La musica è la spiritualità di un
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Miriam Meghnagi con Paola Damiani
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Miriam Meghnagi è una delle voci della spiritualità ebraica più
conosciute in Italia, ed è lei che intona la sigla di "Sorgente
di vita", la rubrica televisiva curata dalle comunità
israelitiche italiane. Ha al suo attivo molti anni di attività divisa
fra la ricerca, i concerti e i le incisioni. Sta per affrontare la
giornata europea della cultura ebraica con un concerto a Senigallia,
il viaggio in un mondo musicale ricchissimo e variegato con uno spazio
più ampio dedicato all'Italia che riserva una sorprendente varietà
di modi espressivi e di emozioni.
Le chiederei di cominciare con un breve autoritratto. Quando ha
intrapreso la sua attività e che cosa l'ha spinta a dedicarsi al
repertorio ebraico?
Il canto mi ha circondato dalla nascita, nella mia famiglia era un
modo di espressione del tutto naturale. Mio padre e mia madre nelle
notti di plenilunio dialogavano cantando su melodie e testi
tradizionali o improvvisandone di nuovi. Sono nata a Tripoli da una
famiglia ebraica che ha dovuto lasciare la Libia nel 1967 dopo la
guerra dei Sei Giorni. Siamo venuti in Italia e come molti ebrei
abbiamo lasciato tutto, tranne ciò che ci era molto caro ed era al
tempo stesso facile da trasportare: il canto. Prima di arrivare alle
melodie della mistica ebraica ho compiuto un lungo percorso che mi ha
portato lontano: la canzone d'autore, il canto politico, il canto
popolare e poi il gospel.
Sono approdata al canto della mistica ebraica chassidica e da lì ho
deciso di proporre le differenti tradizioni musicali ebraiche non solo
quelle che fanno capo alla tradizione ashkenazita e yiddish. Sul mio
cammino intanto, oltre alla musica, ho incontrato la psicoanalisi, la
poesia, la letteratura mitteleuropea. Sefardita, proveniente da un
paese arabo, di lingua italiana e araba, percorrevo strade
apparentemente lontane che mi aiutavano però a ricomporre la
lacerazione tra Oriente ed Occidente, tra maschile e femminile.

Non è stato facile introdurre questo repertorio in manifestazioni
pubbliche in Italia. All’inizio era sempre necessaria una
giustificazione politica, ideologica e spesso la proposta suscitava
perplessità. In alcuni ambiti era necessario includere anche musica
araba o, meglio palestinese, segno di un grande e diffuso pregiudizio.
Oltre a ricercare materiali delle varie tradizioni musicali ebraiche,
mi sta a cuore è riproporli in maniera creativa attualizzandoli o
trasformandoli, mettendo in scena la parola, il suono, attraverso
procedimenti teatrali, così da comunicare al meglio il “qui ed ora”
dei sentimenti e delle emozioni di queste composizioni.
Qual è il ruolo della musica nella tradizione ebraica, non solo
nella sua componente religiosa, ma anche come segno di identità di un
popolo?
Il canto per me nasce dall’assenza. Così come il pensiero,
nasce dal bisogno di rappresentare qualcosa che non c’è. Nella
tradizione mistica ebraica l’assenza è l’aspetto femminile di
Dio. Allora Dio è stato spesso assente nella Storia ebraica? Il canto
non rispetta le geografie, varca le frontiere e attraversa il tempo…
La musica ha sempre avuto un ruolo enorme presso gli ebrei: il
canto è considerato il mezzo più efficace per avvicinarsi allo
spirituale, al divino, ma anche per esprimere e trovare se stessi.
Inoltre è, e deve essere, un patrimonio di tutti. Al tempo del re
Salomone era la casta dei sacerdoti ad avere la responsabilità della
musica e del canto, cui concorrevano le voci e un gran numero di
strumenti, fiati, percussioni... Dopo la distruzione del tempio in
segno di lutto la musica strumentale è stata bandita dalle sinagoghe
con la sola eccezione dello shofar, il corno che suona per il
capodanno ebraico e che segna la fine del kippur. E' rimasto il
canto, nella sinagoga come nella vita di tutti i giorni, che nel tempo
diviene anche un importante elemento di identificazione culturale.
