Bobbio: "Questa guerra ricorda una
crociata" Norberto Bobbio
intervistato da Giancarlo Bosetti
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"Non possiamo non dirci, e non essere, filoamericani.
Assolutamente non lo possiamo, perchè gli Stati Uniti hanno guidato e dominato la storia
del ventesimo secolo. Fortunatamente per l'Europa, dobbiamo aggiungere. L'hanno guidata e
dominata, e ancora la tengono in pugno". Si sa e, se non si sa, si può
immaginare quanto poco un personaggio come Bill Clinton possa piacere a un
personaggio come Norberto Bobbio. Distanza di generazioni. E altro. Per questo la
professione di riconoscenza verso l'America a Bobbio costa non poco, eppure è autentica,
sincera, convinta. Fin da quando sono cominciati i bombardamenti della Nato la sua
posizione è stata di consenso bisogna liquidare il dittatore serbo ma anche
carica di dubbi sul metodo, sulla legittimità e sulla efficacia della guerra. A un mese
dall'inizio questi dubbi crescono non solo nella testa di Bobbio, il quale come al solito
si diletta piú a mostrare (e aggravare) le contraddizioni che non a nasconderle. Siamo
andati da lui per approfondire la questione.
Ma questa intervista ha un antefatto in una discussione che si è
svolta sulle pagine dell'"Unità" tra Danilo Zolo, filosofo del diritto, e
Antonio Cassese, giurista internazionalista. Il primo, contrario alla guerra, la ritiene
anche illegittima sulla base della Carta delle Nazioni Unite, il secondo, favorevole,
ritiene che la violazione dei diritti umani, effettivamente non prevista nell'ordinamento
dell'Onu come caso che giustifichi l'intervento, sia tuttavia una buona ragione che
giustifica la Nato e che la Carta debba essere aggiornata. Dalla riflessione su questo
vizio di legittimità Bobbio è spinto rievocare le Crociate e a riaprire una geniale e
inquietante pagina di Hegel. Se mi costringessero a riassumere in due righe il suo
pensiero dovrei scrivere: "Io, filoamericano, vi dico: questa guerra ricorda le
guerre sante contro gli infedeli, è fuori dalle vecchie regole, eppure è
obbligata". E mi accorgo che contiene diversi paradossi. Ma andiamo con ordine.
Bobbio, non si riesce a neutralizzare Milosevic, ci sono pericoli di
estensione del conflitto, nuove sofferenze umane. Dopo questi trenta giorni non è
naturale dubitare se questa guerra fosse davvero giusta, necessaria, indispensabile?
"Di una guerra non dovrebbe aver piú senso chiedersi se sia
giusta o ingiusta. Questi distinguo sono caduti in disuso durante le guerre dell'equilibro
europeo, nei secoli passati. A ogni guerra c'era chi la proclamava giusta, ma questo
accadeva da entrambe le parti. La teoria delle guerre giuste fu per questo abbandonata. Si
prese atto realisticamente che lo stato, in quanto sovrano, aveva il diritto di muovere
guerra quando voleva, assumendosi il rischio calcolato della decisione. Le cose sono
cambiate con la Prima guerra mondiale, che fu una catastrofe non prevista e che, rispetto
a tutte le guerre precedenti, rappresentò un vero salto qualitativo per le dimensioni
della distruzione: si passò dalle migliaia delle guerre precedenti ai milioni di morti.
È chiaro che cambiava il concetto stesso di guerra, che la guerra diventata qualcosa di
ben piú terrificante. E questo costringeva a riesaminare il principio che gli stati
possano fare la guerra quando credono."
E arrivano le norme internazionali, figlie di due guerre mondiali, che
mettono la guerra fuori legge.
"Occorreva, per farlo, un ordinamento internazionale. Prima si
tentò con la Società della Nazioni, che fallì. Poi con l'Onu, dopo la seconda guerra
mondiale. E sulla Carta delle Nazioni unite si è scritto infatti che la guerra non è
piú lecita se non in casi estremi secondo norme molto precise che fanno eccezione per la
legittima autodifesa da parte di uno stato aggredito e quando sia in pericolo la sicurezza
internazionale. Da allora, in un certo senso, il problema della giustificazione della
guerra non si pone piú come prima. Non ci chiediamo se una guerra sia giusta o no, come
non ci chiediamo se sia giusta o no la sentenza di un giudice. La domanda pertinente da
fare è se il magistrato abbia rispettato la legge. Se applichiamo la domestic analogy
tra il diritto interno e quello internazionale dobbiamo dare la stessa risposta: la
ragione e il torto non dipendono da ciò che è giusto e ingiusto in astratto - perchè,
ripeto, ogni stato, compreso quello nazista, definito addirittura "stato
criminale", ha sempre giustificato le proprie guerre - ma dalla conformità al
diritto stabilito."

