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Il nomade teatrante



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Moni Ovadia è nato a Plovdiv, in Bulgaria, nel 1946 da una famiglia ebraica. Nel 1993 si impone al grande pubblico con Oylem Goylem, sorta di teatro musicale in forma di cabaret, il cui testo è stato pubblicato nel 1998 nei «Miti» Mondadori. Nel 1995 dà vita a Dybbuk (scritto con Mara Cantoni), spettacolo sull'Olocausto. Tra le sue altre opere teatrali ricordiamo Ballata di fine millennio, Perché no?, Il caso Kafka, e i recentissimi Speriamo che tenga (Mondadori) e L'ebreo che ride (Einaudi).

Occhi azzurri, capelli lunghi e grigi raccolti e coperti dallo zuccotto bianco e grigio-azzurro, voce roca con un accento cosmopolita che testimonia la sua identità di "ebreo nomade", come dice lui, o ger, in ebraico, cioé straniero in continuo viaggio tra le terre natie bulgare, la città di residenza - Milano - e le terre d’adozione: la Sicilia, Israele, New York…

Moni Ovadia spiega ciò che pensa raccontando aneddoti o storielle e recitando poesie con un’ammirevole capacità affabulatoria, proprio come nei suoi spettacoli teatrali, nei quali racconta il millenario e “corrosivo” mondo ebraico. In ogni sua parola è evidente l’orgoglio di essere ebreo; non giustifica nulla e nessuno, ma difende l’ebraismo come ethos, o quantomeno cerca di spiegarne le ragioni.

Innanzi tutto una curiosità: che cosa significa Moni Ovadia?

Moni è il diminutivo col quale mi chiamava mia madre: il mio nome per intero è Salomone Ovadia, come il nome arabo Suleiman Abdallah, che significa "portatore di pace e servo di Dio". Un bell’impegno. Tra l’altro col mio nome, Benigni e Bartezzaghi hanno trovato tre o quattro onomanzie, o anagrammi del nome, con Dio: animavo Dio, ama o Divino, amavo in Dio.

Che cos’è l’ebraismo?

Un pagano un giorno chiese a un maestro: “Che cos’è l’ebraismo, maestro? Però me lo devi dire mentre ti reggi su un piede solo” Il maestro si alzò su un piede e disse: “Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questo è l’ebraismo, tutto il resto è un lungo commentario. Adesso vai a studiare”. L’ebraismo è la costruzione della fratellanza universale. La preghiera è una relazione col mondo, tanto è vero che se c’è sospetto di pericolo per la vita di un ebreo o anche di un uomo qualsiasi, di sabato, si trasgredisce qualsiasi precetto, per salvare quella vita umana.

Qual è lo scopo dei precetti?

E’ scritto nella Torah: “Vivrai in essi”. Lo scopo dei precetti è uno e unico: santificare la vita umana. L’ebreo santifica ogni gesto quotidiano con benedizioni e preghiere, anche per fare pipì: “Benedetto, tu o Signore che hai creato gli orifizi”. Solo due precetti non possono essere mai trasgrediti, anche se c’è pericolo per una vita umana: non commettere l’omicidio o l’incesto, che è una struttura necrofora che impedisce la socialità e non crea futuro, anzi porta la morte sociale, quando invece Abramo è il costruttore della socialità universale

E i precetti alimentari?

Alla base di tutti i precetti alimentari ebraici c’è: “Non cucinerai la carne del capretto nel latte di sua madre” Qualcuno lo spiega per motivi d’igiene. Gli ebrei hanno esteso questo principio al non mangiare la carne insieme al latte, neanche quella di pollo, che non fa latte. L’interpretazione più banale è che la carne nasce come alimento procurando morte, invece il latte esiste quando c’è trasmissione di vita. Dunque il precetto serve a non contaminare fra loro vita e morte. Ma se vogliamo una spiegazione più sofisticata si pensi che la femmina gravida nutre il piccolo e la carne del piccolo cresce. La vita va dal latte alla carne in crescita: quando si cucina della carne in un liquido la si riduce, allora non si può ridurre la carne nel latte perché è un processo invertito, necrofilo, è una forma di cannibalismo mentale. Per questo se hai bevuto latte puoi mangiare carne dopo mezz’ora ma se hai mangiato la carne devi aspettare almeno tre ore prima di poter bere latte.

