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La Convenzione che ha redatto la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea è stata composta unendo fonti di legittimità nazionale ed europea e rappresentanze degli esecutivi nazionali ed europei, in modo tale da garantire il più possibile la democraticità dei lavori. I quattro italiani che hanno partecipato alla Convenzione sono l’On. Rodotà (che ha rappresentato il Capo dello Stato italiano), l’On. Paciotti (rappresentante italiana del Parlamento Europeo), l’On. Manzella (per la Camera del Senato), l’On. Melograni (per la Camera dei Deputati).

Abbiamo raccolto il loro parere su diversi aspetti del dibattito: il valore della Carta, gli articoli più dibattuti, e i motivi del mancato -o tardivo- coinvolgimento dell’opinione pubblica, soprattutto in Italia.

Stefano Rodotà è Presidente dell’Autorità per la Privacy, Presidente Europeo dei Garanti per la protezione dei dati personali.

Quale ritiene sia il significato della Carta dei diritti per l’UE?

L’adozione di una Carta dei diritti rende visibile l'apertura di una fase Costituente dell'UE e spazza via la tesi tante volte sostenuta che l'Europa non avesse bisogno di una esplicita Costituzione perché già ne aveva una ricavabile dai trattati, dalla giurisprudenza della corte di giustizia.

Riveste quindi un significato enorme, in quanto cambia l'ambiente istituzionale dell'EU. Anche se sarà soltanto "proclamata solennemente" a Nizza, senza le venga attribuito un immediato valore giuridico vincolante, non c'è dubbio che le istituzioni europee, a partire dalla Corte di giustizia, potranno farvi riferimento ugualmente. Inoltre, da Nizza in poi la revisione dei trattati incontrerà inevitabilmente la questione del riconoscimento dei diritti fondamentali come l'evento costitutivo della futura costituzione o legge fondamentale dell'Europa.


Eppure c’è chi interpreta un eventuale mancato riconoscimento giuridico come la vittoria dell’interpretazione minimalista della Carta, che la considera mera raccolta di diritti già esistenti.

Fin dall’inizio, uno dei punti di grande scontro all'interno della Convenzione è stato proprio il conflitto tra chi riteneva che la carta dovesse essere puramente riproduttiva della Convenzione europea dei diritti e chi riteneva di dover andare oltre. Certo ognuno può dare l'interpretazione che preferisce; tuttavia la tesi che si tratti di una pura riproduzione di diritti già esistenti è contraddetta dalla realtà dei fatti.
La Carta infatti va sicuramente al di là della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 sia nell’elaborazione dei contenuti riguardanti alcuni dei diritti che quest’ultima riconosceva, che nell’inclusione dei diritti sociali e dei cosiddetti "diritti nuovi" (quelli riguardanti la protezione dei dati personali, la bioetica, il riconoscimento della diversità, la tutela dell'ambiente) che ad essa erano completamente estranei, se non altro per ragioni storiche.
La posizione dell’Italia è stata, in tutto il lavoro sulla Carta, quella di andare oltre i confini ristretti della Convenzione dei Diritti del ‘50, e la stessa discussione parlamentare - per quanto polemica- è stata animata da chi voleva ampliarla, e non ulteriormente ridurla o riportarla a questi confini.

Ha citato i “nuovi diritti”, che tutelano i cittadini europei davanti all'espandersi delle tecnologie: è stato difficile accordarsi sulla loro formulazione?

Devo dire che non è stato difficile: c'era una grande consapevolezza che un documento nel nuovo millennio che avesse ignorato la dimensione dell'informatica, la protezione dei dati, la bioetica, sarebbe stato un documento incomprensibile per i cittadini. Infatti questi sono temi che non solo affascinano per alcuni aspetti limite, ma sono diventati oggetto di una discussione diffusa, che si ritrova tutti i giorni sui giornali.
Qualche difficoltà c'è stata nell'articolo riguardante la bioetica sul punto della clonazione riproduttiva perché alcuni inizialmente volevano che fosse vietata la clonazione in quanto tale - posizione insostenibile dato che non si può vietare una tecnica che si usa da tempo per diverse finalità. Dato che in realtà quello che si voleva evitare era la duplicazione di esseri viventi umani, alla fine anche su questo articolo non è stato difficile trovare un'intesa.

Una delle critiche mosse alla Carta è che il documento è stato redatto "in silenzio" tra Bruxelles e Strasburgo. Raccoglie la critica?

La critica ha un aspetto di verità, nel sostenere che un documento cosi impegnativo ha bisogno di una legittimazione più larga di quella che può venire dal lavoro di 62 persone scelte da governi e parlamenti e dalla Commissione europea. Ma non c'è stato silenzio. La scarsa attenzione non è certo imputabile alla procedura che è stata scelta nella redazione: tutti i documenti riguardanti il lavoro della Convenzione erano in Rete, c'è stata una larga serie di audizioni di organizzazioni rappresentative della società civile europea, dei paesi candidati, oltre che dibattiti e discussioni in diversi parlamenti.
La discussione più larga si è avviata solo adesso: una volta che entrerà nel processo di revisione dei trattati, la carta sarà discussa, se ne indicheranno i limiti da integrare nel futuro e alla fine del processo si porrà il problema di una sua piena legittimazione democratica attraverso referendum o processi equivalenti.

Perché in Italia il dibattito non ha riscosso il dovuto interesse nell’opinione pubblica?

Non è stato facile far crescere l'attenzione all'impresa. Io stesso ho scritto diversi articoli, a partire dall’inizio dei lavori della Convenzione alla fine del ’99, che davano indicazioni sui problemi relativi alla Carta: ma hanno riscosso poco interesse. Perciò sono contento che adesso della carta si parli, anche se polemicamente, perché è un modo per obbligare a riflettere su come si dovrà procedere in futuro.
Credo poi che l'Europa viva di periodi di disattenzione delle opinioni pubbliche nazionali e poi di improvvise fiammate, magari polemiche. Anche questo fa parte di un processo, quello di unificazione europea, che è senza precedenti: abbiamo una moneta senza stato e ci avviamo ad avere anche una costituzione senza stato e tutto questo non può non creare particolari difficoltà.

Ma come mai nel redigere un documento che ha come oggetto i cittadini europei, non si sono elaborate delle strategie per assicurarne un maggiore coinvolgimento nel dibattito?

Certo il fatto che le opinioni pubbliche siano state risvegliate solo nelle ultime settimane può rafforzare la tesi che bisognava scegliere un'altra procedura che fin dall'inizio avrebbe potuto determinare un'attenzione maggiore da parte delle opinioni pubbliche europee, e in questo senso l'osservazione è esatta. Ma se invece con questo si vuol suggerire che bisognava convocare un assemblea costituente, devo rispondere realisticamente che ciò avrebbe avuto come effetto che della Carta non se ne sarebbe fatto nulla, perché la procedura sarebbe stata lunga, l'elezione della Costituente complicata, i lavori diluiti nel tempo.
Invece in questo modo nel giro di dieci mesi è stato dato all'opinione pubblica europea un documento sicuramente criticabile ma certamente tale da consentire un ampliamento della dimensione della discussione europea. Adesso non si parla più soltanto di mercato e moneta, ma di diritti e cittadini: questo mi pare un passo avanti che non può essere sottovalutato.


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