Allora in questo caso la guerra della Nato a Milosevic è messa
piuttosto male. Non ci sono solo le critiche del genere di quelle di Danilo Zolo,
decisamente contrario all'attacco. Lo stesso Antonio Cassese, giudice, ed ex presidente,
del Tribunale internazionale dell'Aja, ritiene che essa sia al di fuori dei casi previsti.
E ne ricava la conclusione che la Carta deve essere modificata.
"Mi sembra però un argomento fatto apposta per giustificare
questa specifica guerra, mentre a rigore la valutazione sulla legalità di un atto si
dovrebbe fondare sulla legge che c'è e non in base a una legge che non c'è ancora.
Normalmente non è il fatto che dà origine alla legge, è il fatto che deve essere
giustificato in base alla legge, se no il principio di legalità va a farsi benedire.
L'argomento del fatto che crea nuovo diritto vale per giustificare le rivoluzioni. E la
guerra umanitaria è un fatto innovativo? Quell'argomento si presta alla derisione di
Zolo, che ha scritto: in questo modo ex crimine oritur ius, dalla violazione della
legge si fa scaturire il diritto."
Certo però non ho bisogno di spiegare, io, a Norberto Bobbio,
esponente della "scuola storica del diritto", che le leggi cambiano anche sulla
base dei fatti compiuti. E che cambia anche la coscienza pubblica. Gli Stati Uniti
d'America sono sorti da una rivoluzione e poi hanno massacrato la popolazione indigena,
eppure sono uno stato legittimo, non c'è dubbio. Amnesty International avrebbe
obbiettato, ma non c'era all'epoca. I diritti arrivano al seguito dei fatti.
"Non escludo che dal fatto derivi il diritto. Il principio di
effettività è ancora oggi un principio fondamentale del diritto internazionale. Mi
chiedo soltanto se questo elemento nuovo che consiste nel definire umanitario un fatto
atroce come la guerra non faccia pensare alla dottrina della guerra come crociata,
dottrina che la stessa teoria della guerra giusta aveva eliminato. Parlo della guerra come
crociata o della guerra santa, come si direbbe ora, cui si attribuiva una giustificazione
puramente morale: combattere gli infedeli".
Confesso, Bobbio, un certo stupore. Qui non è questione di fedeli o
infedeli. Ci sono dei fatti come la pulizia etnica.
"Un momento, non sto negando per niente questi fatti. Dico
soltanto che l'abbandono della teoria della guerra giusta e ingiusta aveva spinto a
bandire come inaccettabile una giustificazione etica della guerra, ma è un fatto che una
analogia tra crociata e guerra umanitaria c'è. Vogliamo rifletterci un momento? Fatto
nuovo o fatto vecchissimo, tanto vecchio da essere stato da tempo abbandonato?"
Obbiezione: ma i diritti umani non sono un fattore relativo o
arbitrario come l'una o l'altra religione, l'una o l'altra cultura. Hanno una loro
incontestabile oggettività.
"Ma l'unico modo di difendere i diritti umani è, da parte di uno
stato, la guerra? Nella situazione attuale della permanente violazione dei diritti umani
la guerra diventerebbe una situazione cronica nella comunità internazionale. La verità
è che la guerra per una superpotenza come gli Stati Uniti, che rappresentano ormai un
potere senza rivali, non ha bisogno di essere legalmente giustificata. Potremmo dire, con
Zolo, che il principio di legalità vale per tutti gli stati tranne gli Stati Uniti. Vale
per tutti gli stati che riconoscono di essere uguali agli altri di fronte al sistema
internazionale, ma non vale per gli Stati Uniti che sono, orwellianamente, "piú
uguali" degli altri, e che hanno acquisito una specie di diritto assoluto che li pone
totalmente al di fuori dell'ordine internazionale costituito."
Adesso però non riesco facilmente a combinare questo giudizio sugli
Stati Uniti, che sembra simpatizzare per le tesi di Zolo, che condanna giuridicamente e
politicamente la guerra in quanto aggressione alla Serbia, e il consenso con questa
medesima guerra.
