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Confalonieri: "Mettiamo all'asta il servizio pubblico"

Fedele Confalonieri con Dario Di Vico

 

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<<Se devo essere franco, le dirò che il saggio di McChesney non mi ha affascinato neanche un po'. Mi sembra una rilettura di tesi vecchie di almeno 15 anni, per di più formulate con un tono da Grande Inquisitore dostojevskiano>>. Il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri non crede a un rilancio in chiave post-statalista della tivù pubblica (<<non c'è niente di nuovo, è un vecchio filone che di tanto in tanto riemerge>>), ma non per questo si sottrae a un confronto sul futuro del servizio pubblico in Italia. <<C'è tuttora la possibilità, anzi il dovere, di fare servizio pubblico. Tutto sta a intendersi sui concetti e le modalità con le quali viene realizzato>>.

D. Sta dicendo che la Rai non fa del vero servizio pubblico?

R. Un esempio positivo è quello della Bbc o della vecchia Rai, che in una certa epoca storica del nostro Paese ha avuto molti meriti. Negli ultimi anni però ha perso di vista la sua missione diventando un pericoloso ibrido di concorrenti dei privati e di azienda sovvenzionata dal canone. Ciò crea gravi distorsioni perché la Rai finisce per giocare su due tavoli.

D. Torniamo alla Bbc, cosa le fa dire che rappresenta un esempio positivo?

R.Mi è capitato nei giorni scorsi di vedere in prima serata sulla Bbc un concorso di musica classica, una trasmissione eccellente. Queste sono le cose che deve fare il servizio pubblico. Anche il nuovo programma di Antonio Lubrano su RaiUno, <<All'Opera>>, è fatto bene: solo che l'azienda italiana di Stato lo ha relegato attorno alle 23.30, quasi si vergognassero della scelta fatta. Così come si sono vergognati quando hanno mandato in onda il Macbeth alle 20! Invece se si incassano 2.500 miliardi di canone qualche obbligo lo si deve pur avere. A meno che Zaccaria e Celli non pensino di andare avanti spacciando la fiction per servizio pubblico.

D. Immagino che lei conosca la replica Rai a queste sue affermazioni. "Mediaset vorrebbe che noi mandassimo in onda il maestro Manzi in modo da aver loro il monopolio del varietà e dell'intrattenimento".

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R.Rispondo che non ho nostalgia di una televisione pedagogica che negli anni Sessanta può comunque aver svolto un ruolo. Parlo di programmi come Tv7, come mai il servizio pubblico non li fa più? E da quanto tempo non mandano in onda Shakespeare? La verità è che nella concezione di servizio pubblico della dirigenza di viale Mazzini ci rientrano anche < In bocca al lupo> o la lotteria del sabato sera .

D. Messa così rischia di diventare un dibattito tra sordi. Come si può invece fare un passo in avanti?

R. Ci sono due strade. La prima più immediata è quella di tassarci, sia noi sia la Rai, in termini di spazio. Devolvere alla cultura una parte del tempo di programmazione. Ci vuole un patto tra gentiluomini e si può tranquillamente fare. Se ci guardiamo negli occhi sappiamo benissimo cosa è cultura e cosa non lo è. Però per uscire invece dall'episodicità ci vuole più coraggio...

D. Che significa in concreto?

R. Che andrebbe messo all'asta il servizio pubblico. Anche

per generi. Si potrebbero assegnare ciascuna tranche attraverso una normale asta alla quale i concorrenti partecipano offrendo ore e prodotti.

D. E lo Stato cosa fa? Assegna quote di canone in proporzione agli impegni di servizio pubblico assunti da ciascun concorrente?

R. Quella di cui sto parlando è una provocazione. I termini tecnici della sua attuazione ovviamente andrebbero studiati attentamente. In questa sede voglio sottolineare come anche un gruppo privato possa candidarsi a svolgere servizio pubblico regolando la sua prestazione con un contratto.

D. Da una provocazione all'altra. McChesney propone di istituire una tassa sulla pubblicità...

R. Si è fatto tanto perché le imposte indirette diminuissero e adesso ne vogliamo introdurre un'altra? Una tassa sulla pubblicità diventerebbe , è inevitabile, una tassa sui consumi pagata dai consumatori con rischi inflazionistici . Piuttosto non dimentichiamoci che la tv commerciale ha consentito ad aziende medio-piccole che non trovavano spazi sulla Rai per potere fare spot, innescando così un circolo virtuoso che ha portato lavoro e investimenti. Poi la pubblicità da semplice promozione ha sempre di più aumentato I suoi contenuti informativi e il proprio livello qualitativo, tanto che oggi è sia un servizio per I consumatori che devono scegliere sia una scuola per nuovi talenti televisivi.

 

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