilibrio politico dominante e gli ha valso un incarico decisivo. Nella sfera delle responsabilità del soggetto, per il ruolo che il Ministero del Lavoro è approdato a svolgere e intende svolgere nella ristrutturazione e riforma economico-sociale, si collocano anche materie come la flessibilizzazione e l'incentivazione del part-time, come strumento per spalmare la precarizzazione del lavoro, per superare lo strumento del prepensionamento, e affrontare il nodo delle pensioni d'anzianità. L'attacco alle conquiste storiche della classe, come presupposto di una subordinazione strutturale della forza-lavoro al capitale, viene cinicamente giustificato, con ragioni di equità e tutela sociale, per quelle componenti di salariati arrivate di recente sul mercato del lavoro e più precarie. La spinta alla trasformazione del vecchio quadro normativo, quadro a cui queste componenti sono parzialmente sottratte attraverso l'impiego di forme contrattuali e giuridiche specifiche, è stata canalizzata e focalizzata, nell'operato di Massimo D'Antona, verso una politica neo-



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