Rai, dirigente e autore di programmi radiofonici e televisivi, Reset ha chiesto di A
Stefano Balassone, attuale consigliere di amministrazione della riflettere
sullutilità, la definizione e la missione del servizio pubblico.
Diciamo subito che è inutile cercare la definizione di servizio
pubblico radiotelevisivo nel corpo delle attuali leggi. Non cè. Oggi il servizio
pubblico in Italia sostanzialmente viene definito attraverso il pluralismo, la creazione
di programmi di puro servizio (la sinergia tra televisione e pubblica amministrazione) e
la capacità di raccontare tutto quello che la tv di mercato non può raccontare. Questi
tre elementi nel dibattito italiano sulla televisione di stato spesso si confondono al
punto da rendere incerto persino il significato stesso delle parole.
Perché questa confusione?
Siamo orfani del monopolio. Quando la televisione era solo la
televisione di stato era naturale che il servizio pubblico fosse la convergenza tra
programmi, garanzie pluralistiche e collaborazione con la pubblica amministrazione. Di
fatto, il servizio pubblico coincideva con la televisione che cera. .Oggi non è
più così e questi tre aspetti vanno esaminati separatamente. ll pluralismo, ad esempio,
non ha nulla a che fare con il mandato di servizio pubblico. Oggi il pluralismo va cercato
e definito attraverso la presenza sul mercato di più soggetti e nella capacità da parte
dellazienda del servizio pubblico di esprimere pluralismo allinterno del suo
assetto proprietario (come ad esempio la Bbc, simbolo di quello che in Inghilterra viene
chiamato Public Service Broadcasting, con i suoi dodici governatori).
E la cosiddetta televisione di servizio?
I programmi tv allepoca del monopolio erano dei diritti di
passaggio, delle servitù. Oggi possono più tranquillamente diventare programmi su
commessa attraverso le convenzioni. E per questo li può fare chiunque. Non è detto che
ci debba essere unimpresa caratterizzata dal fatto che fa programmi di convenzione.
E non è detto che sia sempre conveniente per tutti fare programmi con una determinata
azienda. Se fossi nella pubblica amministrazione mi preoccuperei di poter usare tutte le
imprese disponibili sul mercato allo scopo di ottenere i migliori risultati comunicativi
possibili.
Quali sono le differenze tra le esigenze del mercato e quelle del
servizio pubblico?
Non credo che la differenza possa risiedere in una particolare e
maggiore sensibilità a trattare determinati temi. Non ci credo perché tutti i temi
possono ottenere con il pubblico un rapporto utile di mercato. Non dobbiamo dimenticare
che stiamo sempre parlando di televisione, quindi di un mass media che per definizione non
sopporta lantitelevisione. La messa in onda di un orario ferroviario, non è un
esempio di servizio opubblico! E non penso che nemmeno il servizio pubblico debba essere
quello che soddisfa le manie di ciascun spettatore secondo il criterio del pago
anchio il canone quindi voglio il programma che piace a me e non solo quello che
piace alla massa. Sarebbe da dementi pretenderlo.

Il servizio pubblico quindi non deve guardare alle nicchie?
Usereste lesercito per salvare un gatto che è salito su un
albero? La nicchia è la vocazione stessa del mercato, perché il mercato non è il
facile. Il mercato è tutto ciò che trova la sua remunerazione in un consumo pagante.
E per questo che la nicchia non può essere riferita ad una tv generalista
terrestre. Sarebbe come lavarsi i denti con un idrante. Ci deve pensare il privato, e ci
sta già pensando molto bene attraverso le pay tv. Esiste poi una maniera
ideologico-istituzionale di servire un gruppo ben determinato di persone ed è quella per
cui una programmazione di nicchia da parte del servizio pubblico accresce lo status
simbolico di quel consumo. In realtà in questo caso si vuole ottenere un effetto di
attribuzione di prestigio ad un determinato consumo, non si accontenta solo una fetta
specifica di spettatori.
Qual è lo specifico del mercato televisivo?
