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          Reset/Che cosa diventerà l'Unione 
          Chevènement contro Fischer 
           
           
          di Jaqueline Hénard, Daniel Vernet e Roger de Weck 
           
           
           
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          Per "capire quanto scritto sui giornali" 
           
          Da: Luca Girelli <girelliluca@libero.it> 
          A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it> 
          Data: Venerdì, 27 ottobre 2000 13:42 
          Oggetto: Michael Walzer 
          http://www.caffeeuropa.it/attualita/105attualita-walzer.html 
           
          Egregi signori, 
           
          ho letto con molto interesse sia lo stralcio pubblicato su
          "Repubblica" in data odierna sia l'articolo completo
          pubblicato sul Vs sito. 
           
          L'ho trovato molto interessante anche se forse un po' troppo teorico,
          purtroppo c'è molta gente che sta già passando ai fatti - vedi Lega
          Lombarda. Ho un forte interesse per l'argomento Islam, leggo tutto
          quello che trovo sui giornali e cerco di informarmi anche attraverso
          riviste e libri, sono italiano, di Bergamo, e trovo affascinante
          questo mondo, tanto diverso dal nostro che ho conosciuto solo
          marginalmente tramite alcuni viaggi di lavoro in paesi arabi. 
           
          Oggi ho letto anche un articolo pubblicato in prima pagina sul
          "Corriere della Sera" che trattava lo stesso tema ma con
          altre tesi e risultati. Infatti erano elencati alcuni punti secondo i
          quali gli islamici che vengono in Italia richiederebbero che venisse
          loro data la possibilità di vivere come se fossero nel loro paese, più
          precisamente: il venerdì a casa dal lavoro - fotografie di donne
          velate sui documenti - insegnamento a scuola dell'arabo e del Corano -
          e via dicendo. Questo onestamente non mi sembra integarazione, io
          concordo sul fatto che ci debba essere aiuto da parte nostra, ma credo
          che anche loro si debbano adattare alle regole che vigono nel nostro
          paese. 
           
          Mi farebbe molto piacere ricevere un Vostro parere sull'articolo da me
          menzionato, sono ancora molto acerbo per poter leggere e
          "capire" nel modo giusto quanto scritto sui giornali. 
           
          Vi ringrazio dell'attenzione, 
           
          Luca Girelli 
           
          Risposta a Luca Girelli 
           
          Ho letto anch’io e apprezzato
          l’articolo di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera e ne ho
          parlato il giorno dopo sul quotidiano online “ilnuovo.it”, ma non
          sono interamente d’accordo con lui. Riporto qui una parte
          dell’articolo di "ilnuovo.it”: 
           
          Per capirci meglio, ed evitare equivoci tra persone
          civili, potremmo stabilire tre livelli di confronto sul tema moschee,
          mussulmani e immigrazione. 
           
          Il
          primo è il livello-clava, quello di Bossi: qui è come la savana,
          facciamone un parco naturale e lasciamo che i bambini vadano ogni
          tanto a fare le fotografie e Piero Angela a girare filmati per
          Superquark. E’ un sub-livello che non consente di entrare a far
          parte di quella cosa gloriosa e rispettabile che dal Settecento
          francese in poi si chiama “opinione pubblica”. 
           
          Il
          secondo livello è quello della pastorale del Cardinale Biffi. Qui
          siamo sul piano dell’attrito tra due grandi fedi, quella cattolica e
          quella islamica, che nel corso dei secoli hanno lasciato sul terreno
          uno spaventoso numero di vittime. Il cardinale ha suggerito al governo
          italiano di scegliere tra gli immigrati in modo da evitare i
          mussulmani. La discussione pubblica sul tema è legittima. C’è una
          vasta letteratura sui difficili rapporti tra Islam e democrazia. (Più
          povera da noi quello sulle simili difficoltà tra Chiesa e democrazia,
          Chiesa e pluralismo, Chiesa e libertà, vedi Pio IX e il Sillabo. Ma
          del tema parlano volentieri i protestanti). Ma quando la questione la
          solleva un Cardinale si sente odore di conflitto di interesse: sarebbe
          come ascoltare una conferenza di Berlusconi sulle concessioni
          televisive, o una lecture di Gianni Agnelli sulla funzione sociale
          della rottamazione. 
           