Esistono apporti di altre tradizioni?
Le vicende dell'ebraismo sono tali che è impossibile dare conto
della ricchezza e della varietà di espressioni delle varie comunità.
Inoltre gli ebrei sono sempre stati profondamente integrati nei
singoli paesi di adozione o di nascita e quindi facilmente sensibili a
quanto li circondava. L'ebraismo dialoga continuamente con l'alterità.
In Israele, che è lo specchio principale di questa molteplicità, è
possibile trovare differenze dovunque, anche all'interno delle varie
componenti. Le sinagoghe di una stessa strada o quartiere possono
presentare rituali diversissimi a distanza di pochi metri.
E' possibile che qualche componente dell'ebraismo prevalga,
musicalmente, su altre, per esempio quella Yiddish?
Non parlerei di prevalenze, tanto è affascinante la varietà e spesso
l'antichità di alcuni elementi che ancora sopravvivono. Ad esempio le
tracce della straordinaria fioritura culturale della comunità
spagnola dispersa e sterminata dall'Inquisizione rintracciabili nei
piccoli gruppi di lingua spagnola sparsi nel mondo o gli influssi
paleobizantini ancora riconoscibili nel canto dellla comunità ebraica
romana.
Come è arrivato a noi il linguaggio della musica ebraica: integro,
modificato, o la diaspora, le persecuzioni hanno dato una forza
diversa di conservazione a questa musica?
Sicuramente c'è stata una forte volontà di conservare la propria
identità religiosa e culturale tanto violentemente perseguitata. E
certamente nel canto di tradizione è possibile riconoscere tale
volontà. Ma è anche vero che la musica, essendo espressione della
spiritualità ebraica e non della religione è per sua stessa natura
più libera e duttile. Il canto è patrimonio di tutti e ogni
comunità può viverlo a suo modo, nel senso, ad esempio, che non
esiste nessuna autorità che la prescriva o la regolamenti e dunque
nella liturgia il testo può essere lo stesso ma il canto differente.
E' la situazione opposta a quella della chiesa cattolica, il cui
glorioso passato musicale ha un immenso valore storico artistico, ma
che ha perso la sua forza spirituale, mentre la musica liturgica
attuale rincorre la modernità ed è sinceramente scadente per
entrambi gli aspetti.
C'è sicuramente una grande distanza fra la comunità dei credenti
e la musica del rito. Forse i fedeli vorrebbero ascoltare, o meglio
ancora fare, un altro tipo di musica, ma l'insieme di regole non lo
permette, e forse il bisogno di spiritualità non viene
suffficientemente soddisfatto.
Come canta l'ebraismo attuale?
Nasce sempre nuova musica, sia colta che popolare.
Sono frequenti le contaminazioni soprattutto con la musica
occidentale, alcune danno luogo a prodotti scadenti, altre generano
frutti interessanti.
L'intrettenimento, il riso hanno ancora un ruolo vitale nella musica
ebraica?
Penso che la capacità di ridere sia uno strumento importante per
la sopravvivenza ma la risposta che mi sale alle labbra è una domanda
che girerei ai non ebrei; come pensate che dopo la Shoah sia ancora
possibile che un ebreo rida? Non è polemica, ma il punto di partenza
per una riflessione. Ovviamente la cultura ebraica è assai vitale, si
scrive molto e la musica torna ad accompagnare i momenti salienti
della vita sociale come nascite e matrimoni, ma da quella frattura non
si può prescindere.
Cosa vuol dire essere un'interprete di musica che spesso non ha
autore? Rende più liberi, o no?
Dipende. L'interprete di musica popolare può legittimamente
modificare ciò che sceglie di eseguire, diventando così autore, ma
al tempo stesso la preoccupazione di non tradire ciò che si canta è
molto forte. Personalmente impiego molto tempo per sentire mia una
canzone e spesso, dopo averla studiata, lascio trascorrere un lungo
intervallo prima di eseguirla in pubblico.
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