In tutto questo quadro, Moni Ovadia come si definisce?

Un ebreo di origine bulgara, non ortodosso, di formazione marxista, vegetariano e soprattutto con un’identità di nomade. Sono cresciuto per la strada, col cinema neo-realista italiano, e devo molto della mia formazione teatrale alle lingue di popolo e all’umorismo italiano: Gilberto Govi, Totò, Walter Chiari. Per il resto non m’interessa che cosa fanno gli altri ebrei, nel senso che ogni ebreo risponde direttamente per sé, come avviene nel giorno del Kippur, il giorno della santità e della espiazione. Spesso vivo fuori della comunità, e cerco di raccontare la cultura ebraica anche attraverso gli stimoli, le informazioni e il linguaggio che provengono dalla cultura italiana.


Perché nomade?

Perché l’identità ebraica è nomade. Dio dice all’ebreo: “La terra è mia. Tu vi abiterai come soggiornante”. In ebraico la parola che indica “soggiornante”, è la stessa che indica “straniero”.Dunque Dio ribadisce che davanti a Lui siamo tutti stranieri, per cui c’è un solo modo di vivere in pace su questa terra: da straniero fra gli stranieri. Non c’è cancro peggiore del nazionalismo, dell’attaccamento alla terra che ti fa scambiare l’amore che devi alla terra perché è santa con il concetto di proprietà. Bisogna capire che la terra non è nostra, e che da questo derivano la pari dignità di tutti gli uomini, l’uguaglianza e il fatto di diventare tutti minoranza, quindi non pretendere di avere diritti di maggioranza. Lo statuto di essere umano è uguale dovunque. Io abolirei illico et immediate lo ius sanguinis per affermare lo ius soli, per stare in un posto in attesa che si aboliscano le frontiere.

In tutto questo qual è il compito individuale degli ebrei?

Innanzitutto studiare e cercare continuamente, non fermarsi mai, essere in permanente movimento. La stanzialità nell’ebraismo è idolatria. L’uomo deve camminare, come scrive Kostantinos Kavafis in “Itaca”:“Quando ti metterai in cammino per Itaca, augurati che il viaggio sia lungo, pieno di avventure, di peripezie, …. Augurati che il viaggio sia lungo, …impara. Tieni sempre a mente Itaca ma non affrettare il tuo arrivo è meglio che tu ci arrivi da vecchio, ricco come sarai di tutte le esperienze che hai fatto durante il cammino; … e se quando arriverai ad Itaca, la troverai pietrosa spoglia e povera, non per questo Itaca ti avrà deluso: senza di lei non ti saresti mai messo in cammino, e ricco come sarai di tutte le esperienze fatte finalmente capirai cosa vogliono dire le Itache”. E’ il viaggio che conta, perché il punto di arrivo è uguale per tutti. Ecco perché bisogna essere nomade: il viaggio viene trasmesso alle generazioni future che vanno in cammino. La stanzialità, il nazionalismo, l’ipertrofia del proprio ego sono invece forme di necrosi.

Quali sono le peculiarità degli ebrei?

