Caffe' Europa
Reset Online


 

La guerra perduta delle notizie

Furio Colombo

 

Articoli collegati
Il super-trash di Jerry Springer - Altro che Costanzo-show!
Qualcuno ci salvi dalla spazzatura
Editoriale/Morcellini fa male ai bambini
Se non è pubblica, che televisione è
Chi è Robert W. McChesney
Confalonieri: "Mettiamo all'asta il servizio pubblico"
Balassone: "Diamo il canone a chi lo merita"
La guerra perduta delle notizie schermo


"Il governo D'Alema ha fatto un bel lavoro. Apo in galera e Belgrado rasa al suolo" era lo slogan cantato da giovani e pacifisti di vari gruppi il 2 giugno scorso, nel dare l'assalto all'Altare della Patria dove avrebbero issato uno striscione contro la guerra. Il destino di Apo (Ocalan) purtroppo è noto. Le vicende relative a Belgrado sono un po' diverse.

Infatti, quasi alla stessa ora dello stesso giorno l'inviato della RAI Ennio Remondino compariva in diretta sulle tre reti. Dalla piazza dei più importanti edifici governativi di Belgrado stava dando notizie dell'ultima e più promettente iniziativa diplomatica. Aggiungeva due particolari importanti per una guerra. Il presidente finlandese, rappresentante per l'Europa, e il mediatore russo Cernomirdin, giunti con due diversi aerei, erano stati ricevuti all'aeroporto "intatto" di Belgrado, secondo le regole formali del protocollo, da tutto il governo. Gli ospiti avrebbero trascorso la notte nel "castello bianco", residenza formale del presidente Milosevic. Si trattava di notizie gradite perché facevano bene sperare. Ma davano anche il ritratto di un governo nel pieno controllo e di una capitale perfettamente funzionante.

Chi ha dato dunque la notizia di Belgrado rasa al suolo ai giovani che hanno brevemente occupato, per una dimostrazione contro la guerra, il monumento romano al Milite ignoto? La risposta è semplice e disorientante. La NATO. Il quartier generale della Alleanza Atlantica ha esercitato fin dal primo giorno la più strana attività di disinformazione che sia mai avvenuta sul versante di chi inizia un conflitto. La disinformazione è consistita in questo: affermare ogni mattina di avere compiuto "il peggio"  la notte precedente, esaltando il più possibile le centinaia di azioni, le migliaia di aerei, le decine di migliaia di bombe. Durante le azioni aeree della guerra contro la Jugoslavia la NATO ha anche compiuto molti errori, quasi sempre prontamente riconosciuti. Essi hanno certo turbato l'opinione pubblica, e non solo coloro che erano comunque ostili all'intervento armato.

Ma è probabile che sentimenti profondi ed estesi di disagio (uso una parola capace di comprendere strati diversi di opinione pubblica) siano stati costantemente provocati dal far sapere al mondo ogni mattina, dopo venti, quaranta, sessanta giorni di attacchi con forze aeree paragonabili a quelle della seconda guerra mondiale, che "la notte scorsa è stata la peggiore per la Jugoslavia". Gli uomini della NATO hanno dedicato il loro sforzo comunicativo a far sapere di essere freddi e costanti autori di azioni apocalittiche, descritte in modo da scuotere e disturbare anche i più motivati sostenitori della scelta di intervento militare.

Da parte dei comunicatori della NATO non si è mai nascosto che i voli ad altissima quota erano giustificati dall'evitare qualsiasi rischio personale ai piloti. Ma questa ripetuta notizia, unita alla lista delle città e dei villaggi colpiti, più il numero di aerei, di voli, di bombe e di missili, non poteva che accrescere il senso di gelida crudeltà di ogni azione, in cui una parte rischia tutto e una parte niente, a causa della tecnologia estremamente superiore. S'intende che, se questo è il quadro comunicativo di fondo, la notizia delle decine di vittime provocate dagli "errori" non poteva che apparire ancor più grave a causa della connessione "pilota sicuro - obiettivo sbagliato".

