Capitolo 1/Il nero colore del lutto
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Quello che segue è un capitolo tratto dal saggio "Nero"
di Mariangela Surace (Castelvecchi), dedicato al non-colore per
eccellenza, in tutte le sue valenze.
Opaco
1. Di corpo che assorbe totalmente la luce
Pensando a un abito integralmente nero, ognuno di noi lo colloca
in una situazione differente, ma per lo più l'associazione diretta è
con il lutto. Ed effettivamente nella nostra cultura la prima
codificazione del nero, quella che in forma supertiziosa resiste e
accompagna tutte le altre, è la codificazione luttuosa Diretta
emanazione del nesso tra il nero e la morte, va attraversata in più
sensi,pazientemente decostruita, cercando di tenere presente come
nella sua cristallizzazione a prevalere sia il dato culturale e
assolutamente non quello evocativo-emotivo.
Il lutto, infatti è l'espressione di un sentimento mediata in
direzione della società da regole e riti, è l'incanalamento di un
dolore privato in una forma pubblica di ricomposizione: la società
assorbe una spinta potenzialmente eversiva, in quanto generata da un
evento incontrollabile e inspiegabile, assoggettandola a rituali che
eprmettano di venire a patti con la morte, e in qualche modo la
inseriscano nella vita.
Per questo motivo il nero luttuoso è un nero assorbente, freddo, che
simbolicamente rappresenta la fine di un'esistenza e per traslato il
dolore di chi di questa fine è spettatore, e quindi la subisce. E per
lo stesso motivo la correlazione nero-lutto non è esclusivamente
sinonimo di finitezza; anzi, fino al secolo XIX è fortemente intrisa
di religiosità e ha un valore consolatorio, dal momento che sottende
la considerazione della morte non solo come parte integrante della
vita, ma addirittura come ingresso nella vera vita, quella
ultraterrena.
Il lutto precede dunque una morte mistica e fa del nero segnale di
sospensione, di attesa, fino a quando la memoria non sarà placata, il
dolore integrato nella vita del luttuato, e la morte affiliata alla
vita.
Il nero luttuoso però simboleggia anche il diritto del morto sul
congiunto vivo, che deve espiare la colpa di esserlo rivestendosi di
afflizione. Per questo l'opacità è la sua caratteristica
indispensabile, garante della presunta autenticità del sentimento, a
maggior ragione in quelle epìoche in cui il nero brillante dei
velluti e poi delle sete è indizio di potere e prosperità.
Le prime testimonianze in merito all'uso del neroper il lutto ci
giungono dall'antica Grecia, dove nero è tutto ciò che afferisce al
mondo dei morti, visto in maneira speculare rispetto a quello dei
vivi, e quindi innanzitutto privo di luce.
Già Omero connette il nero alla morte, Euripide tratteggia più volte
in nero la figura del re dei morti mentre Egesippo ci informa sui
funerali, durante i quali le vesti nere strappate e bagnate di lacrime
erano esibiter per esprimere, oltre al dolore, la volontà di
autoannientamento di chi, suo malgrado, era rimasto in vita.
Tutto ciò aveva una durata molto limitata nel tempo, cioè quella del
corteo funebre, che, come si può vedere nelle pitture vascolari, si
inscriveva in una dimensione teatrale, mantenendosi quindi in una
condiqione altra rispetto alla vita quotidiana. Invece a inaugurare
l'usanza di portre il lutto per un periodo di tempo dopo il decesso di
un congiunto, e a stabilire delle vere e proprie regole in materia,
sono i Romani.
La legge dettava esplicitamente: "Chi è in lutto deve astenersi
dai banchetti, dagli ornamenti, dalla porpora e dalla veste ianca".
Così i magistrati indossavano la praetexta nera, le donne
rinunciavano agli ornamenti per il ricinium e la pulla palla,
e ai funerali intervenivano le prefiche, figuranti pagate perché si
disperassero, piangessero e s strappassero i capelli. Il fatto che ci
fossero regole così precise e connesse al censo fa presupporre una
funzione di indicatore di rango del lutto, che si conferma nella
scelta della stoffa colorata in assoluto meno economica.