"La nostra difficoltà di europei, in questa circostanza, è che
non possiamo non essere filoamericani, non possiamo non essere amici degli Stati Uniti,
non possiamo disconoscere questa primazia di un paese che ci ha ripetutamente salvato,
parzialmente con la Prima guerra mondiale, totalmente con la Seconda. Se non ci fosse
stato lo sbarco degli Stati Uniti in Normandia, la operazione strategica piú gigantesca e
fortunata del mondo nonostante fosse anche la piú rischiosa, la guerra contro Hitler non
sarebbe stata vinta. Non parliamo della Terza, la guerra fredda, che hanno vinto senza
colpo ferire. Se gli Stati Uniti non avessero dominato la storia del mondo in questo
secolo, avrebbero vinto fascismo e comunismo, non certo la democrazia. E se oggi esiste un
mondo democratico che consideriamo "normale" rispetto ai sistemi dispotici,
imperialistici, totalitari, lo dobbiamo all'intervento ripetuto, decisivo, vittorioso,
degli Stati Uniti. Noi dobbiamo loro una riconoscenza totale. Ed io mi considero
filoamericano perchè non posso non riconoscere che la debolezza della democrazia è
dipesa anche dalla debolezza militare europea, e dall'impotenza sia dei singoli stati che
del loro insieme, di fronte alle sfide e alle minaccie delle dittature. Ma come potremmo
non essere amici degli americani, che sono sempre stati al nostro fianco come nemici dei
nostri nemici? Possiamo già fare a meno di loro? A giudicare dalla mancanza di una
politica estera europea direi di no."
Ma un conto è la riconoscenza, un altro conto è che abbiano per forza
sempre ragione.
"Di vittoria in vittoria gli Stati Uniti sono rimasti i soli
vincitori sul campo e non hanno concorrenti temibili, almeno fino a che non dovranno fare
i conti con la Cina o con il mondo mussulmano, che avranno anche loro le loro guerre sante
da fare in base a una idea diversa dei diritti umani. Intendiamoci, la potenza degli Stati
Uniti, di cui la storia del secolo ventesimo dà una indiscutibile spiegazione e anche, a
ben vedere, una giustificazione etica, è tale da portarli naturalmente a prendere
decisioni unilaterali. A furia di vincere, e di vincere vittorie sacrosante in base a
valori fondamentali, come libertà e democrazia, che condividiamo e la cui conservazione
dobbiamo almeno fino ad oggi al loro intervento, si ritengono autorizzati a decidere da
soli, sia pure nell'ambito di una alleanza, come la Nato, che è però puramente formale
nel senso che gli Stati Uniti ne sono sia i fondatori che gli esecutori in prima
istanza."
Ora capisco meglio i suoi dubbi, Bobbio, fin dall'inizio di questa
guerra contro il "satrapo", che lei condivide perchè necessaria, ma che
somiglia in modo imbarazzante a una guerra santa decisa unilateralmente dagli Americani.
Non si tratta solo delle esitazioni di qualunque persona ragionevole di fronte alla
guerra, c'è qualcosa di piú. Un influente intellettuale tedesco che sta preparando un
saggio su questa guerra sostiene: siamo di fronte a un "umanesimo militare", lo
condividiamo ma sentiamo anche che ha un "lato oscuro", che ci inquieta. Qual è
la causa di questa inquietudine?
"Forse la individuiamo ancora meglio se passiamo da una
considerazione giuridica a una filosofica. Non è la prima volta che nell'ordine
internazionale si presenta la situazione di uno stato talmente potente, egemone, da godere
di una specie di "diritto assoluto", vale a dire di un diritto non limitato dal
diritto degli altri. Voglio dirlo con le parole di Hegel e di una delle sue opere piú
grandi, i "Lineamenti di filosofia del diritto". (Bobbio preleva dalla scrivania
il volume hegeliano e sfoglia alla ricerca della citazione, Ndr) Qui, in uno dei paragrafi
finali, dopo aver parlato del diritto interno, il diritto costituzionale, e di quello
esterno, il diritto internazionale, Hegel scrive che in ogni periodo della storia c'è uno
stato dominante, herrschend, egemone, cui è conferito un "diritto
assoluto", intendendo per diritto assoluto un diritto che non è limitato dall'uguale
diritto degli altri. Di fronte al popolo che fa da "guida dell'attuale grado di
sviluppo dello spirito universale" scrive ancora Hegel "gli
spiriti degli altri popoli sono senza diritto, ed essi, come coloro la cui epoca è
passata, non contano piú nella storia universale". Sono senza diritto,
avete capito? Dal punto di vista realistico, da cui si mette Hegel, è incontestabile
questo non contare più degli altri popoli."