Impossibile non ricordare che questo strano e distorto rapporto di comunicazione fra il portavoce della NATO e l'opinione pubblica dei diciannove paesi democratici che sono parte della alleanza , è stato segnato da toni di singolare antipatia, momenti di maleducazione e di franca indifferenza verso la sensibilità dei destinatari delle notizie. L'inglese Jimmy Shea, portavoce principale della Alleanza Atlantica, sarà ricordato nel mondo delle notizie, come il peggior comunicatore di ogni impresa militare del dopo Guerra fredda.

Alla curiosa incapacità o mancanza di desiderio di farsi capire da una opinione pubblica democratica, ovviamente perplessa e in gran parte disorientata non tanto sullre ragioni quanto sui modi, i percorsi, i fini dell'azione militare, Shea ha aggiunto un impegno quasi caricaturale per apparire da un lato indifferente e dall'altro terribile. Ha presentato e ripetuto notizie di attacchi il cui risultato cumulativo finale dovrebbe essere di molto superiore alle stragi compiute dalla guerra aerea nella seconda guerra mondiale.

Paradossalmente il portavoce della NATO è stato il teste d'accusa più utile e credibile per tutti coloro che si sono opposti alla guerra. Probabilmente si deve alla sua azione costante di antipatia personale unita all'impegno di rendere le notizie il più possibile tremende, se il fronte anti-guerra si è progressivamente allargato, non solo in Italia. Tutto è avvenuto come se il portavoce della NATO fosse persuaso che l'obiettivo della dura pressione psicologica fosse l'opinione dei paesi democratici dell'Alleanza, non quella del paese colpito. In quel paese, come si nota anche dai diari di cittadini serbi pubblicati dai nostri giornali, ci si è subito resi conto che, a parte la tragedia degli errori, la guerra era soprattutto un brutto dialogo con il potere di Belgrado, colpiva e distruggeva secondo un linguaggio che il dittatore poteva capire, molto meno la gente, che si è ostinata il più possibile (certo a Belgrado) a vivere una vita "normale" almeno nelle apparenze, nella routine, nei riti quotidiani. Chi ha vissuto da bambino sotto le bombe alleate sa che nessuna di quelle routine e di quei riti si salva se l'impegno è davvero - come dicono i ragazzi di Roma e come desidera far capire il portavoce della NATO - "radere al suolo".

Raramente i portavoce di guerra vengono ricordati. Ma Shea si distingue per avere costruito una guerra sulla guerra, turbando immensamente anche i più persuasi sostenitori dell'intervento armato. Si distingue per avere ignorato del tutto la tipica necessità democratica di dialogare con l'opinione pubblica. Si ricorderà anche per la platea particolarmente passiva di giornalisti che gli sono stati intorno durante i suoi "briefings". Ma anche per il "carisma zero" dei suoi superiori ha avuto un ruolo. Il generale Wesley Clarck, nonostante in suo pedigree di "Rhode Scholar", cioè di puro intellettuale e pluri-laureato, è apparso figura mediatica debole, scarsamente visibile, forse poco autorevole fra i suoi pari. Il segretario generale Solana è sembrato avere perduto del tutto il suo tocco di politico non privo di fama e di gradimento non solo nel mondo spagnolo. È ricomparso, nelle vesti di "burocrate internazionale", incarnazione non alta, non nobile, come abbiamo imparato da tante vicende dell'Europa istituzionale. Soprattutto poco adatto alla comunicazione.

Altri valuteranno i risultati, gli eventuali "pro" e i terribili "contro" di questa guerra che - anche nel migliore dei casi - non sarà a somma zero, a causa dei morti. Ma la NATO ha certamente perduto in modo clamoroso la guerra della comunicazione, si è sbarrata la strada ad ogni possibilità di persuasione, al di là delle fila di coloro che hanno creduto e sostenuto l'azione militare  fin dal principio. Un rapporto con l'opinione pubblica non è mai stato tentato. Ciò ha creato un danno non da poco per i futuri rapporti fra la NATO e le opinioni pubbliche dei paesi democratici che ne fanno parte e che sono gli "azionisti di riferimento" della Alleanza.