          Il
          terzo livello è finalmente quello della discussione pubblica tra
          liberi e uguali che confrontano argomenti diversi senza sospetti su
          moventi impropri e senza obiezioni che non siano dettate dalle
          divergenze sugli argomenti. E’ il caso della diversità di vedute
          tra Michael Walzer (ancora lui, il teorico più saggio e raffinato del
          multiculturalimo) e Giovanni Sartori (il politologo italiano autore
          del recente Pluralismo, multiculturalismo e estranei). Sono due le
          differenze importanti: la prima riguarda la prospettiva della
          concessione dei diritti politici agli immigrati. Walzer è favorevole
          e, contro l’opinione avversa di Sartori, ricorda come il fatto che
          negli Stati Uniti si possa votare dopo soli cinque anni di permanenza
          nel Paese abbia fatto scomparire i tentativi di attaccare gli
          immigrati e di accendere fuocherelli razzistici. Nella campagna delle
          presidenziali tra Gore e Bush, a parlarne è rimasto il solo Pat
          Buchanan, un ultraconservatore che non totalizza più dell’1 per
          cento nei sondaggi. La seconda riguarda il meccanismo in base al quale
          si ingigantisce retoricamente l’immigrazione islamica per ricavarne
          conclusioni catastrofiche. Sartori e Biffi, in questo d’accordo,
          hanno ripreso la serie degli argomenti utilizzati storicamente contro
          l’Islam (integralismo, teocrazia, subordinazione della donna) per
          sostenere che quella religione non si sposa bene con la democrazia.
          Walzer replica: quegli argomenti sono gli stessi che 160 anni fa
          usavano i protestanti americani contro l’immigrazione cattolica.
          Dov’è l’errore? Nel fatto che non si tratta di decidere se gli
          italiani devono convertirsi in massa all’Islam, ma soltanto se sia
          possibile la convivenza con minoranze islamiche in un territorio
          nazionale a prevalenza cattolica. Se la domanda viene impostata bene -
          suggerisce Walzer - diventa anche più facile la risposta. 
           
          ******** 
           
          Di che religione siete? 
           
          Da: mpiet <mpiet@tiscalinet.it> 
          A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it> 
          Data: Venerdì, 27 ottobre 2000 8:07 
          Oggetto: Di che religione siete? 
          http://www.caffeeuropa.it/attualita/105attualita-walzer.html 
           
          L'intervista al signor Walzer è molto istruttiva e la condivido. Solo
          un paio di piccoli appunti: ebreo-americano non sta a italo-americano
          o ispano-americano etc. ma a cattolico-americano,
          protestante-americano, buddhista-americano etc. perché
          "ebreo" non connota un popolo ma una religione. Se, per
          esempio, il signor Walzer fosse a suo tempo emigrato dalla Polonia,
          allora sarebbe polacco-americano di religione ebraica o di nessuna
          religione se ateo. 
           
          Per quanto riguarda i musulmani, detto signore ha ragione da vendere:
          essi sono frammentati quanto lo sono i cristiani e tra loro non si
          amano, perché l'apostasia ( l'altro musulmano è sempre un apostata!)
          va punita con la morte mentre un cristiano lo si può sempre
          convertire. L'islam oggi si trova nell'anno 1400 della sua storia e
          anche in Europa nel 1400 il laicismo emetteva i primi vagiti. Quando
          alla stazione termini vedo ex-musulmani bere birra di venerdi, mi dico
          che, magari scompostamente, quelli sono i vagiti del laicismo. E le
          feroci lotte civili all'interno di ciascun Paese musulmano indicano
          che come al solito il nuovo nasce sporco di sangue. 
           