Il realismo di Hegel qui è brutale. Speriamo che non sia la filosofia
della Albright. Le istituzioni internazionali contemporanee però cercano di ispirarsi
piú a Kant che a Hegel. L'idea è quella di dotare di forza militare strutture
sovranazionali, di andare verso un superstato universale, in modo che gli interventi non
siano nell'arbitrio di nessuno, ma discussi democraticamente. Molti però temono che
questo gigantesco Leviatano mondiale, se mai ci arriveremo, sia anche lui pericoloso.
"Come negli stati nazionali c'è una grande differenza se il
monopolio della forza è nelle mani di uno stato dispotico o di uno stato democratico, tra
la funzione della polizia nella Serbia di Milosevic o nei nostri paesi europei, cosi' la
differenza, tra democrazia e dispotismo, vale per lo stato universale. Anche allo stato
universale dovremmo applicare le regole che stabiliscono chi deve usare la forza, entro
quali limiti, e in quali casi. Dobbiamo essere favorevoli, almeno come tendenza
ideale, al processo di globalizzazione delle istituzioni politiche, al costituirsi di una
forma statale supernazionale, ma certo a condizione che vada di pari passo con il processo
democratico. Che fosse una federazione o una confederazione, un Völkerstaat o un Völkerbund,
uno stato o una lega di stati, anche Kant metteva in guardia nei confronti del pericolo
che, anzichè repubblicano (che per lui voleva dire democratico), risultasse monarchico,
vale a dire autocratico, con un solo vertice."
Solo che il cammino dell'Onu verso quella meta è stentatissimo.
"Se vogliamo mantenere un senso realistico delle vicende umane,
dobbiamo dire, ancora con Hegel, che la realtà della storia mostra che non c'è mai stato
e forse non ci potrà mai essere questo stato universale, perchè ogni epoca ha la sua
potenza egemone: i greci, i romani, l'Europa cristiana..., Hegel poi pensava toccasse alla
Germania, ma si sbagliava. Dopo la fine delle guerre napoleoniche l'egemonia passò
all'Inghilterra, che ha colonizzato il mondo, l'Africa, l'India, l'Australia. E poi agli
Stati Uniti. L'alleanza di ferro tra Blair e Clinton oggi rivela nella forma piú
cristallina che dall'epoca delle guerre coloniali ad oggi il potere egemonico,
hegelianamente il diritto assoluto, è appartenuto al mondo anglosassone."
Allora chi critica questa guerra per difetto di legittimazione come fa
Zolo, con argomenti che anche lei giudica fondati, commette però un peccato di
astrattezza, perchè non tiene conto dei rapporti di forza?
"Non tiene conto di rapporti di forza che sono non solo un fatto
compiuto, ma hanno una spiegazione di fatto e una giustificazione di diritto. Gli Stati
Uniti non solo hanno vinto, ma hanno vinto dalla parte giusta (la prima guerra contro gli
imperi centrali, la seconda contro Hitler e Mussolini, la terza contro Stalin e i suoi
eredi). Per quanto mi riesca difficile condividere il principio hegeliano secondo il quale
"ciò che è reale è razionale", non si può negare che qualche volta la storia
abbia dato ragione a Hegel."
Guerra umanitaria o crociata, questa guerra non sta dando i risultati
desiderati.
"E infatti non siamo sicuri che i mezzi che gli americani hanno
sinora adottato siano conformi al fine. Le azioni politiche, e tra queste anche la guerra,
si giudicano non solo dal punto di vista etico, ma ahimè dal punto di vista dei loro
effetti. Per ora il potere demoniaco di Milosevic non solo non è stato indebolito ma
sembra rafforzato. È cominciata una escalation di cui nessuno puo' prevedere dove andrà
a finire. Ma questo è un altro discorso"
Quanto durerà?
"Mi viene in mente la risposta di un mio amico all'inizio della
seconda guerra mondiale. Alla domanda che gli ponevo, la stessa, "quanto
durerà?", mi rispose: "Pensa che la stanno ancora vincendo quelli che la
perderanno. E che la stanno ancora perdendo quelli che poi la vinceranno"."
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