Il pensiero fondante di tutta l’umanità, il concetto di libertà, di essere umano, e quello di progresso sono concetti ebraici. L’unico uomo che ha fatto qualcosa di veramente nuovo nella storia dell’umanità è Abramo, tutto il resto viene dopo di lui. Gli ebrei hanno fondato l’idea di uguaglianza dell’uomo, di pari dignità, di libertà come valore assoluto. Chi si redime dalla schiavitù, chi dice gli uomini non devono essere schiavi? E la redenzione ebraica è per tutta l’umanità, perché è detto nella Torah ad Abramo: “In te si benediranno tutte le famiglie della terra”. Gli ebrei hanno inventato il sabato che, per dirla con Marx, è l’uscita dall’alienazione. La dimensione del sabato è il massimo splendore dell’ebraismo, secondo me: il sabato l’uomo non produce e non consuma, perché l’essere umano non è stato creato per essere servo dell’economia. Si festeggia dove ti trovi, quindi non è su base territoriale, ma extraterritoriale, e nel fuso orario in cui ti trovi, quindi è extra-temporale. Di Shabbath tutti riposano: il libero professionista, il dipendente, all’epoca anche gli schiavi, anche gli animali e la terra. E’ la dichiarazione della pari dignità degli esseri umani, perché di sabato tutti i tuoi averi e i tuoi beni non hanno più importanza.

Che cos'è il Messianesimo ebraico?

Il Messianesimo ebraico è il sabato tutti i giorni, cioè l’uguaglianza e la pari dignità degli uomini. Un grande maestro mi ha detto: il messianesimo ebraico è la giustizia sociale. Da dove viene l’idea che è più importante occuparsi degli oppressi e dei poveri, invece che stare lì a flettersi nelle preghiere? Da Isaia. Attraverso la bocca del profeta, la voce di Dio dice: “Mi fanno schifo le vostre preghiere, mi ripugnano i vostri sacrifici, i vostri incensi mi danno alla nausea; soccorrete l’orfano, proteggete la vedova, rialzate l’oppresso". Da dove viene il concetto di rivoluzione dal basso? Da Mosè. Robert Walser ha scritto un libro molto interessante, “Esodo e rivoluzione”, in cui c’è già tutto il leninismo, se si vuole. Da dove viene l’idea che l’elezione non è dall’alto ma dal basso? Un popolo di schiavi si dichiara eletto. Questo vuol dire aver capito che cos’è la liberazione dell’uomo, e che solo dal basso può partire. Gli schiavi, redimendo se stessi, redimono tutta l’umanità. Quest’idea ha camminato molto nel corso dei millenni. L’ebreo Gesù ha detto:”Beati gli ultimi che saranno i primi”. Non era una novità, era perfettamente inserito nella linea ebraica. Mohammed, (l’altro discendente di Abramo, Maometto) dice: “I beduini del deserto redimeranno il mondo”. Anche loro sono senza arte né parte, uomini che non hanno nazione né terra. Da ultimo, Marx: "La classe operaia reietta e sfruttata si sollevi e riscatti".

E poi se ragioniamo bene, essendo gli ebrei fondatori dell’idea di patto, avendo fatto un patto con Dio alla pari, sono anche i fondatori dell’idea di patto sociale, quindi di democrazia. Perché i tiranni hanno sempre odiato gli ebrei attraverso i millenni? Perché l’ebreo è l’antagonista della tirannia. Durante tutte le Pasque, quando si celebra la festa della Liberazione, l’ebreo dice: “Siccome siamo di Dio (l’etica), non siamo servi di nessun tiranno, né oggi, né domani, né mai”. Allora certamente un imbianchino austriaco con aspirazione da faraone non poteva che avere a morte e in odio gli Ebrei, altro che giustificazioni di ordine fisico ed economico: “Hanno nasi troppo grossi, sono troppo ricchi".