          Il mio piccolo timore è un altro. dato che la società laica italiana
          ha concesso enormi ed insensati privilegi alla chiesa cattolica, che
          (a detta di Ruini) non raccoglie più del 20% della popolazione, sarà
          facile gioco ai fondamentalisti islamici reclamare le stesse cose per
          l'Islam. Un piccolo esempio: se alle suore è concesso avere documenti
          con foto dove appaiono con cappello (come si chiama?) da suora, perché
          le donne islamiche non possono avere foto con lo chador? Quindi il
          Parlamento (già rido!) dovrebbe rivedere i privilegi cattolici alla
          luce del laicismo, così da annullare la richiesta degli stessi
          privilegi da parte dell'Islam e poi, perché no, dei Testimoni di
          Geova etc. 
           
          L'articolo è comunque viziato da due errori di fondo: 
           
          1- non è vero che il cattolicesimo (o il cristianesimo) sia l'unica
          religione che comunichi col mondo moderno 
           
          2- nè che i suoi 2000 anni di storia siano prova della sua veridicità.
          Numero uno: il Vaticano II ha cercato di creare un ponte tra
          cattolicesimo e laicità, ma visto che il cattolicesimo, a contatto
          con la laicità, ha cominciato a sgretolarsi, il nuovo papa polacco
          (scelto a bella posta da una regione cattolico-fondamentalista) lo ha
          riportato al suo humus magico-mistico, fatto di santi e madonne che
          piangono. 
           
          Il cristianesimo, mentre passava il treno della storia all'epoca delle
          grandi scoperte (XVI-XVII secc.), si è spaccato in due: la parte
          protestante è salita. quella cattolica è rimasta a terra! Numero
          due: il cristianesimo si è imposto in Europa tra il VI e il IX secc.,
          quindi non ha 2000 anni. Anche avendone intorno ai 1300 di anni, non
          è stata sempre la stessa ma ha mutato pelle, a seconda del momento
          storico, al solo fine di mantenere più potere possibile, lordandosi
          di sangue (Giovanni battista: già la scure è posta alla radice degli
          alberi. Ogni albero, dunque, che non produce frutto eccellente sarà
          tagliato. Matteo III, 10). 
           
          Comunque l'Induismo e il Buddhismo, che si confrontano col mondo
          moderno splendidamente, sono di gran lunga più antichi del
          cristianesimo, e lo sono anche il Confucianesimo e il Taoismo! Allora
          io penso che le società dovranno innanzitutto essere LAICHE con
          diritti fondamentali dei cittadini ben radicati. Poi ai religiosi
          delle varie tendenze si concederebbero alcune esenzioni, non stridenti
          con i predetti diritti. 
           
          Questo per noi italiani vorrebbe dire: rivedere e cancellare gli
          enormi privilegi della chiesa cattolica alla luce del laicismo di
          stato, in modo che né l'Islam né altra confessione possano
          richiedere gli stessi privilegi. Un piccolo esempio: le foto sui
          documenti debbono essere a viso e capo scoperto: quindi niente
          copricapo per suore né chador per musulmane. Niente crocifissi nei
          luoghi pubblici e quindi niente mezzelune o stelle di david. 
           
          A casa propria uno fà quello che vuole e si tiene tutti i santini che
          vuole, ma nella società civile vigono leggi laiche PRECISE. Lo so, è
          un'utopia e allora prepariamoci al peggio. 
           
          Matteo La Pietra mpiet@tiscalinet.it         
           
          Risposta a Matteo La Pietra 
           
          No, caro signor La Pietra, il
          trattino di ebreo-americano ha una portata equivalente a quella di
          italo-americano, o ispano-americano. Che indichi anche una religione
          è un di più (non necessariamente annesso alla condizione di ebreo)
          che si aggiunge a una identità etnica, storica, culturale. Essere
          ebrei insomma non significa sempre e necessariamente appartenere a una
          religione (gli ebrei non religiosi sono forse di più degli italiani
          non religiosi), ma certamente avere dei genitori ebrei. 
           
          Sono poi interessanti le sue riflessioni sulle religioni e la loro
          storia. E sono d’accordo con lei che una società bene ordinata,
          quale tutti vogliamo, ha delle regole precise che valgono per le
          minoranze sopraggiunte come per i residenti storici di un paese, anche
          quando queste regole contrastano con le convinzioni e la prassi di
          queste minoranze (poligamia, infibulazione), ma attenzione non tutte
          le differenze, di cui le minoranze sono portatrici, sono incompatibili
          con le nostre regole. Per esempio: il rispetto delle festività
          religiose delle minoranze, come il Kippur ebraico, è già acquisito
          nella prassi italiana (non si fissano elezioni, non si programmano
          esami universitari e così via). 
           
