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"Dobbiamo metterci sempre in discussione"



Amos Gitai


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Quello che segue è il resoconto della discussione fra Amos Gitai e il pubblico della rassegna cinematografica Massenzio avvenuta lo scorso 23 luglio, in occasione della proiezione di Yom yom e Kadosh, due dei tre film di una trilogia dedicata dal regista israeliano alla situazione sociale e politica del suo paese (il primo era Devarim, ambientato a Tel Aviv).

Ho scelto di ambientare la mia trilogia cinematografica su Israele in tre grandi città - Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme - raccontandole come microcosmi, cioé osservando immense realtà sociali attraverso pochi personaggi, senza la pretesa di riassumere l'intera situazione mediorientale. E' stato come eseguire brani di musica da camera, invece che un'intera sinfonia.

Sono convinto che ogni paese del mondo riesca a fornirci uno spaccato della propria realtà attraverso il cinema. In Italia ci sono riusciti i grandi maestri come Rossellini o Pasolini. Israele è un paese pieno di contraddizioni, e per registrare le cose che vi accadono non c'è mezzo migliore del cinema. La situazione in Medio Oriente viene costantemente rappresentata da un vero e proprio bombardamento di immagini mediatiche, perciò al cinema rimane la possibilità quasi sovversiva di restare piccolo e di limitarsi a mettere in luce un aspetto ristretto della realtà nazionale.


In Kadosh ho voluto raccontare l'identità ebraica nella sua manifestazione più estrema. La creazione di Israele inizialmente era stato un gesto laico, e la religione ebraica, che non era mai stata molto istituzionalizzata, ha dovuto trovare un modo nuovo di rapportarsi al nuovo stato. Il risultato è stato un irrigidimento dogmatico sempre crescente, che ha cercato via via di influenzare sempre di più la politica governativa.

Comunità chiuse e integraliste come quella di Mea Shearim a Gerusalemme sono nate in reazione a quanto era accaduto in Europa. Il tentativo era quello di conservare il proprio spazio e il proprio rituale, per questo in Kadosh ho cercato di ricreare quel ritmo e quel senso ritualistico della vita. Il problema è che tradizionalmente l'ebraismo è sempre stato una religione molto critica, anche verso se stessa, e l'ortodossia ha invece azzerato ogni forma di autoanalisi. Kadosh vuole essere un omaggio alla capacità umana di esercitare un atteggiamento critico nei confronti della propria cultura e tradizione.

In particolare mi interessava descrivere l'aspetto oppressivo dell'ortodossia, che nelle tre grandi religioni monoteistiche - cristianesimo, islam, ebraismo - si manifesta soprattutto nei confronti delle donne, perchè tutte e tre le dottrine sono essenzialmente ideologie maschili e i loro sacerdoti sono tutti uomini. Volevo sottolineare che un individuo non deve mai assumere un atteggiamento deterministico e che può resistere anche in una situazione di oppressione.

Gerusalemme era la città adatta per ambientare una storia di disparità sociali e culturali come Kadosh, perchè è divisa da sempre, e probabilmente sempre lo sarà. Come le città medievali, è frammentata in contrade, ognuna delle quali appartiene a un determinato clan. E le frontiere sono sempre visibili, non solo quella demarcata dalla linea di confine fra lo Stato di Israele e i territori palestinesi, ma anche quelle che separano i quartieri musulmani, armeni, cristiani da quelli ebraici.

Perchè tutte queste divisioni? Questa è solo una delle domande che dobbiamo porci. "Perchè tutta questa violenza?", chiede il protagonsita di Yom yom e in Kadosh uno dei personaggi, l'ortodosso Meir, domanda al rabbino capo: "Perchè tutto questo rigore?" Dal punto di vista teologico, la religione ebraica non ha delegato un rappresentante di Dio sulla terra, e tutti gli uomini sono considerati creature imperfette. Anche gli eroi del Vecchio Testamento sbagliano e sono soggetti a critiche. E l'intero Talmud si presta a infinite interpretazioni perché, come osserva una delle protagoniste di Kadosh, "dice tutto e il contrario di tutto". E' una religione che invita alla discussione, non al dogma, sempre che la discussione non si trasformi in un puro esercizio dialettico, il che renderebbe tutto ancora più assurdo.



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