Solo lo scandalo ha fatto notizia 
           
           
           
          Andrea Manzella con Clementina Casula 
           
           
           
           
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          parità 
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          La Convenzione che ha redatto la Carta dei Diritti Fondamentali
          dell'Unione Europea è stata composta unendo fonti di legittimità
          nazionale ed europea e rappresentanze degli esecutivi nazionali ed
          europei, in modo tale da garantire il più possibile la democraticità
          dei lavori. I quattro italiani che hanno partecipato alla Convenzione
          sono l’On. Rodotà (che ha rappresentato il Capo dello Stato
          italiano), l’On. Paciotti (rappresentante italiana del Parlamento
          Europeo), l’On. Manzella (per la Camera del Senato), l’On.
          Melograni (per la Camera dei Deputati). Abbiamo raccolto il loro
          parere su diversi aspetti del dibattito: il valore della Carta, gli
          articoli più dibattuti, e i motivi del mancato -o tardivo-
          coinvolgimento dell’opinione pubblica, soprattutto in Italia. 
           
          Andrea Manzella è senatore nel Gruppo Democratici di
          Sinistra-Ulivo, Membro della Prima Commissione Permanente (Affari
          Costituzionali) e Vicepresidente della Giunta Affari Comunità
          Europee. 
           
          La Carta: raccolta di diritti già esistenti o primo passo
          verso una costituzione dell’Europa? 
           
          L’elaborazione di una Carta dei diritti europea viene decisa al
          vertice di Colonia del giugno ’99 in un momento drammatico per l’Europa,
          mentre le bombe cadono su Belgrado. L’UE partecipa a questa guerra
          ideologica schierandosi in nome dei diritti delle minoranze e contro
          le atrocità, e sente più forte l’esigenza di reiterare questi
          valori e darsi una propria identità giuridica. La carta dei diritti
          non è ripetizione perché, nel momento stesso in cui essa entra a
          fare parte dell’ordinamento dell’Unione, dà all'Unione un
          significato completamente nuovo: quello della propria identità. Come
          ha sottolineato bene Lionel Jospin in una recente riunione a
          Versailles alla quale ho partecipato, è questo carattere che fa della
          Carta dei diritti il segno distintivo dell’Unione Europea rispetto
          alle altre parti del mondo.
          
            
          
           
          Allora come mai, visto che la Carta aveva tra i suoi propositi
          quello di dare visibilità alla politica e all’identità dell’Unione,
          il tema ha avuto cosi poco seguito nell’opinione pubblica europea? 
           
          Se lei si riferisce al poco spazio che la Carta ha avuto nei giornali,
          soprattutto quelli italiani, ha ragione. Questo perché esiste una
          dicotomia tra i fatti significativi del mondo e quello che una stampa
          tradizionalmente attaccata a certi cliché su cosa interessa alla
          gente segue. Ci sono volute le ingiurie pronunciate dalla Lega in
          Parlamento (parlando di una Carta massone, comunista e pedofila) per
          risvegliare l’attenzione degli italiani: ancora una volta dobbiamo
          ringraziare chi ha creato lo scandalo per attirare l’attenzione dei
          cittadini su un documento come questo. 
          Se invece mi parla della società civile europea, allora la devo
          rimandare alle audizioni che 157 associazioni civili hanno fatto a
          Bruxelles, a quelle che molti costituzionalisti hanno fatto al
          Parlamento italiano, a quelle che il nostro Ministro per gli Affari
          Europei ha aperto ai sindacati, alla Confindustria, alla Lega dei
          Diritti, a tutta una serie di associazioni che hanno espresso il loro
          parere prima ancora dell’elaborazione della carta. Tra queste
          associazioni ricordo anche come particolarmente attive quelle
          ecclesiali, protestanti e cattoliche. 
           
          In Senato la discussione è stata sufficiente? 
           
          Come ho già detto, il Senato con la Camera dei deputati ha aperto un
          ciclo di audizioni e io che ero senatore ogni settimana, di ritorno da
          Bruxelles, riferivo alla Giunta per gli Affari Europei. Il work in
          progress della carta è stato distribuito a tutti i senatori e i
          colleghi che si sono interessati seriamente alla Carta mi hanno fatto
          avere le loro opinioni ben prima che diventasse un fatto legato alla
          polemica politica. Se poi la risonanza esterna di certi accadimenti
          parlamentari non è quella che dovrebbe essere, dovremmo farci tutti
          un esame di coscienza, parlamentari ma anche addetti all’informazione.
          