          Certo non è possibile osservare rigidamente il sabato ebraico a
          Milano come a Gerusalemme, perché questo comporterebbe vincoli troppo
          onerosi per una società diversa. E così non si può celebrare il
          Ramadan a Roma come ad Algeri. Ma altri segnali di rispetto e pacifica
          convivenza sono possibili. Siamo sicuri per esempio che la richiesta
          di avere sui documenti le foto di donne col chador o quelle delle
          suore con la testa fasciata sia incompatibile con una ordinata e
          moderna vita civile? Non crede, signor La Pietra, che sia un prezzo
          abbordabile per averne in cambio la serena convivenza di religioni
          diverse?   
           
           
          ******** 
           
          I legami culturali e religiosi
          possono essere anteposti ai diritti individuali? 
           
          Da: Giordano Fildani <g.fildani@tiscalinet.it> 
          A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it> 
          Data: Lunedì, 30 ottobre 2000 8:19 
          Oggetto: Opinioni sull'articolo di Walzer 
          http://www.caffeeuropa.it/attualita/105attualita-walzer.html 
           
          Buonasera, 
           
          ho letto proprio oggi la versione integrale dell'intervista di Bosetti
          a Michael Walzer, che avevo iniziato a leggere negli estratti sulla
          Repubblica di qualche giorno fa. Ho trovato l'intervista molto
          interessante e foriera di spunti e riflessioni da approfondire. 
           
          Siamo tutti d'accordo sul minimo comune denominatore
          liberaldemocratico della condanna delle manifestazioni più rozzamente
          razziste che abbiamo visto nelle settimane scorse; le manifestazioni
          antimoschea sono delle pure e semplici, e strumentali, manifestazioni
          di intolleranza cui non è plausibile dare credibilità politica. Ma
          sono anche la manifestazione di come, sulla delicata questione del
          confonto fra individui e culture diverse, non si possano proporre
          logiche refendarie di alcun tipo. E con questa osservazione vengo ad
          uno dei temi dell'intervista: la possibilità per una comunità
          nazionale di determinare il suo livello di accettabilità degli
          stranieri. 
           
          Pur comprendendo l'esigenza di evitare impatti traumatici, e pur
          rispettando l'importanza di ogni espressione della volontà
          collettiva, non ritengo che si possa ragionevolmente ipotizzare un
          pronunciamento di una comunità, locale o nazionale che sia, sul
          numero degli stranieri da accogliere, senza che questo possa dar modo
          a forze politiche palesemente razziste di sfruttare a proprio
          vantaggio paure spesso ingiustificate. La decisione di stabilire un
          tetto all'immigrazione non può essere presa in tal modo illudendosi
          che possa essere una consultazione serena e scevra da considerazioni
          razziste o comunque da motivazioni di pura discriminazione. 
           
          Sono pienamente d'accordo con Walzer nella convinzione che gli
          individui non possano essere astratti dalla comunità in cui vivono, e
          che quindi non siano da sottovalutare i legami culturali e religiosi;
          ma credo fermamente che questi non siano neanche da sopravvalutare, e
          che non vadano anteposti ai diritti individuali, che sono diritti alla
          libertà, alla dignità, all'equo trattamento di fronte alla legge e
          nei confronti della società. Walzer dice giustamente che non si può,
          in una comunità democratica, tollerare l'esistenza di
          "meteci", perchè ne andrebbe anche della stabilità e della
          pace sociale. Su questo sono pienamente d'accordo, e aggiungo però
          che i diritti vanno riconosciuti anche per rispetto della libertà
          degli individui. 
           
          Inoltre, nella considerazione dell'immigrazione, non si possono
          ignorare le motivazioni che stanno alla base della decisione di grandi
          masse di emigrare, e forse si potrebbe anche riconoscere l'esistenza
          di una libertà di movimento, di un diritto a cercare migliori
          condizioni di vita. 
           
