Italia-Argentina andata e ritorno
Vanni Blengino e Claudio Tognonato con Antonia Anania
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“In America Latina circola questa battuta: i messicani discendono
dagli Aztechi, i peruviani dagli Incas e gli argentini dalle navi. L’Argentina
è per antonomasia una nazione creata dagli emigrati”. Esordisce
così Claudio Tognonato, giornalista e sociologo nato a Buenos Aires
nel 1954 da una famiglia per tre/quarti italiana (il restante quarto
viene dall’Olanda), e vissuto lì fino al '76, quando è stato
costretto a lasciare il Paese con l’avvento della dittatura
militare.
Discutiamo di italiani in Argentina con lui e con Vanni Blengino,
docente di Letteratura presso la Terza Università di Roma e studioso
dei rapporti tra immigrazione e letteratura sudamericana -suo Oltre
l’Oceano (Edizioni Associate, 1990): “Il caso latino-americano
e in particolare argentino è quello in cui più incide
qualitativamente e quantitativamente l’immigrazione italiana sulla
società. Anche in letteratura. Mentre negli Stati Uniti la componente
italiana in letteratura è un fenomeno ai margini, di terza
generazione, qui non c’è differenza tra letteratura argentina e
italo-argentina. Perfino Borges, che con gli italiani ha avuto sempre
un atteggiamento ironico e non è di origine italiana, ha dichiarato:
'Discendiamo tutti dagli italiani'”.

“Più di un terzo della popolazione argentina
-afferma Tognonato- è di origine italiana. Nel 1870 gli immigrati
cominciano a sbarcare nel porto di Buenos Aires, prevalentemente dal
Nord Italia, poveri e disoccupati. Col passare degli anni sono
arrivati anche dal Centro e dal Sud. L’Argentina accoglieva bene gli
emigranti perché c’era lavoro ed essendo un Paese vasto sette volte
l’Italia, ambiva a essere popolato (ancora oggi l’Argentina ha
solo 35 milioni di abitanti). Ottenere la cittadinanza non era un’impresa
impossibile, come è oggi in Europa. In Argentina come in tutta l’America
vige lo ius soli: chi nasce sul suolo americano ha il diritto a
averne la cittadinanza, mentre in Europa vige lo ius sanguinis,
cioè l'acquisizione di cittadinanza legata principalmente al vincolo
di sangue”.
E se è vero che la letteratura è espressione di un popolo “anche
il romanzo naturalista e il teatro popolare nati alla fine del 1800
-continua Blengino- raccontano soprattutto le storie degli immigranti
italiani perché erano più numerosi e parlavano il dialetto della
zona da cui provenivano, per cui a volte per esempio tra un piemontese
e un siciliano o un veneto e un calabrese era difficile comunicare e
questo costituiva un elemento sul quale ridere nelle commedie o da
descrivere nei romanzi”.
Agli occhi e sulle labbra degli argentini gli italiani sono i tanos
“che probabilmente -spiega Tognonato- è un’abbreviazione di napoletanos
perché molti meridionali anziché indicare il loro paese preciso di
provenienza, spesso preferivano fare riferimento a una città che
tutti conoscevano come Napoli”. Erano tanos gli agricoltori
italiani senza terra e senza cultura che a Rosario e a Buenos Aires
trovavano lavoro come muratori. Così come tanos erano coloro
che fondarono il Movimento Anarchico Argentino, influendo così a dare
agli italiani anche una caratterizzazione politica.
Tra gli anarchici si registra la presenza di Errico Malatesta che
proprio a Buenos Aires inizia la pubblicazione de La questione
sociale, un giornale bilingue che diffonde tra gli emigrati gli
ideali anarchici e socialisti. O quella di un altro italiano ancora
dimenticato, Severino Di Giovanni, fucilato dai militari dopo un
processo sommario nel gennaio 1931.
E malgrado italiano e spagnolo provengano da uno stesso ceppo, i tanos
avevano sempre difficoltà a imparare lo spagnolo, come spiega Claudio
Tognonato: “Ricordo che anche mia nonna materna, che era toscana, di
Massa Carrara, non riuscì mai a parlare correttamente lo spagnolo: il
suo modo di esprimersi veniva chiamato cocoliche, cioè un
miscuglio di italiano e spagnolo. D’altra parte nei sobborghi di
Buenos Aires si parlava e si parla tuttora il lunfardo, una
lingua usata nelle liriche dei tangos e che ha ripreso molti
termini di derivazione italiana, deviati di significato, però: per
esempio ‘guarda’ non significa ‘osserva’ ma ‘stai attento’
come in certi dialetti dell’Italia”. “E in molti tangos
-continua Blengino- Carlos Gardel canta proprio la nostalgia dell’emigrante,
per esempio ne La viuleta o anche in canzoni come Que te
guardo que te penso in cui un emigrante italiano a Buenos Aires
ricorda la torre di Genova”.