La stessa cosa è capitata a Stalin. Kruscev dice: “L’antisemitismo crebbe come un cancro nel cervello di Stalin”. Lo Stato per la minoranza ebraica era in realtà un’idea di Gulag collettivo per gli ebrei, perché c’erano molti rivoluzionari ebrei che fecero la rivoluzione bolscevica. Se volessimo essere un po’ paradossali ed estremisti potremmo dire che gli animatori della rivoluzione bolscevica sono stati gli ebrei: Trotskij, Radek, lo stesso Lenin erano di linea matrilineare ebraica. Il profetismo messianico, la giustizia sociale, l’uguaglianza tra gli uomini, la fine della divisione in classi sociali sono tutti concetti ebraici; e tutti questi rivoluzionari sono stati mandati a morte da Stalin, il seminarista georgiano, l’ultimo zar delle grandi Russie.

“Kadosh”, il film del regista israeliano Amos Gitai, ha mostrato al mondo un ebraismo integralista e sotto certi aspetti poco rispettoso dell’altro, soprattutto della donna…

Essendo israeliano, Gitai ha fatto bene a girare quel film . Non si può negare l’esistenza di quel tipo di ebrei ortodossi in Israele, ma è bene sapere che costituiscono solo una frangia. “Kadosh” descrive una realtà precisa e limitata e gli ortodossi non sono tutti così. Kadosh significa Santo. Dio dice: “Sarete santi perché io sono Santo”. Nel film questo termine così importante è usato polemicamente nei confronti di queste frange ultraortodosse che tentano di allargarsi, ma che secondo me non avranno né futuro, né spazio.

Perché si diventa integralisti?

Perché si può fare un idolo della Torah, si entra in sinagoga e si studia talmente tanto che si dimentica che la Torah è per gli esseri umani. Gli integralisti dicono: "Se tu soffri, in qualche modo sei colpevole", e sono idolatri, perché hanno scambiato il fine per il mezzo. La preghiera è il mezzo, il fine è la costruzione della fratellanza universale. Del resto il libro di Giobbe ha chiuso il discorso con questi baciapile: quando Giobbe soffre e bestemmia, i baciapile lo accusano di aver peccato, e Giobbe rifiuta questa lettura. Dio scende a parlare con Giobbe e gli dà ragione. L'integralismo è una deriva dell'ebraismo. Il problema è che l’ebraismo è lì per gli ebrei e loro ne sono responsabili.

Allo stesso tempo bisogna pensare che sei milioni di morti, di cui un milione e mezzo di bambini, sono stati un brutto colpo per gli ebrei: alcuni hanno perso un po’ la testa, che ritroveranno, anche perché non c’è speranza che possano continuare a fare gli integralisti, poiché gli ebrei sono particolarmente litigiosi proprio per amore della democrazia, del discutere di tutto. Bisogna essere cauti nel giudicare gli integralisti, bisogna conoscerli e ascoltarli: è gente con un apparato di pensiero da far tremare le gambe. I rabbini super intransigenti, per esempio, si lamentano dell’educazione relativista e permissiva che l’Occidente dà ai suoi figli. Secondo loro, il bambino riceve l’educazione nel ventre materno, dove si forma la sua personalità, e l’adulto occidentale invece non vuole più essere responsabile dell'educazione dei figli.

Sta giustificando i super ortodossi?

Io non giustifico nessuno, non sarò mai per la violenza, però non giudichiamo prima di sapere, e non crediamoci i più avanzati. Non è l’intera ortodossia ebraica ad essere fanatica e integralista, è il singolo ortodosso fanatico ad essere un mascalzone. Se dico che un avvocato di una buona famiglia italiana è un pedofilo, non significa che tutte le buone famiglie italiane siano composte di pedofili, o che siano pedofili tutti gli avvocati. E’ l’uomo responsabile delle sue azioni, non l’ortodossia.

Lei ha detto che gli ebrei sono un popolo litigioso. Ha qualche storia da raccontarci al riguardo?