Anche s efino al Quattrocento i colori associati al lutto sono, oltre
al nero, il verde e il blu scuro (in realtà spesso e soprattutto
nelle classi inferiori si indossava semplicemente l'abito migliore,
indipendentemente dal suo colore) una prima reale formalizzazione del
nero funereo si può fssare nella prescrizione di papa Innocenzo III
(1216) che, nel definire i colori degli abiti sacerdotali utilizzati
nella liturgia cattolica, destinava il nero e il viola al servizio
funebre.
Nonostante questo, però, per un tempo molto lungo l'usanza continua a
coinvolgere unicamente gli strati più alti della società, anche se
le notizie in merito sono scarse, e le uniche fonti (o quasi) sono le
leggi suntuarie, ad esempio quella emanata da Carlo d'Angiò nel 1272
per proibire le manifestazioni delle prefiche ai funerali.
Come sempre accade, anche in questo caso la censura offre il primo
riconoscimento ufficiale a un fermento latente: il meccanismo per il
quale ogni uso del nero genera inevitabilmente un nuovo uso, e quindi
un nuovo significato, è connesso all'ambiguità costitutiva di questo
colore, e le leggi suntuarie non fanno altro che ratificare che ha
già cominciato ad agire, provocando lo scivolamento dalla
significazione luttuosa alla segnalazione di status.
Oltre a questo bisogna tenere presente che il lutto è un periodo che,
per quanto integrato nella vita, se ne distacca; per un determinato
tempo la persona in lutto si trova in una posizione di non
appartenenza (né al mondo dei vivi né al mondo dei morti) che lo
isola dal reale e gli consente una presenza nonostante.
A tale indivduazione - ma anche a un fatto squisitamente visivo - si
può collegare l'idea di nero distintivo rispetto al contesto, nero
come pìotere dovuto alla consapevolezza della diversità da tutto e
da tutti, della singolarità assoluta garantita dal dolore. Il
luttuato si di stingue dal resto del genere umano per uno stato di
sofferenza, ma in un certo qual modo anche di privilegio, privilegio
che consiste nel risarcimento da parte del mondo (e di Dio) di cui si
sente in credito
I messaggi potenzialmente contenuti nel legame fra il nero e il lutto
sono dunque più di uno; essi arriveranno a maturazione in momenti
diversi e, ogni volta cxhe saranno pronti ad essere trasmessi, il nero
opaco del lutto si scinderà in altre qualità di nero, naturalmente
dotate di altri poteri.
2. Privo di lucentezza
Una religione basata sul sistema colpa/perdono come quella cristiana
non poteva non dare risalto alle pratiche di espiazione e punizione di
sé, e se queste pratiche investivano la totalità dei fedeli solo in
determinati momenti dell’anno, per quanto riguarda gli ordini
monastici esse erano la regola.
Il monachesimo cristiano infatti era fitto di rituali di
automortificazione molto simili a quelli in uso nelle cerimonie
funebri, e quindi non sorprende la scelta ideologica ribadita da
Pietro il Venerabile, abate di Cluny (siamo nel secolo XII, i
benedettini si dividono in cluniacensi neri e cistercensi bianchi),
ina una lettera diretta a San Bernardo di Chiaravalle: mentre il
bianco simboleggia gaudium et sollempnitas, il nero è più
adatto a un ordine monastico in quanto colorem humiliati et
abiectioni, cioè rinuncia al proprio decoro per amore e a
imitazione di Cristo.
Per questo viene scelto nella declinazione priva di luce, quella più
dimessa, ma solo apparentemente, dal momento che l'assoggettarsi a una
regola monatsica rinunciando ai beni materiali e alle felicità
mondane è una scelta, e il nero di ogni saio la ribadisce e ne fa un
esempio di abnegazione. Il nero privo di lucentezza diventa in questo
modo un nero esemplare, capace di incutere rispetto, ma anche di
rivelare l’umiltà di chi, per giungere alla santità, decide di
essere fra gli ultimi.
