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Letti per voi/La sinistra missionaria

Franco Cassano

 

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Questo articolo e' apparso su "il manifesto"  del 27 aprile

Ogni guerra è terribile, per il suo carico di morti e di stragi. Ma al dramma di questa guerra se n'è aggiunto un altro, la sua ideologizzazione da parte della maggioranza della sinistra europea. Non ripeteremo qui quello che altri, prima e meglio di noi, hanno detto, che l'ingerenza umanitaria non è credibile quando una parte si sostituisce all'ONU e quando essa funziona in modo intermittente, secondo la convenienza di quella stessa parte. La giustizia presuppone la faticosa costruzione di un terzo e qui il terzo non c'è più.

Certo, chi ragiona in termini di Realpolitik potrebbe dire: l'ONU era il ritratto dell'equilibrio bipolare sorto dalla seconda guerra mondiale e oggi bisogna prendere atto che gli equilibri sono diversi, che c'è una sola grande potenza e che quella mediazione è saltata. Ciò che però non si riesce a capire é che cosa abbia a che fare tutto questo con la sinistra. La quale però in tutta Europa invece di chiedersi come Bruce Chatwin "Che ci faccio qui?", non solo aderisce all'intervento, ma addirittura lo teorizza come accade a Blair e da noi, tra gli altri, a Veltroni. Come spesso accade, la destra, perfettamente consapevole che il suo comportamento corrisponde ad interessi di parte, non ama teorizzare e ragiona in termini di Realpolitik, e preferisce lasciare l'idealismo dei principi ad una sinistra in fase di rottamazione. Quest'ultima dal canto suo, pur essendo impegnata a raccattare affannosamente qua e là pezzi d'identità e a mediare su tutto, diventa improvvisamente "dura" e fondamentalista su "questa" ingerenza umanitaria, fa da spalla teorica e offre principi ad una politica che stritola i principi, legittima una parte del mondo a proporsi come gendarme universale.

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Quello che risulta evidente dalla vicenda terribile della guerra è non solo l'identificazione senza residui della sinistra europea con un piccolo, ma potente segmento del mondo, il nord-ovest, ma addirittura la sua trasformazione nella versione aggressiva e fondamentalista di esso, nella sua confezione per l'esportazione. La sinistra si offre di fare come i missionari in America Latina: accompagna le armate, ma si occupa dei principi e delle conversioni, offre una sponda ideale ad un atto di sopraffazione. Si ha come l'impressione che essa percepisca in modo più o meno inconsapevole la perdita del proprio respiro universale, la sua angustia storico-geografica, e pensi di poterla riscattare con l'intransigenza, con un imperialismo dei principi. In un mondo che tende a definirsi, come propone Huntington, in termini di "scontro tra le civiltà", una di queste civiltà, la più forte, può fare la voce grossa e c'è chi offre giustificazioni universalistiche alle sue pretese.

Ma in questa guerra c'è un altro profilo che ci riguarda più direttamente in quanto europei e in quanto italiani. Essa, infatti, è stata, per unanime riconoscimento, anche un colpo durissimo all'Europa e alla sua autonomia. In questo Blair è stato bravissimo e il suo fondamentalismo dei principi è anche geopoliticamente ispirato: l'Inghilterra subordina chiaramente l'unità europea al rapporto privilegiato con gli Stati Uniti ed è quindi interessata ad un'Europa minore, divisa e subalterna. Fin qui Blair: ma gli altri governi europei perché si fanno imporre questa politica? Perché la Francia è appassita e incapace, la Germania è meschina ed ipocrita e l'Italia accetta di essere derisa come un paese incerto ed inaffidabile, quando l'intervento della Nato riproduce con nettezza una teoria della sovranità limitata che riduce il nostro paese a periferia del nord-ovest, che fa della nostra penisola non un ponte tra i continenti, ma una portaerei della Nato?

Se l'alternativa deve essere tra una ributtante ideologizzazione dell'intervento e un "malpancismo" che ci fa percepire come i soliti "italiani", non c'è molto futuro per il nostro paese. Invece é proprio quella nostra imperfezione la qualità da cui ripartire per evitare di rimanere prigionieri del fondamentalismo del nord-ovest, dei suoi interessi geopolitici e della sua ideologia, per guadagnare al nostro paese la funzione d'interfaccia tra i popoli, di luogo della loro pacifica mediazione. Alla radice di questa guerra c'é non solo il fondamentalismo etnico, ma anche un fondamentalismo culturale, la convinzione di una parte del mondo di essere e di doversi proporre come una terapia universale. A questa cattiva infinità dei fondamentalismi è necessario opporre esplicitamente il terreno della mediazione, trasformare quello che gli altri ci rimproverano nella qualità più preziosa, in quella capacità di cui gli altri hanno perso la memoria. Certo, appariremo infidi ai fondamentalisti di tutti i colori, ma questo è un grande titolo di merito. Se oggi la parola sinistra ha ancora un senso, esso può essere solo nel mettere insieme gli antifondamentalisti di tutto il mondo, nel non farsi prendere dal gioco di massacro dello "scontro tra le civiltà".

 

 

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