C’era un naufrago ebreo che si era rifugiato su un’ isola. Dopo dieci anni viene trovato e i salvatori vedono quest’isola ben organizzata e su una collinetta due bellissime costruzioni. Il capitano della nave dice: “Che belle quelle costruzioni! Che cosa sono?” Lui risponde: “Quella di sinistra è la mia sinagoga, in quella di destra non ci vado a pregare neanche se mi pagano 10000 dollari”. In altre parole, il naufrago si era costruito due sinagoghe per poter litigare con se stesso. Nessun ebreo è esente da critiche. Lo fa capire la struttura della preghiera: per pregare ci vogliono dieci maschi adulti. Se ci sono nove rabbini, i più santi, non possono estrarre il rotolo della Legge, se arriva lo scemo del villaggio a fare il decimo, sì. Questo dimostra che l’ultimo degli ebrei vale quanto nove degli altri. Nove santi rabbini non possono accedere alla Legge, dieci scemi del villaggio sì! Questo è l’ebraismo, la sua grandezza paradossale. Ma si può andare ancora più in profondità: l’ebraismo è nell’interpretazione, non nello scritto.

L’umorismo può fare da ponte tra tradizione e modernità all'interno dell'ebraismo?

Certamente. L’umorismo ebraico è auto-delatorio, spiazza la realtà, fa vedere quanto la realtà possa essere raggirata. L’umorismo servirebbe sicuramente a smorzare la tensione provocata dagli integralisti, ma credo che questi abbiano perso la capacità di autoironia. Gli ebrei sono in generale un popolo che ride e si serve dell’umorismo per elevare la santità, e per porre rimedio alla tirannia e alla violenza. Il primo vero umorista fu Abramo, che rise di cuore alla notizia di diventare padre alla sua vegliarda età. Al punto che chiamò suo figlio "Isacco", che significa: “Il sopravvissuto che riderà”.


Parliamo della condizione delle donne ebree.

La donna è estremamente tutelata nell’ebraismo, anche se ci sono forme di vessazione. La fede non è un antidoto contro psicopatologie come quella raccontata dal film “Kadosh”: un uomo che si comporta in quel modo con una donna è un depravato, che sia ebreo ortodosso o laico, e la ragione più forte è biblica. Nella Bibbia, “fare l’amore” si dice “conoscere”, perché un atto d’amore fra un uomo e una donna è un atto di conoscenza anche attraverso le fibre del corpo. Alcuni ortodossi sono dei baciapile blasfemi che, secondo me, si dovrebbero vergognare. Tutti i pensieri religiosi laici hanno debiti nei confronti delle donne. La donna è stata vessata in quanto donna, non in quanto appartenente a una religione o all’altra. Nella società occidentale è un oggetto del desiderio, ancora trattata come una schiava, e la sua immagine è calunniata.

Per capire l’importanza del ruolo della donna nell’ebraismo bisogna ricordare che è ebreo chi è di madre ebrea. Inoltre la donna è esentata dalle Mitsvot, dai precetti legati al tempo, perché nell’ebraismo il centro dell’etica ebraica è la vita, quindi la famiglia, alla quale la donna si dedica. Di conseguenza, avendo qualcosa di estremamente più importante da fare, la donna non può dedicarsi alle preghiere. L’esperienza della gravidanza è qualcosa che all’uomo è preclusa: la preghiera è vicaria e compensa l'evidente inferiorità dell’uomo. La donna è più vicina a Dio perché è generatrice, non ci potrà mai essere uguaglianza: un uomo non potrà mai generare un bambino. E’ vero però che il fatto che agli uomini spetti di pregare sia stato usato come struttura di potere per discriminare la donna. Nelle sinagoghe le donne devono rimanere separate nella preghiera, perché quando l’uomo si trova vicino a una donna, la preghiera passa in secondo piano. E’ solo ragionevolezza: si riconosce l’enorme potere della donna sull’uomo, così come quello dell’uomo sulla donna - di fronte all’attrazione erotica, a nessuno importerebbe di pregare.

Che differenza cè fra integralismo islamico ed ebraico?

