Alla sorella degli emigranti
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Antonella Sbolci, Amore di terra lontana, Le lettere 2001, 224
pagine, lire 30.000
“Quella di mia nonna Fedra è una storia intensa che ho potuto solo
accennare nel mio libro ma che nasconde e accompagna tante altre
storie avvincenti di persone che lei ha incontrato e amato”, scrive
Antonella Sbolci, autrice di Amore di terra lontana (Le
lettere), che raccoglie la testimonianza di Fedra Ferolfi, un tempo
presidente provinciale di Firenze dell’Associazione Nazionale
Famiglie degli Emigranti (ANFE). Il saggio narra la storia degli
emigranti italiani e delle loro famiglie dal dopoguerra fino agli anni
Settanta, fatta di singole vicende narrate in modo appassionato dagli
stessi protagonisti.
L’avventura di Antonella Sbolci è nata da un incontro casuale e,
allo stesso tempo, desiderato con la vita raccontata da alcuni
emigranti nelle lettere conservate per anni da sua nonna, una persona
speciale “su cui si poteva contare”. Fedra Neri aveva trascorso un’infanzia
difficile a Torrita di Siena: orfana di madre a due anni era cresciuta
col padre, la matrigna e i loro dieci figli. Dovendo aiutare in casa
non frequentò mai la scuola, ma imparò a leggere nei tre mesi di
catechismo che le furono concessi dagli impegni familiari e continuò
ad esercitarsi con i libri dei fratelli.

A diciassette anni, una signora di ricca famiglia le
propose di trasferirsi a Firenze per diventare la dama di compagnia di
sua figlia. Per dieci anni “Fedra fu molto felice ed ebbe
materialmente ed affettivamente tutto quello che desiderava”. Nel
1929 si sposò con Carlo Ferolfi e i loro anni insieme furono sereni
sebbene costellati da due lutti e vicendevoli restrizioni economiche.
Il materiale, rielaborato dalla nipote, è stato raccolto negli anni
di lavoro svolto da Fedra come presidente provinciale di Firenze dell’ANFE.
Confida Antonella: “ È stato un lavoro enorme, sono stata per un
anno immersa nelle lettere polverose e logore, cercando di decifrare i
nomi dei firmatari e le parentele che li univano agli altri
corrispondenti di nonna Fedra”.
Dopo aver archiviato il materiale, Antonella ha deciso di utilizzarlo
per la sua tesi di laurea e ne è nato un lavoro interessante sul
fenomeno dell’emigrazione italiana. Amore di terra lontana è
dedicato alla figura straordinaria della nonna, chiamata
affettuosamente dai suoi corrispondenti "la sorella degli
emigrati", una testimonianza di “quanto Fedra fosse di fatto
vicina sia a quanti partivano che a quanti restavano a casa, cioè le
famiglie”.
Qual è il punto di partenza del suo libro?
L’emigrazione è uno sbocco per un momento di crisi individuale e/o
familiare. L’emigrante ha scelto, tra le varie possibilità, di
darsi una chance di cambiamento, per migliorare la propria posizione
economica e sociale. Numerosi sono anche gli episodi di quelli che non
danno alcuna notizia di sé alla famiglia: il partire per un altro
Paese era in questi casi una sorta di divorzio, un rifiuto totale
della propria famiglia. Un altro aspetto della crisi che conduce a
emigrare è quello politico: l’emigrante vuole cercare altrove più
libertà e più giustizia.perché non è soddisfatto della politica
condotta dal proprio Paese.
Tutti questi aspetti sommati insieme costituivano il sogno dell’emigrante:
dalle lettere sono emerse differenze tra il vivere in America
piuttosto che in altri continenti?
La maggioranza di coloro che arrivavano in Sud America erano animati
da sogni ottimistici e da aspettative molto elevate. L’immagine
comune ritrae il Brasile, l’Argentina, il Venezuela come paesi
ricchi di opportunità. Gli arrivi, però, dimostravano l’irrealtà
di queste previsioni: le metropoli erano dei giganti in espansione
divise tra due estremi, una grande ricchezza e una grande povertà.