           
            
          
           
          Quali articoli hanno creato maggiore disaccordo nella discussione
          in Senato e all'interno della Convenzione? 
           
          Il contenuto delle discussioni nella Giunta per gli Affari Europei del
          Senato si è basato, più che sugli articoli, sul problema del valore
          giuridico della carta. Fin dal vertice di Colonia era stato messo in
          chiaro che vi sarebbe stato un intervallo tra la proclamazione
          politica della carta e la sua integrazione nei trattati. Il Senato
          italiano, in grande parte a favore di un riconoscimento giuridico
          della carta, ha spinto affinché questo intervallo venisse colmato. 
          Tuttavia vi è stata qualche discussione sul come la Carta dovesse
          essere recepita dal Parlamento nazionale: alcuni ritenevano che
          potesse essere sufficiente una semplice ratifica in base all’Art.11
          della Costituzione, altri sostenevano che - trattandosi di diritti
          fondamentali - andasse fatto attraverso una ratifica con legge
          costituzionale. Il dibattito sugli articoli che hanno avuto
          difficoltà ad essere recepiti nella Carta, invece, ha riguardato
          soprattutto i diritti economico-sociali: dal diritto di sciopero, a
          quello alla salute, alla solidarietà sociale, e contro il
          licenziamenti ingiustificati. 
          Al Senato si era favorevoli alla loro inclusione, anche se con certi
          caveat, mentre nella Convenzione si è svolto un acceso confronto
          perché molti sostenevano che questi cosiddetti diritti sociali erano
          solo obiettivi di azioni politiche ma non posizioni giuridiche
          difendibili nella loro interezza. La questione si è risolta con l’inclusione
          dei diritti sociali nella Carta sotto il capitolo della solidarietà,
          con la clausola che laddove la protezione accordata a queste posizioni
          giuridiche sociali dalla costituzione nazionale fosse stata
          prevalente, faceva premio la costituzione nazionale. 
           
          Uno dei più fermi oppositori all’inclusione dei diritti sociali
          è stata la Gran Bretagna. All’interno della Convenzione, quale
          atteggiamento è stato preponderante: quello di ragionare secondo un’ottica
          di interessi nazionali, o quello di privilegiare l’avanzamento dell’impresa
          europea? 
           
          C’è stata nettissima la solita divisione tra il blocco
          anglo-scandinavo e il blocco dei paesi fondatori dell’Unione Europea
          (Germania, Francia, Italia, Benelux), con la Spagna che ha svolto
          inizialmente un ruolo neutrale per poi unirsi a questi ultimi. All’inizio
          questa contrapposizione è apparsa così forte che si dubitava che l’esito
          potesse essere positivo, anche per ragioni storiche: pensi che la
          Convenzione dei diritti europei stipulata a Roma nel 1950 è stata
          accolta dal Regno Unito solo pochi mesi fa. 
          Vi era quindi una resistenza psicologica e tecnica del popolo dei
          giuristi britannici ad accettare un ulteriore passo in avanti, a così
          poca distanza da questo evento. Tuttavia alla fine il risultato è
          stato raggiunto, anche completato da una serie di precauzioni
          contenute nella Carta, come quelle che ho citato sui diritti sociali,
          o il divieto della cosiddetta reformatio in peius, ossia il divieto
          che il testo della la Carta possa peggiorare la protezione dei diritti
          rispetto a quella delle costituzioni nazionali o della stessa
          Convenzione dei diritti. 
          Queste precauzioni fanno sì che la Carta sia pronta per essere
          ratificata, anche se ciò non vuol dire che la ratifica sarà
          automatica e facile. Come in tutte le cose della vita, e nel campo dei
          diritti in modo particolare, nulla è gratis: le cose si ottengono
          come risultato di impegni e lotte politiche, e anche di compromesso
          tra visioni politiche diverse. 
           
           
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