Così, nel momento in cui viene adottato da un ordine monastico come i
benedettini, e insieme al carattere di vero e proprio valore assume
in modo definito il compito di determinare il riconoscimento, i nero
si fa anche divisa, pur non assoggettandosi mai del tutto a farsi,
come si direbbe in linguistica, "segnale". Questo a causa di
un elemento da tenere costantemente in considerazione: un abito
indossato viene sempre interpretato da almeno due punti di vista
-quello di chi si trova dentro l'abito e quello di chi lo osserva - e
la percezione muta completamente a seconda della posizione di chi
guarda.
E ciò avviene soprattutto se l'abito è nero, in quanto guardare se
stessi in un abito nero, guardare il mondo da un abito nero e guardare
l'altro vestito in nero sono tre sguardi, tre modi di vedere, tre modi
di sentire completamente diversi, ma ugualmente condizionati dalla
scelta cromatica a monte. Il potere di negazione del nero (che è
contemporaneamente affermativo, dal momento che testimonia
dell'esistenza di chi ne fa uso) può essere indirizzato verso sé,
verso gli altri (e quindi verso il mondo), oppure essere sentito come
una minaccia proveniente dall'esterno.
E' quindi necessario essere disposti a cambiare continuamente
angolazione per poter seguire le evoluzioni delle declinazioni
costanti del vestire in nero che prendono corpo fi dall'Alto Medioevo,
per poi precisarsi in modo direttamente proporzionale alla
consapevolezza di chi di nero veste. E bisogna tener presente anche la
relazione che si viene a creare tra il nero e chi lo indossa
consapevolmente va sempre in due sensi: la scelta avviene in funzione
di un effetto che si vuole ottenere, di un messaggio da comunicare, ed
è dunque fatta sulla base di significati già sedimenttati; ,el
momento in cui, però, si piega il nero a una utilizzazione inedita,
lo si carica inevitabilemnte di un nuovo significato, che si somma al
precedente rafforzandolo, temperandolo o semplicemente
giustapponendosi ad esso.
In definitiva ogni significato assunto in quanto tale, per il fatto
stesso di essere usato, è destinato a generare un nuovo significato.
Dunque, il fatto che il nero segnali l'investitura sacerdotale, e
spirituale in genere, già di per sé determina un passaggio osmotico
di significati all'abito,e al colore, oltre a predisporre il campo a
ulteriori sensi.
Nel 1245 Domenico di Guzman fonda i frati neri, i domenicani, che in
seguito all’istituzione i due secoli la capacità di indicare dell’Inquisizione
spagnola (1478) ne saranno messi a capo. In questa circostanza il nero
verrà utilizzato in maniera ufficiale per indicare un potere
temporale ma, come vedremo, al compito in questione arriverà già
attrezzato, avendo assorbito nell’arco di due secoli gli attributi
propri di chi ha potere, e cioè la serietà e la ricchezza.
Il percorso che porta all’associazione nero-potere passa per le
tonache dei sacerdoti, dei benedettini e dei domenicani tinte di nero distintivo
di una classe, di un ordine, di una casta, di un potere collettivo, o
comunque conferito e riconosciuto da una collettività. Anche in
questo caso il senso diverge, poiché ciò che distingue da un
contesto è ciò che amalgama a un altro: tramite l'abito che indosso
sono riconosciuto e voglio farmi riconoscere in quanto membro di
un gruppo, dal momento che ne ho sposato la causa.
Proprio sul suo essere connesso a una religione, a una morale, a una
regola - che poi nel Medioevo sono la religione, la morale,
la regola - il nero si costruisce la sua rispettabilità di
colore serio. Testimone di una reale adesione (e quindi di
affidabilità) , di un potere sacro (e quindi indiscutibile), ma anche
di un potere economico, il nero si candida (il gioco di parole per
quanto involontario è rivelatore: come abbiamo già visto nel caso
cluniacensi-cistercensi, il bianco è sempre dietro l'angolo) a
segnalare tout court il censo, sia legato a questioni di
nascita, sia dovuto, come a Venezia, alla "mercatura".
Ma per poter effettivamente diventare un indicatore di status, esso
deve cambiare tessuto e qualità, passare dalla tela (di lana o di
cotone) grezza e opaca delle tonache e dei paludamenti luttuosi al
velluto morbido e alla seta brillante degli abiti dei nobili e dei
ricchi.
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