E' una questione molto complicata. Ebraismo e Islam, sono ethos, non religioni. Tutti dicono che l’Islam è integralista… ma è totalmente falso. Nel Corano è detto: “Non c’è nessuna costrizione all’Islam” - sono parole di Maometto, non di Moni Ovadia. In entrambi i casi, la responsabilità è solo degli uomini.

Qual è il rapporto degli ebrei con le tecnologie?

A New York, c’è un quartiere di ebrei ultra-ortodossi che vestono come in un ghetto della Polonia dell’Ottocento, ma può capitare di vedere un chassid - un ultra-ortodosso con tanto di riccioli, cappello con orlo di pelliccia e cappotto scuro - con in mano un telefono cellulare. Non è una contraddizione o un peccato, perché la Torah non proibisce il cellulare. Questo è il rapporto tra modernità ed ebraismo: tutto ciò che la Torah non proibisce è permesso. Anzi, la tecnologia ti aiuta a vivere da ebreo: la segreteria telefonica risolve il problema di non poter rispondere di shabbath al telefono; è una macchina, si prepara prima, e risponde meccanicamente, per cui la gente sa che sei collocato nella santità del sabato e ti richiama o ti lascia un messaggio. Il videoregistratore consente di vedere dopo una trasmissione televisiva messa in onda in Tv il sabato. La televisione è spesso usata come monitor per vedere documentari, anche lezioni di ebraismo, il computer è usato per studiare la Torah con programmi straordinari. E infine chi, se non gli ebrei, ha prefigurato concetti come "Internet" e "globalizzazione" attraverso la diaspora, vivendo a cavallo dei confini?

Qual è il rapporto fra le generazione nell’ebraismo?

La storia in ebraico si dice Toledoth, ossia “generazione” ed è un termine che si collega con la frase “Le colpe dei padri visitano i figli fino alla quarta generazione”. Nel mio ultimo spettacolo racconto come a volte una generazione possa combinare delle catastrofi atroci: all’inizio dell’800 ebrei stanchi, opportunisti, troppo perseguitati, calunniati, vessati, si convertirono - un esempio per tutti: il padre di Karl Marx. Tre generazioni dopo, i nazisti cercarono gli ebrei solo fino al nonno. Per cui bisnonni convertiti hanno generato pronipoti che invece di stare dalla parte delle vittime sono diventati carnefici. E’ testimoniato che alcuni gerarchi nazisti erano ebrei per due sedicesimi. L’identità ebraica è sotto la responsabilità dei padri che educano i figli.

Il suo ultimo spettacolo s’intitola “Perché no? L’ebreo corrosivo”. Perché?

Perché no? (ride) La tirannia è la sospensione della domanda, invece gli ebrei a una domanda rispondono con un’altra domanda, nel loro modo di parlare sono interrogativi e musicali, e in perenne discussione, su tutto, da Dio alla formica.. Nei miei spettacoli uso un particolare tipo di cadenza, che è quella degli ebrei dell’Est che parlavano lo yiddish e adesso parlano l’italiano. Sono corrosivi perché non si adattano alle situazioni comode, devono sempre sollecitare se stessi. La litigiosità dipende anche da questo. Purtroppo anche loro adesso si stanno addomesticando sempre più alla civiltà occidentale.

Qual è il rapporto tra Dio e gli ebrei?

