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Serena Vinattieri



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Nella nostra società, occidentale e moderna, i simboli del lutto stanno perdendo importanza. Ancora oggi, però, vi sono dei retaggi della cultura passata che ci impongono determinati comportamenti, come il partecipare al funerale o il fare visita ai parenti del defunto. Come sono nati questi meccanismi, che possiamo definire di difesa e che hanno come unico scopo quello di rendere accettabile il dolore della morte?

Viviamo il nostro quotidiano come se non dovessimo mai morire. La morte è percepita come qualcosa di indeterminato che prima o poi (speriamo poi!) finirà per accadere anche a noi, ma che per il momento non ci minaccia. Il “si muore” introduce la convinzione che la morte riguardi l’anonimo “si” e non noi personalmente.

Quando la morte ci tocca da vicino la situazione, però, si capovolge e diviene lacerante, inaccettabile. È in questo momento che guardiamo alla nostra religione e che compiamo dei rituali di lutto tipici della nostra cultura. Gli antropologi collocano la religione nella sfera dell’immaginario e del mitico, poiché essa sostituisce alla realtà fisiologica della fine la diversa realtà culturale della proiezione in una vita nuova.

I luttuanti manifestano il proprio dolore per la perdita subita, vestendo abiti particolari, rinunciando a mangiare e chiudendosi in casa. È come se una parte di loro s’identificasse con il defunto. Il colore degli abiti, per esempio, è un segnale del proprio stato di cordoglio diretto alla comunità e assume una relazione simbolica con la morte secondo i modelli di ogni singola cultura.

La scelta del nero è in origine stata determinata dal pensiero della disgregazione del corpo. Le donne della Roma antica rinunziavano all’oro e alla porpora, si toglievano i gioielli e vestivano di nero dando a questo colore un senso di tristezza e ombrosità. Il nero si è però generalizzato come simbolo di lutto soltanto nel tardo Medioevo e ad esempio presso i Greci le vedove e persino le salme erano vestite di bianco.

Il bianco è il simbolo dell’accoppiamento in quanto rappresenta lo sperma, e del rapporto madre-figlio in quanto rappresenta il latte. In alcune culture europee e tribù africane, il bianco è associato al pallore della pelle e così le vedove Nidiki (Sud Camerun) si dipingono le gambe di bianco e le persone in lutto presso i Nandela (nord Togo) si disegnano sulla fronte, da una tempia all’altra, una striscia bianca.

Altro colore d’uso funebre in varie culture è il rosso in quanto simbolo del sangue e dell’anima: il rivestimento rosso dei sarcofagi egizi, le terre rosse (ocra) con le quali si dipingono i cadaveri o i partecipanti al lutto in epoca preistorica. L’uso del rosso sarebbe il tentativo di comunicare energia vitalizzante e corroborante attraverso un sostituto cromatico del sangue. Un uso documentato anche presso i Romani i quali, non potendo offrire al defunto vittime umane o animali per placarne il dolore, lo vestivano di color sangue. Ancora oggi in India il rosso è il colore della morte: le divinità funerarie, i vestiti dei parenti e della vedova, i fiori della ghirlanda mortuaria sono carminio.

La scelta di un colore particolare per gli abiti cosiddetti a lutto è connessa all’emozione suscitata dal colore stesso e acquista una funzione di automortificazione. In un periodo non molto lontano, la dimissione degli abiti di lutto comportava un senso di colpa e quindi spesso si ricorreva al mezzo lutto o al quarto di lutto. I luttuanti rompevano il lutto non secondo la propria volontà ma secondo l’elemento esterno della norma tradizionale. Pensando, poi, all’etichetta che regola la durata dei vari tipi di lutto legati alla relazione con il morto, essa assume la stessa funzione solutoria: il cosidetto lutto stretto obbligatorio per i parenti di primo grado e il semilutto per quelli più lontani.

In molte culture, la visita è una delle consuetudini di lutto più osservata. Esprime la solidarietà dei parenti e degli amici nei riguardi della famiglia luttuante in un quadro di reciprocità, secondo il quale chi visita attende per future occasioni di morte che lo tocchino direttamente il ricambio della dimostrazione solidale da lui data. Circa l’estensione del gruppo tenuto alla visita, vi sono notevoli varianti da luogo a luogo: può trattarsi della ristretta cerchia di amici e parenti, ma può estendersi anche all’intera cominità. Nella società contadina si tiene il conto delle persone che hanno corrisposto l’obbligo consuetudinario della visita.

Nella realtà attuale molte e profonde mutazioni si sono verificate riguardo agli abiti, il colore e la durata del lutto. Nelle culture di villaggio il costume funerario è stato mantenuto sprattutto per il colore nero e la durata degli abiti di lutto imposti alle donne. Nelle città il cordoglio è divenuto anonimo, lontano dal gruppo e non più governato dalla collettività. Esso si risolve senza il ricorso alle etichette di lutto e assume un doppio aspetto: da un lato il dolore è ricondotto nella sfera del personale e del privato, dall’altro manca dell’appoggio offerto dalla comunità.

In Inghilterra la fascia nera al braccio e l’abito scuro, versione diluita dell’abito a lutto dell’epoca vittoriana, sono oggi completamente abbandonati. In Corsica dopo la guerra del 1914-18, gli urli che accompagnavano la morte sono spariti. In Sardegna già nel secolo scorso alle nenie funebri si è andato sostituendo l’uso di chiamare, dietro compenso, le povere donne per recitare il rosario.

Il lutto deve portare al superamento della condizione di cordoglio ma anche alla conservazione della memoria del defunto. A questo scopo provvedono le commemorazioni in tempi periodici o fissi. Nella comunità cristiana, ad esempio, si celebra il rito della messa funebre con scadenze fisse dalla perdita della persona cara.

Altro rito di tradizione antica è quello di onorare il morto con offerte occasionali e/o periodiche di fiori. I Romani cospargevano i sepolcri di rose e viole credendo che i fiori fossero graditi al morto. Presso i Serbi, i Bulgari e i Russi la festa dei morti cade a primavera poiché si crede, secondo un'usanza che risale ai Greci, che la rinascita della natura conduca gli antenati a risalire nel mondo terrestre.

Nelle culture a struttura rurale e pastorale appare frequente l’imposizione del lutto agli oggetti e agli animali in quanto appendice della famiglia e dotati di un rapporto affettivo con il morto. I mobili, le porte e le finestre sono dipinti di nero per riflettere l’afflizione della casa. Una fascia nera è posta sulla spalliera del letto in cui è deceduta la persona. Un nastro nero circonda il collo di alcuni animali come i cavalli o i muli, i buoi e le pecore. A Bagnara Calabra se a morire è un cacciatore si mette un fazzoletto nero intorno al collo del suo cane. Se il morto era un contadino lo si pone alle corna delle sue mucche. In altre società se a morire era un apicultore, l’alveare era prima battuto con un bastone e poi decorato da un nastro nero affinchè le api non sciamassero via.

Un caso eccezionale è quello del lutto per il vino. Nei paesi nordici se alla morte del padrone di casa c’è del vino in cantina, qualcuno scende per spillare tre sorsi da ogni botte come per avvisare i barili che hanno perduto un buon intenditore.

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