Al contrario, coloro che partivano per l’Africa si aspettavano di
giungere in un luogo squallido e selvaggio, popolato da primitivi. In
realtà l’impressione che si ha leggendo le lettere è di un
meraviglioso paese in cui regna la calma e la tranquillità, dove gli
immigrati vivevano come signori in case sfarzose di 5 o più stanze e
avevano degli inservienti, i cosiddetti boys.
Anche l’Australia con i suoi sterminati territori, offriva all’emigrato
spazio per i suoi sogni, ma contemporaneamente la difficoltà nel
comunicare con l’altra parte della Terra lo conduceva all’isolamento.
È elevata l’incidenza dei dispersi volontari e dell’insorgere di
malattie mentali. Negli Stati Uniti, le colonie italiane stabilitesi
da alcuni anni permettevano ai nuovi immigrati di ritrovare una parte
della loro cultura e rendevano il distacco meno difficile.
Nel suo libro vi sono alcune pagine dedicate alla donna emigrante.
Quali le caratteristiche salienti di questa figura?
La donna nell’emigrazione è una figura sociologica
interessante. Scrivevano a mia nonna donne che hanno vissuto un’epoca
di cambiamento del loro ruolo nella società e nelle proprie case;
riconosciute cittadine dall’Assemblea Costituente con diritto di
voto, diritto al lavoro, all’accesso ai pubblici uffici, nonché all’uguaglianza
giuridica e morale nel matrimonio.
Questa figura era animata dal desiderio d’indipendenza e si
confrontava quotidianamente con la donna della generazione precedente
che rifletteva un’educazione moralista d’inizio secolo. Talvolta
le ragazze nubili si sposavano per procura con uomini emigrati da
alcuni anni. Ricordo l'episodio simpatico di una sposina che, allo
sbarco in Australia, non trovando il marito di suo gradimento era
fuggita su un’altra nave per tornare a casa.

Credo che nelle donne di quel momento storico sia
forte l’aspetto della rivalsa e che mia nonna avesse deciso di
aiutarle a svolgere ogni sorta di pratica burocratica perché lei
stessa era stata trasformata dall’esperienza di lontananza dalla
famiglia d’origine. Fedra capiva il bisogno dell’emigrante di
sentirsi considerato dalla sua patria.
Quando ero piccola l’aiutavo nell’infiocchettare con un nastro
tricolore i rametti di ulivo benedetto che poi venivano spediti in
tutto il mondo e so, attraverso i racconti dei parenti, che spediva
libri e giornali, la pasta e i dolci delle feste e organizzava, in
collaborazione con la RAI, la trasmissione radiofonica Amore di
terra lontana mandando in onda i messaggi precedentemente incisi
dai parenti degli emigrati.
Tra tutte le storie ritrovate nelle lettere ce n’è una in
particolare che l’ha colpita?
Quella del capofamiglia fiorentino, padre di quattro figlie
affettuosamente chiamate "le care cirilline", che
imbarcatosi per il Brasile non arrivò mai a destinazione a causa del
cibo avariato somministratogli dalla compagnia marittima. Il
linguaggio amoroso di quest’uomo verso la moglie e le figlie, le sue
speranze di una vita migliore e il tragico epilogo mi hanno turbato:
è la storia della nostra emigrazione fatta di vite diverse.
Qual’è lo scopo dell’ultima parte del suo libro in cui parla
degli emigranti che realizzano i loro sogni nella nuova patria?
Volevo raccontare le storie di coloro che, tornati in Italia, sono
rimasti delusi dal tentativo di rifarsi una vita altrove -o che sono
incapaci di riadattarsi in un Paese mutato in 20 e più anni- e di
coloro che decidono di restare e divengono cittadini di un nuovo
Paese.
L’emigrato che si stabilisce definitivamente all’estero, come la
cara amica di nonna Fedra e mia, Idria, che vive in Argentina, sa che
i figli e i nipoti sono nati in quella terra e che la sentono propria.
Anche se potesse, Idria non tornerebbe in Italia perché la terra
straniera è ormai la casa della sua famiglia. L’amore per le
proprie radici viene sopraffatto dall’amore per la propria
discendenza.
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