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Elsa, irregolare suo malgrado



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“Io so parlare attraverso il teatro, Carlotto può scrivere un libro, Bechis fa un film, un altro compone e suona una musica, un altro dipinge dei quadri, e insieme raccontiamo la stessa tragica storia argentina, per lanciare piccoli messaggi”

Entusiasta, attenta, partecipe, convinta, ed emotivamente coinvolta, Ottavia Piccolo inizia a raccontare così “Buenos Aires non finisce mai”, lo spettacolo che in questi mesi l’attrice porterà in giro per l’Italia, per far ricordare una tragedia per tanto tempo scomparsa dalla memoria.


Com’è nato il testo di “Buenos Aires non finisce mai”?

Avevo letto “Le irregolari” di Massimo Carlotto, e ne ero rimasta così colpita che pur non conoscendo l’autore, gli ho telefonato per chiedere di fare qualcosa a teatro, tratta da quel libro. Carlotto ha coinvolto due giovani autori sardi, di Cagliari, Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle e così, discutendo e scrivendo insieme, è nato “Buenos Aires non finisce mai”.

Che cosa racconta?

La storia di Elsa, una donna, che vive in Argentina ai nostri giorni. Suo marito è stato preso dai militari ed è desaparecido dal 1978; Elsa per 22 anni non ha mai fatto niente per scoprire che fine abbia fatto, o perlomeno si è mossa poco. Fino a che, dovendo preparare i documenti per ottenere il rimborso che adesso in Argentina viene dato ai parenti dei desaparecidos, inizia un percorso di conoscenza, e incontra le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo. Attraverso le parole di Elsa e di queste donne, noi pubblico veniamo a sapere e capire che cosa è successo in Argentina.

E’ un testo documentario?

Ovviamente no, è un’opera dell’ingegno, che non pretende di esaurire l’argomento. Non è una storia vera ma verosimile, plausibile, possibile. Noi non parliamo di una donna precisa e delle persone scomparse facciamo soltanto i nomi, non i cognomi, perché sono 30 mila, purtroppo, troppi per raccontarli tutti… Questo spettacolo è semplicemente una piccola goccia nel mare di disinteresse che c’è stato in tutto questo tempo rispetto all’argomento della desapariciòn.

Secondo lei, a che cosa è dovuto questo disinteresse?

Credo che non si sia verificato soltanto per colpa nostra, cioè della mia generazione, che negli anni Settanta era già adulta (Ottavia Piccolo ha 50 anni, nda), o per colpa dei giovani di adesso; semplicemente credo che ci sia stata una volontà di rimozione dei fatti anche da parte dei governi di tutto il mondo.

E all’interno di questo clima di disinteresse, e di silenzio, dove si inserisce il personaggio di Elsa?

Elsa è una donna normale, comune, alla quale, nel '78, quando lei ha solo 22 anni, portano via il marito, e lei non ne sa il motivo, non sa nemmeno se il suo uomo si occupasse di politica o no. Fino al 2000 Elsa non sa, adesso invece si inserisce nell’ambito di chi vuole sapere, e comincia a scoprire, a conoscere, diventando così “eroina” suo malgrado.

Perché “suo malgrado”?

Perché non voleva esserlo, né pensava affatto di esserlo, non si credeva nata per diventare un’eroina: Elsa è un personaggio molto umano e molto semplice, che non si aspettava assolutamente che questa cosa le piombasse sulla testa, tant’è vero che è stata per 22 anni immobile, senza prendere alcuna posizione.

Dunque un atteggiamento inizialmente passivo?

Sì, ma frequente e comprensibile. La tragedia dei desaparecidos è talmente grande che ogni atteggiamento delle persone che l’hanno vissuta sulla loro pelle, è plausibile: ci sono quelle, e quelli, che combattono; quelli che cedono; quelli che si rintanano in un silenzio assoluto per anni. Solo soffermandosi ad esaminare la stranezza e la tragicità della situazione, e la storia politica dell’Argentina dagli anni Settanta fino ad ora, si può capire che la tragedia è talmente grande e inspiegabile che ognuno reagisce come può, e come crede giusto.