“Quei 15.000 Km che dividono l’Argentina e l’Italia -racconta
Tognonato- quell'oceano in mezzo, cinquanta anni fa erano una distanza
insormontabile. Allora la nostalgia tipica dell’emigrante era più
acuta. Partivano per l’Argentina mettendo nelle valigie, insieme ai
loro sogni, tutti i loro averi perché sapevano che con molta
probabilità avrebbero fatto un viaggio senza ritorno. Un taglio netto
che chiudeva con il passato, lasciandosi spesso dietro la famiglia che
sarebbe stata richiamata quando la situazione economica fosse
diventata più solida. Alla famiglia in Italia gli emigrati spedivano
lettere e denaro, come faceva il mio bisnonno, un anarchico toscano
che a Buenos Aires lavorava il marmo. Sarebbero mancati loro gli amici
di gioventù, la loro storia: così cercavano di ricreare i punti di
riferimento culturali riunendosi in associazioni per lo più regionali
che esistono tuttora.”.
Nel cuore degli emigrati ‘imprenditori di se stessi’ c’era l’Italia
che però li aveva abbandonati: “In quei tempi l’Italia non si
preoccupò di dare un qualche appoggio a queste persone, anche perché
non era un Paese benestante e non aveva la possibilità di pensare ad
una politica culturale verso gli emigrati. Le notizie che arrivavano
dalla madrepatria venivano dalle associazioni regionali di mutuo
soccorso e dalle lettere dei parenti, non dagli organismi nazionali”.
“Quando mi sono interessato di immigrazione e letteratura, -dice
Blengino-. partivo da alcuni schemi e stereotipi come quello dell’immigrante
denigrato. E se certa critica tendeva a sottolineare questi luoghi
comuni, leggendo i testi di letteratura mi sono invece accorto che ci
sono varie tendenze, quella che esalta l’immigrante italiano, quella
che lo denigra, quella che lo accetta. Essendo ricco il contesto, la
letteratura propone una divergenza di vedute, una quantità di
sfaccettature e si possono persino intravedere anche le varie matrici
regionali, per esempio quella napoletana nel commediografo Discepolo,
che fondò il genere teatrale grottesco e fu amico di De Filippo”.

Chi di voi ricorda soltanto Dagli Appennini alle
Ande, può sincerarsi che questa non è l’unica storia romanzata
sul rapporto Italia-Argentina, andata e ritorno. Ci sono storie di
viaggi e di personaggi che hanno transitato da una parte all’altra.
La figura dell’immigrante è al centro della letteratura, l’immigrante
che spesso deve inserirsi nelle grandi città. E allo stesso tempo
oggi ci sono vari letterati e romanzieri argentini, come Antonio Dal
Masetto o Ricardo Piglia, che fanno da ponte tra Italia e Argentina,
traducendo testi da una lingua all’altra. Per recuperare le radici e
le origini e mantenere vivo il contatto: “Nella letteratura
argentina contemporanea -afferma Blengino- si rivela, per esempio,
molto forte il recupero del nonno, cioè della storia degli antenati
che precede lo sbarco in Argentina, come succede in Se fossimo
rimasti lì di Roberto Raschella”.
Un desiderio di ritornare in Italia che oggi si manifesta anche in
un altro fenomeno raccontato da Claudio Tognonato: “In questi ultimi
anni di fronte al consolato italiano a Buenos Aires si vedono, ogni
giorno, lunghe file di figli e nipoti di emigrati che aspettano di
ottenere un passaporto italiano per tornare nella terra d'origine o
avere diritto a entrare nell’Unione Europea. Se nel periodo della
dittatura militare questo succedeva perché in Argentina venivano
violati i diritti umani, oggi questo succede perché l’economia è
ferma: non si produce e la disoccupazione aumenta. E, cosa curiosa,
poco tempo fa ha chiesto e ottenuto un passaporto italiano perfino
Domingo Cavallo - l’economista che è riuscito a bloccare l’inflazione
per dieci anni con il suo piano economico di convertibilidad, e
che adesso è stato richiamato al ministero dell’economia, vista la
gravità della situazione”.
Motivi politici, economici e ricordi nostalgici, contemporaneamente o
separati, portano gli italo-argentini a fare a ritroso il viaggio dei
loro nonni e bisnonni. Ma in questo “sentirsi a metà”, un po’
italiani e un po’ argentini, che cosa li lega all’Italia e che
cosa all’Argentina? Lo chiediamo a Claudio Tognonato che ritorna
spesso a Buenos Aires per tenervi dei corsi universitari: “Ho
vissuto in Argentina da quando sono nato fino ai 22 anni, per cui all’Argentina
mi lega il mio passato, che soprattutto recentemente ha preso una
connotazione politica e drammatica (vd: http://www.caffeeuropa.it/attualita/
103attualita-tognonato.html ). Anni che mi hanno segnato come un
marchio e che mi danno un’identità della quale non voglio, né
posso fare a meno. Ritornare ogni volta in Italia, invece, rappresenta
per me il futuro, i miei progetti. Un equilibrio precario tra passato
e futuro. Forse si può dire che il desiderio umano è cercare di
recuperare il passato, e fare un futuro di ciò che ci manca. Forse è
una utopia, ma senza queste utopie non c’è domani”.
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