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Una realistica via d'uscita c'è



Gaetano Quagliariello




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In una democrazia liberale il ruolo dell'opposizione è importante quanto quello della maggioranza. Intendo dire che il conflitto di interessi assume dimensioni più serie ed importanti se coinvolge il leader dell'oppposizione che non il capo della maggioranza. Questi infatti è sempre sotto i riflettori e così ogni tipo di controllo è più facile da mettere in atto garantendo la solidità delle istituzioni democratiche e liberali. Stiamo quindi parlando di un problema, il conflitto d'interesse, che non è affatto nuovo, ma che andava risolto nella passata legislatura, mentre oggi, paradossalmente, chi non ha posto rimedio grida allo scandalo.

Ma proviamo ad affrontare la questione da una prospettiva storica. Da un punto di vista liberale, dovremmo cercare soluzioni che siano idonee a far circolare, in un regime di concorrenza, più idee possibili, evitando eccessive forme di regolamentazione. Da questa prospettiva il duopolio televisivo ci appare ai suoi esordi come una conquista di libertà, una soluzione che ha favorito la circolazione delle idee. Da una parte infatti ha rotto il monopolio della Rai; dall'altra, troppo spesso ce ne dimentichiamo, il duopolio si è stabilizzato grazie a dinamiche di mercato che hanno permesso un progresso nella circolazione delle idee. Ritengo insomma che il duopolio dell'informazione televisiva sia stato uno dei fattori pricipali della secolarizzazione della cultura e della politica del nostro paese.

Gran parte dell'opposizione ideologica diretta verso l'attuale Presidente del Consiglio nasce, a mio parere, dal fatto che si ritiene Berlusconi responsabile della rottura di quella stabilizzazione culturale in cui l'Italia si è trovata ingessata fino alla fine degli anni Settanta. Che cosa, dal decennio successivo fino ad oggi, ha sostanzialmente modificato la situazione?
Molti sono i fattori di cui tenere conto, ma due in particolare meritano di essere sottolineati: le innovazioni tecnologiche che offrono possibilità che nei decenni passati non c'erano e, in secondo luogo, l'innovazione politica. Con il passare degli anni si è fatta sempre più stringente la dipendenza tra l'elemento mediatico e la realtà delle forze politiche. I soggetti politici si sono "mediatizzati", hanno spostato gli equilibri di potere all'interno dei partiti dalle risorse ideologiche di un tempo alla gestione dell'immagine dei nostri giorni. Controllare l'informazione è molto più importante che vincere un congresso.

Se il duopolio, negli anni Settanta e Ottanta, è stato una fattore di liberalizzazione, oggi si è trasformato in un ostacolo, in un congelamento politico che ha incontrato solamente soluzioni deboli. Questa debolezza potrebbe però essere un'occasione per un ulteriore passo in avanti verso la liberalizzazione del sistema televisivo, verso la creazione di qualcosa di nuovo. Forse ci si sta presentando davanti l'opportunità politica per non limitarci solamente alla questione delle nomine, ma andare oltre immaginando un percorso che ci conduca, da una parte, ad una privatizzazione possibile, dall'altra alla creazione di un mercato pluralista con nuove voci e nuovi protagonisti.

E' una strada possibile, realistica. Ovviamente la "privatizzazione" non è una parola magica, ma un'idea che ha bisogno di una precisa volontà politica e di un metodo trasversale (questo è il motivo per il quale personalmente ho aderito all'appello di Reset): stiamo parlando di interessi che si possono rintracciare in tutti gli schieramenti e che iniziano a farsi strada anche all'interno della Rai.

 

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