Bisogna partire dalla constatazione che la televisione è
unattività dai costi decrescenti. Una volta fatto un prodotto, il suo costo non
aumenta se si vuole distribuirlo ad un cliente in più. A differenza dei libri, dei
giornali, delle automobili, dove non puoi incrementare il consumo se non aumentando i
costi di produzione, in televisione non si ha un aumento dei costi di fabbricazione
allaumentare il consumo. La televisione si regge su di una legge bronzea: chi ha un
prodotto seducente in partenza, poi ha la possibilità di ripartirne i costi su canali
infiniti di distribuzione. Chi ha più soldi insomma vince la partita fino alla fine. Nel
mercato dei mass media i prodotti qualificanti sia per la narrazione che per
linformazione, la comunicazione di testa e la comunicazione di pancia, finiscono per
essere dominati quindi da ununica logica industriale.
Lei definisce la televisione narrativa. Non sarebbe più giusto
parlare di programmi di intrattenimento?
No, perché personalmente mi intrattengo molto anche con
linformazione. La differenza sottesa alla distinzione tra informazione e
intrattenimento, ovvero tra alto e basso deve scomparire, non ha più senso dividere i
programmi tra quelli più vicini a Dio e quelli più vicini al diavolo. Il servizio
pubblico non è la caratteristica estetico-formale o contenutistico-morale di un
programma. In realtà la distinzione andrebbe fatta tra facile, immediato, complesso,
diretto, elencando cioè le caratteristiche funzionali proprie del prodotto e non le sue
(presunte) categorie morali. Perché la funzione di servizio pubblico, ed è questa la sua
giusta definizione, è quella di presidiare produttivamente le capacità espressive di una
cultura nazionale.
Data per buona questa definizione, come è comparabile lofferta
di servizio pubblico italiana con quella degli altri paesi europei?
Per quanto riguardo il consumo e la produzione di programmi
definiti di servizio pubblico, lItalia è al livello della Francia. Gli altri
servizi pubblici fanno un po meno varietà di noi, e producono molta più fiction.
Ed è esattamente quello che stiamo facendo anche noi. La Germania ha un risultato di
assoluta importanza e nel medio-lungo periodo va assunta come punto di riferimento perché
quella tedesca è la televisione più rispondente allobiettivo di far esistere
produttivamente la comunità linguistica nazionale. Noi siamo oggi molto più
strategicamente servizio pubblico per quello che attiene le capacità di rigenerazione
delle capacità espressive, di quellalfabeto mass-mediologico di quella comunità a
cui apparteniamo.
Quindi tutto il palinsesto della Rai corrisponde alla sua idea di
servizio pubblico?
E irrilevante un mio giudizio sulla televisione che facciamo.
A volte mi piace a volte no. Limportante è che piaccia al pubblico. E come
leggere i Promessi Sposi, forse non mi piacciono, però non posso negare il loro grande
successo. Chiedersi se Il festival di Sanremo o Domenica In è servizio pubblico è
semplicemente una domanda senza senso. Chi può stabilire cosa è trash e cosa non lo è?
Onestamente, il parere di Umberto Eco vale quanto quello di una casalinga, non dobbiamo
dimenticare che viviamo ancora in una democrazia che non deve e non può premiare solo il
giudizio estetico delle anime belle della nostra classe dirigente.
Credo che una televisione terrestre che trasmetta molti film acquistati
allestero non faccia una buon servizio pubblico anche se sono film bellissimi. E
credo che continuare sulla strada del varietà, dellintrattenimento da studio facile
non sia premiante rispetto a una sana logica industriale. Tappa solo una sua oggettiva
povertà. E premiante invece produrre fiction per la prima serata. Lo abbiamo fatto
con successo e continueremo a farlo.

Una volta si parlava di funzione educativa della televisione...
Quando il paese doveva essere alfabetizzato, la televisione ha
svolto un giusto ruolo educativo. Adesso riproporlo è ridicolo.E talvolta persino
offensivo. Persino il palinsesto della Bbc, quella che consideriamo la televisione
educativa per eccelenza, è uguale a quello della Rai.
Ha torto o ragione Confalonieri quando chiede quote del canone per
Mediaset sostenendo che anche le televisioni commerciali fanno servizio pubblico?
Ha ragione se per servizio pubblico sintende la raccolta di
un budget destinato a incentivare scelte di politica industriale, di medio-lungo periodo,
emancipando una parte importante di queste scelte rispetto alla logica di breve periodo
che inevitabilmente è propria della risorsa pubblicitaria.Se siamo daccordo su
questo allora non esistono problemi di principio sul fatto che Mediaset affermi di volere
il canone. A patto di prenderlo tutto perché il canone non è divisibile, è un budget
che non può essere sparso, e non è nemmeno una sovvenzione che si aggiunge agli introiti
di mercato, perché altrimenti diventa ininfluente nellorientare le scelte
produttive.