          Tornando al tema del confronto tra le culture chiamato in causa dalla
          questione moschea e anche dalle osservazioni di Sartori, mi sembrano
          decisamente sacrosante le parole di Walzer sulla impossibilità di
          parlare di "Islam in quanto tale", come se le religioni e le
          culture fossero del tutto impermeabili al contatto col mondo esterno.
          Oltretutto, e Walzer saggiamente lo ricorda, non esiste una
          "naturale" democraticità del cattolicesimo che anzi,
          storicamente, è stato spesso avversario della cultura liberale e
          democratica, nonchè avverso a ogni forma di diversità. Il
          cattolicesimo aperto e tollerante ( sempre e comunque?) che in parte
          abbiamo adesso di fronte è frutto di 
          almeno un paio di secoli di confronti e di conflitti, spesso di
          enorme violenza, con il mondo laico. E non starò qui a sottolineare
          l'esistenza di una tradizione culturale islamica di grande livello
          civile e di grande tolleranza, proprio in epoche in cui il
          cristianesimo dimostrava tutt'altro stile. 
           
          Ovviamente oggi è in questione "questo Islam" nel suo
          rapporto con "questa civiltà occidentale", una civiltà che
          ha sì radici cristiane, ma che, prima di tutto, è una società laica
          e democratica. 
           
          Come giustamente sostiene Walzer, i pericoli di non accettazione della
          democrazia non vengono necessariamente dall'esterno: non solo gruppi
          neonazisti, minoritari ma comunque rumorosi, ma anche fenomeni di
          intolleranza "preilluministica" promossi da forze politiche
          presenti in Parlamento, dimostrano che la "conversazione liberale
          in corso" è tutt'altro che universalmente condivisa da persone
          che in questa società son cresciute, anche se forse non educate ai
          valori della democrazia che, a quanto pare, non sono sempre parte
          integrante della formazione di un individuo medio. 
           
          Io credo piuttosto che la presenza di immigrati stranieri ponga
          innanzitutto delle domande di democrazia. Solo studiando meccanismi di
          inclusione, estendendo i diritti civili, politici e sociali si può
          impedire che i conflitti tra gli individui assumano le caratteristiche
          di scontri tra civiltà. 
           
          Ciò che è realmente intollerabile, e mi sembra che Walzer affermi
          qualcosa di simile, è l'esistenza di un doppio binario nei diritti di
          cittadinanza, con la limitazione dei diritti di persone che vivono e
          lavorano regolarmente in un paese di accoglienza.   
           
          Cordiali saluti 
           
          Giordano Fildani, Roma.   
           
          Risposta a Giordano Fildani 
           
          D’accordo con molte sue
          considerazioni, signor Fildani. Certo che l’esercizio del diritto a
          porre dei limiti all’immigrazione apre spazi alle tendenze
          naturalmente “egoiste” di un popolo, tendenze che possono
          degenerare fino al razzismo e alla persecuzione degli alieni
          specialmente nei periodi di crisi e nelle zone più povere. Ma questo
          diritto c’è. E’ innegabile. Il diritto a muoversi sulla terra è
          anche lui importante. C’è un assoluto diritto di “uscire” da un
          paese. Se me lo impediscono, quel paese diventa un carcere. 
           
          Ma non è altrettanto assoluto il diritto a entrare. Una comunità ha
          giustamente facoltà di stabilire quante persone nuove possono entrare
          a farne parte, allo scopo di difendere la sua vita civile ed
          economica. E’ auspicabile che questo diritto venga esercitato con
          generosità, specialmente da parte di un paese che ha prodotto molta
          emigrazione, come il nostro. E una condotta generosa, oltre che
          saggia, sarà possibile specialmente se i paesi riceventi adotteranno
          una politica della cittadinanza più aperta. In un numero ragionevole
          di anni gli immigrati che lavorano, non commettono reati, pagano le
          tasse, devono poter votare. Ed il loro diritto di voto, come dimostra
          l’esempio americano, tiene a freno la demagogia razzista delle forze
          politiche. 
           
           
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