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Letti per voi/Le irregolari



Massimo Carlotto



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Quella che segue è una selezione di brani tratta da "Le irregolari/Buenos Aires horror tour" di Massimo Carlotto

Cap. XIII “Plaza de Mayo”, pp.89-90:

Quel giovedì in Plaza de Mayo c’era un bel sole caldo di fine inverno. La polizia in tenuta antisommossa era attestata discretamente nelle vie circostanti. Le Madri e le Nonne marciavano lentamente intorno al monumento all’indipendenza, tenendo ben stretto il bavero del cappotto. Sentivano ancora il gelo dell’acqua degli idranti che le aveva gettate a terra nella loro piazza, appena una settimana prima.

Nei loro occhi non c’era la minima traccia di paura: quella l’avevano perduta molti anni prima quando un ufficiale aveva creduto di farle scappare a gambe levate ordinando alle sue truppe di prendere la mira e loro, tutte insieme, avevano gridato “Fuoco!”, coprendo di ridicolo quell’esercito senza onore. I loro sguardi invece erano pieni di rabbia per la consapevolezza che dopo oltre mille giovedì Plaza de Mayo poteva di nuovo essere violata da quelle stesse forze dell’ordine che avevano assassinato i loro figli e rapito i loro nipoti.


Tamburi e slogan solidali annunciarono l’arrivo dei sindacati e degli studenti. Quando li vidi, pochi e tutti giovani, a parte qualche spruzzo qua e là di capelli bianchi, mi resi conto per la prima volta che era proprio vero che la generazione degli anni Settanta era stata sterminata. I pochi superstiti si tenevano stretti a quelle donne dai fazzoletti bianchi che al collo portavano appese sbiadite fotografie.

Cap.XVII, “Beatriz”, dal racconto di Elsa, p.129:

“Avevano creduto di fermarci; ma il giovedì successivo noi ci presentammo nuovamente in Plaza de Mayo… Il periodo peggiore fu però durante i mondiali di calcio del ’78. I militari non volevano che la nostra presenza disturbasse la grande festa dello sport e in Plaza de Mayo ci aizzavano contro i cani che ci mordevano le mani e le gambe. Noi ci difendevamo con un giornale arrotolato che infilavamo nella bocca dei dobermann.

Arrivarono a lanciare lacrimogeni e noi, come avevano fatto precedentemente i nostri figli, imparammo a sopportare i gas premendoci sulla bocca fazzoletti impregnati di acqua e bicarbonato. Non volevamo perdere la nostra piazza e fummo costrette a batterci come ragazzi, noi, che eravamo solo delle casalinghe di una certa età. Iniziarono ad arrestarci a gruppi di sessanta o settanta. Quelle di noi che non venivano caricate sui cellulari, correvano al commissariato e chiedevano di essere arrestate. Insomma, ogni giovedì era una battaglia, ma noi non abbiamo mai abbandonato la nostra piazza…”.

Ibidem, dal racconto di María Esther, p.98:

Bevve l’ultimo goccio di caffè rimasto nella tazzina e si accese una sigaretta.

“Invece fu veramente mostruoso il cinismo degli stati che per vigliaccheria non boicottarono i mondiali di calcio del ’78… Il mondo sapeva cosa succedeva in Argentina, ma pur di tirare quattro calci a un pallone, vennero qui a gridare festosi negli stadi insieme agli assassini, ad applaudirli mentre si pavoneggiavano come puttane nelle loro divise piene di medaglie e salutavano dalle tribune d’onore. E a ogni goal un gruppo di prigionieri spariva in fondo al mare o in fosse comuni”.

Colse il mio sguardo stupito e si affrettò a spiegare: “I militari, temendo che qualche commissione di associazioni per la difesa dei diritti umani o della Croce Rossa scoprisse qualche campo clandestino, decisero di fare pulizia in quelli più conosciuti eliminando tutti i prigionieri, e in molti casi distruggendo gli edifici con la dinamite e le ruspe per cancellare ogni prova. Tutti conoscono e ricordano le prodezze dei campioni ma nessuno sa che quello fu il periodo in cui venne eliminato il maggior numero di desaparecidos”

Questa volta fu lei ad alzarsi dal tavolo. “Forse sono stata un po’ scortese” si scusò mentre si infilava il cappotto, “ma non sopporto che dopo tutto questo tempo i militari e i loro complici non siano stati ancora puniti dalla comunità internazionale” aggiunse sistemandosi la sciarpa di seta. “Solo la comunità internazionale può intervenire, perché i crimini contro l’umanità non vanno mai in prescrizione e perché l’Argentina, nel suo isolamento, non riuscirà mai a fare i conti con il passato”.

Si fermò sulla porta e armeggiò con la Leica, sostituendo l’obiettivo. Poi si girò e mi scattò una fotografia. “Adios”. E si mescolò ai passanti.

Cap.XIII, “Plaza de Mayo”, dal racconto di María Esther, p.97:

“La comunità internazionale gridò di orrore dopo il golpe in Cile e la morte di Allende, ma con noi fecero finta di non vedere e non sentire perché la dittatura argentina iniziò a fare affari con tutti… Anche con l’Italia… Riuscì perfino a ottenere grossissimi prestiti che finirono nelle tasche di alcuni, in acquisti di armi e nella costruzione di opere faraoniche che dovevano celebrare la nuova, grande Argentina.

Ma la mossa più furba della dittatura fu quella di fornire grano e carne all’Unione Sovietica dopo l’embargo americano per l’invasione dell’Afghanistan. I nostri generali di giorno definivano il comunismo cancro dell’umanità e di notte caricavano le navi di cibo per i loro peggiori nemici. In cambio non hanno ricevuto solo oro ma anche e soprattutto copertura politica: l’URSS diventò il principale alleato di questa banda di assassini. I comunisti locali fedeli a Mosca si affrettarono a riconoscere il nuovo governo. Così non finirono nei campi clandestini. I partiti fratelli europei si adeguarono, limitandosi a distribuire affettuose pacche sulle spalle degli esiliati”.

Avrei voluto interromperla, ribattere punto per punto, dimostrarle che si sbagliava, ma nel profondo del mio cuore e della mia coscienza sapevo che stava dicendo la verità.

Cap.XXIII, “Elías e Nelly”, dal racconto di Padilla, pp.156-7:

“La metodologia repressiva basata sui sequestri rischia di diffondersi nel mondo- intervenne Padilla Ballesteros,- perché è la più perfetta fabbrica di consenso mai concepita. Come ti avranno già spiegato in Argentina, la gente non difende più i suoi diritti ma scivola verso l’apatia e l’indifferenza.

Fino agli anni Sessanta la desaparición era storicamente sconosciuta. Ora si presenta come il perfezionamento di tutte le tecniche di terrorismo e sterminio mai esistite; per questo è importante che le Nazioni Unite la denuncino come il più grave crimine contro l’umanità, il delitto dei delitti, che contempla quattro reati gravissimi: sequestro, tortura, omicidio e occultamento di cadavere. Non ci sono spiegazioni da dare, né corpi e funzioni funebri. Non ci sono processi, né imputati. Solo silenzio, mistero, incertezza”.


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