In futuro quindi in Italia potremmo avere due soggetti televisivi,
Rai e Mediaset, che presentano un loro progetto industriale di servizio pubblico e sulla
base di questo chiedono lesclusiva del canone. Una sorta di asta meritocratica
basata sulla qualità dei programmi?
Potrebbe teoricamente avvenire che lo Stato dopo aver attribuito
gli spazi commerciali in concessione ai vari soggetti.presenti sul mercato chieda ai
medesimi soggetti di presentare un progetto per una rete interamente finanziata dal
canone, senza pubblicità,. Lo stato premia e finanzia il progetto migliore, quello in
grado di garantire una migliore qualità dei programmi e un numero maggiore di
ascoltatori.
Per questo e per altri buoni motivi (non ultimo la possibilità di
legiferare sulla televisione senza costrizioni dettate dal duopolio) sarebbe auspicabile
una minore presenza dello stato nellassetto proprietario della Rai. E
daccordo?
Un governo per avere una legittimità sostanziale a legiferare in
materia di tv, deve prima di tutto allontanare da sé la tv di cui è proprietario. Nel
luglio del 1998 ho fatto un viaggio di studio a Londra per guardare da vicino il
meccanismo di gestione della Bbc. E per questo sono daccordo sulla creazione di una
intercapedine di garanzia, ad esempio il comitato direttivo di una fondazione, a cui lo
stato conferisca irrevocabilmente la proprietà della Rai. I membri del comitato direttivo
della fondazione, alias azionista della Rai, verranno nominati dai vertici istituzionali
del paese e dovranno avere una durata di mandato tale da renderli il meno sensibili
possibile agli svolgimenti della poltica rappresentativa. Questa soluzione mi sembra
idonea, tra laltro, al carattere tendenzialmente bipolare del nostro sistema
politico. Ci saranno, come è giusto che sia, nel Parlamento delle maggioranze piglia
tutto, e non si possono lasciare i mass media al gioco delle maggioranze piglia tutto.
Tanto più quando il leader di uno dei dei due poli è proprietario delle televisioni
commerciali. E poi il grado di civiltà di un paese si misura dalla distanza che il
governo ha dai mezzi di comunicazione. In sintesi, il legislatore deve fare il doppio
gesto di mettere un diaframma tra lo stato e la Rai, un diaframma di garanzia, che non ha
nulla a che fare con la privatizzazione. La privatizzazione è una attività strumentale
ad obiettivi di sviluppo dell impresa Rai, non è la soluzione ai problemi
istituzionali dellimpresa Rai.
E il secondo gesto?
Adoperarsi per sbloccare la competitività. In Italia cè
competizione ma non cè concorrenza. Rai e privati competono per lascolto ma
la ripartizione dei ricavi pubblicitari non rispecchia quella del pubblico perché Rai e
privati rispettano diversi "tetti di affollamento pubblicitario". In altre
parole la battaglia degli ascolti non ha una vera ricaduta sulla battaglia dei fatturati.
I divari di pubblicità vendibile tra la Rai e i competitori privati sono tali da rendere
platonico lesito della battaglia sui palinsesti. La Rai deve impiegare il grosso del
canone per compensare i mancati ricavi pubblicitari anziché per alimentare uno specifico
flusso di programmi a base finanziaria pubblica. E una competizione molto
partecipata dai singoli soggetti, ma assolutamente ininfluente per lazienda. Noi
siamo molto contenti di avere questanno quei sessanta miliardi in più, perché gli
ascolti sono andati bene. Ma se fossimo dei privati laumento dei nostri introiti
sarebbe stato enormemente maggiore. I soldi che non abbiamo preso noi sono rimasti nelle
tasche di quello che ha perso, nonostante abbia perso. Questa è concorrenza? Serve uno
sblocco dellattuale situazione attraverso una regolazione leggera e liberale
come approccio e orientata a obiettivi industriuali prima ch il famigerato mercato
globale faccia giustizia dellillusione , se qualcuno ancora ne è preda, che
aggiornando le vecchie mediazioni si possa continuare in ualche modo a campare. La parola
ora passa al legislatore.