Quali caratteristiche di Elsa la incuriosiscono di più?

La sua testardaggine nell’aspettare, e la forza che le viene dalla debolezza, e che dunque non è pre-costituita, e militante… Elsa, sempre suo malgrado, si trova iimmersa in questa tragedia, addossandosi una missione più grande di lei.

Qual è questa missione?

Quella che si sono date tutte le donne di Plaza de Mayo, perché sono state soprattutto le donne a venire allo scoperto: la missione di passare il testimone di questa storia saltando una generazione, quella dei loro figli scomparsi, per arrivare direttamente ai nipoti.

E invece qual è la missione di Ottavia Piccolo nel portare sulle scene questo spettacolo?

Semplicemente parlarne. Mi sono accorta che, come me e peggio di me, c’è tutta una generazione che non sa un accidente dei desaparecidos argentini, e le poche cose che si leggono sui giornali sono frammentarie. Con “Buenos Aires non finisce mai” non vogliamo esaurire l’argomento, vogliamo soltanto creare interesse intorno alla situazione, incuriosire, e invogliare lo spettatore a documentarsi. Leggendo il libro di Carlotto mi sono detta: “Ma dove eravamo nel 78? Noi che pure eravamo attenti ad altre situazioni, ad altre tragedie accadute nel mondo in quel periodo?” Tante notizie non ci sono arrivate o ci sono state raccontate in modo scorretto e quindi, visto che le madri e le nonne argentine ci sono ancora, sono combattive e sono le ultime testimoni di questa storia, e visto che lo Stato italiano fa in Italia un processo contro alcuni dei torturatori, ho sentito la necessità di parlare di loro, semplicemente parlarne.

L’udienza del processo contro i generali Pason e Riveros è fissata per la metà di ottobre. Il fatto che il suo spettacolo abbia debuttato appena prima di ottobre, e che anche lo spettacolo di Carlotto sia in tourneé, proprio ora segue un piano preciso?

No, è stato un caso. Se io non avessi letto il libro di Carlotto, probabilmente non mi sarei sentita spinta a fare uno spettacolo del genere, l’avrebbe fatto forse qualcun altro, almeno spero. Marco Bechis ha girato Garage Olimpo perché era coinvolto in prima persona nella tragedia della desapariciòn. So che altri hanno fatto spettacoli su questo argomento - serate, letture - ma un conto sono le testimonianze, i convegni, e un conto è che uno racconti una storia.

Quale frase del suo spettacolo la emoziona di più?

Ho in testa tantissime parole e frasi, che non appartengono a una sola donna ma che possono rappresentarle tutte. Ce n’è una però che mi piace in particolare, e che facciamo dire ad Elsa: “Ho altri 30.000 mariti di cui occuparmi”; dicendo così Elsa allarga il suo dolore personale e lo fa diventare una spinta per pensare anche agli altri.

Finora quali sono state le reazioni del pubblico?

Sono venuti molti spettatori, soprattutto donne, a ringraziarmi per averli colmati di un vuoto e per aver aperto un interrogativo al quale vogliono dare delle risposte, per cercare di capire.

Ed Elsa che cosa ha dato a Ottavia Piccolo?

Gli attori mettono spesso dentro un personaggio le proprie emozioni, però viceversa, raccontando un personaggio inventato ma reale, si compie anche un percorso di conoscenza. Elsa mi ha dato la possibilità di conoscermi meglio.

Un’ultima domanda: Elsa troverà suo marito?

No, non c’è, non c’è più, non c’è più, e ogni volta che ne parlo mi assalgono delle ansie e delle angosce terribili. D’altra parte questo è uno spettacolo che mi svuota come un calzino. Mi sento sempre così quando si chiude il sipario.



“Buenos Aires non finisce mai” di Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle, ispirato al libro di Carlotto “Le irregolari”, regia di Silvano Piccardi. Musiche di Maurizio Camardi, la canzone “Buenos Aires non finisce mai”, “milonga de un triste è di Camardi-Gianco.
Date della tourneè:
Milano, 10 e 11 Ottobre, alla Camera del lavoro,
Napoli, dal 18 al 22 Ottobre, al Teatro “Il primo”.


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