L’ebraismo postula la pari dignità fra uomo e Dio. Maestri del Khassidismo hanno intentato anche processi contro Dio e hanno emesso verdetto colpevole perché Dio ha dosato male l’equilibrio e ha fatto quest’umanità troppo incline al male. Dio doveva stare più attento, perché non protegge abbastanza i deboli. C’è un racconto bellissimo, in cui un ebreo deve sposare una figlia, ma l’imperatore Francesco I ha messo una tassa per vessare gli ebrei, che su ogni matrimonio devono pagare 400 fiorini. Allora l’ebreo va dal tribunale degli ebrei e chiede di citare in giudizio Dio perché Dio ha detto di popolare la terra, di avere famiglia, di santificarlo, ma l’ebreo non può farlo a quelle condizioni! Allora un altro dei giudici chiede a Dio di difendersi. Ma si accorgono di sapere già il pensiero di Dio, dato che è scritto nella Bibbia. Al momento del verdetto, accusato e accusatore vengono invitati a uscire. L’ebreo esce, ma Dio no, aspettano a lungo e poi dicono: “Visto che Dio non può abbandonare l’aula perché sta dappertutto, questo elemento verrà considerato aggravante nei suoi confronti”. Quindi emettono il verdetto di colpevolezza contro Dio. A titolo edificante, il racconto ci dice che una settimana dopo la tassa fu revocata.

C’è almeno un popolo che è stato vicino agli ebrei?

Forse non tutti i siciliani ne sono a conoscenza, ma sono stati gli unici che hanno cercato di difendere gli ebrei dall’espulsione da parte della Corona spagnola del 1492. Tre suppliche furono scritte in Sicilia da baronie, cittadini e municipalità, mentre in tutto il resto del mondo c’era una visione terribile degli ebrei, visti come usurai, avari, peccatori, reprobi e sudici, basti pensare a “The Jew of Malth” di Christopher Marlowe. Le tre suppliche invece sono un misto di considerazioni umanitarie ed economiche perché gli ebrei erano gli artigiani dell’isola. Una delle suppliche alla fine chiede almeno di procrastinare l’espulsione, perché “Vossia eccellenza su’ cussì misiri”. Dunque un’immagine umana dell’ebreo, povero e disperato.

Qual è la differenza probante tra ebraismo e cristianesimo?

Ebraismo è per la vita e nella vita. Molti ebrei sono morti in agonia ma l’agonia non è diventata emblema di redenzione come nel cattolicesimo, che si basa sul sacrificio salvifico di Gesù, quando invece la mano di Abramo si ferma e non sacrifica Isacco. Papa Giovanni Paolo II ha detto due cose importanti, che pesano come tonnellate, e anche più. Nel documento conciliare Nostra aetate si scrive che Gesù fu, è e sarà sempre ebreo: nessuno contesta più l’ebraicità di Gesù, e il fatto che lui abbia agito come ebreo.

Poi il Papa ha ripetuto più volte che Auschwitz è il Golgota del 2000. Il Golgota è l’esperienza del sacrificio di Gesù attraverso cui diventa definitivamente il Cristo. L’Olocausto è dunque un’esperienza cristica. Ma c’è un problema: 2000 anni fa è salito sulla Croce un ragazzo ebreo e 2000 anni dopo c’è salito l’intero popolo ebraico. Purtroppo i cristiani stavano dall’altra parte, tranne alcuni. Cos’è successo in questi 2000 anni in Occidente? La civiltà occidentale a mio parere perverte il cristianesimo, che ha un certo tipo di messaggio, e lo mette al servizio di nazionalismi di monarchi e di verticismi. Il messaggio evangelico invece è dirompente.

Questo Papa non è antisemita e ha scritto e fatto gesti per cercare di illuminare i cattolici. Credo che solo una parte della Chiesa l’abbia capito bene, e cioè quella che agisce sulla strada, per aiutare tutti i ger della terra. Mi auguro che la cattolicità ritrovi il suo cammino giusto e segnico, perché c’è bisogno di tutto in questo mondo.

Quali sono le parole ebraiche che tutti dovrebbero conoscere?

Ma che significa “che cosa?” E adàm, “uomo”. Nella corrispondenza tra numeri e lettere entrambe le parole danno quarantacinque. Dunque sono parole corrispondenti, per cui l’uomo (adàm) è colui che si pone domande (ma?). E in più davàr designa “parola” e contemporaneamente “cosa”: dunque la parola è generatrice della cosa che viene designata, come per magia.


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