Il versante opposto è stato governato, come è noto, da una censura inflessibile che ha dato e stoppato notizie di guerra come ha voluto, usando con mano ferma a questo scopo, decine e decine di giornalisti del mondo. Sono sfuggiti alcuni intelligenti ed esperti commentatori e coloro che hanno deciso di dedicarsi al "qui" e "adesso", questi morti, questi profughi, questo villaggio, questo ospedale, questo rifugio, questi bambini. Ne sono uscite pagine molto belle, ma più del giornalismo di dolore che del giornalismo di guerra. Per questo evento è spesso mancato un punto di vista, un quadro di riferimento più grande di ogni singola disgrazia. La "guerra che non si vede" a cui ci si era abituati durante la guerra del Golfo è stata sostituita da una narrazione frammentata in episodi terribili e spezzati, una continua estrapolazione della scena insopportabile a cui manca il senso, o almeno l'ambientazione del giornalista che - nella fase del giudizio - è bloccato dal suo stare all'interno di un regime inflessibile, che non ha mai sentito il bisogno - o la necessità - di allentare la presa.

In parte ha funzionato, in buona fede e a causa del dramma di cui il giornalista era partecipe, vittima, non solo testimone, una sorta di "sindrome di Stoccolma". Non ha giovato la tecnica di giornalismo televisivo prevalente in Italia, il talk show. È uno "spettacolo" che favorisce gli aspetti istrionici, i trasalimenti temperamentali, il partito preso. Si presta bene al deliberato zig-zagare dei conduttori che puntano a non perdere l'attenzione e sacrificano volentieri continuità e chiarezza.

Così che si è assistito a un infinito confronto di pareri personali, di strategie personali, di informazioni personali, di umori personali. Niente di tutto questo poteva arricchire neppure di poco la comunicazione. Se mai erano come una pioggia inquinata di esibizioni, che ha diminuito la visibilità di fatti semplici e noti. Il materiale visivo della guerra ha avuto solo due fonti: il governo jugoslavo e i campi profughi. Sui campi profughi abbiamo visto sequenze bellissime ma è mancata la   rigorosa continuità accanto alla qualità quasi cinematografica delle immagini. Ogni dato è apparso istantaneo e impressionistico. Ogni narrazione, anche le più belle e toccanti, ha avuto un carattere estemporaneo, senza ieri e senza domani. Ogni conta, ogni dislocazione di persone e di campi, ogni accumulo di aiuti o mancanza di aiuti, sono ricominciati ogni giorno, alternando immagini da inferno con immagini di campi perfetti, sequenze in cui decine di persone attendevano in piedi sotto la pioggia a sequenze in cui quelle decine di migliaia di persone sono scomparse.

Le stesse città, lo stesso giorno, risultano "vuote e fantasma" (dichiarazione di Rugova alla TV italiana il 12 maggio) oppure "tuttora abitate da 70mila persone di quattro etnie" (Ennio Remondino, stesso giorno, stessa televisione). Non è stata usata quasi mai una tecnica che è di routine per la CNN: dichiarare se le immagini che si vedono in un dato momento sono "repertorio" (o di un altro giorno, indicando quale) o se sono nuove e di un fatto nuovo. Per decine di sere gli spettatori italiani hanno guardato le stesse esplosioni e gli stessi incendi visti altre infinite volte, ma usati a sostegno di un racconto "in diretta" relativo a fatti appena avvenuti e dunque impossibili da giudicare.

Una trovata di estrema utilità - invece - sono state le conversazioni - brevi e chiare, soprattutto nel TG1 - con commentatori lontani dagli eventi ma chiari e bene informati, in grado, almeno, di dare ordine alla cascata di materiale televisivo non identificato. Purtroppo il materiale jugoslavo soggetto a censura non è mai stato dichiarato tale. Ogni volta, infatti, accanto all'immagine di devastazione, mancava l'ambientazione: quanto stiamo vedendo, di ciò che è accaduto, poco, tanto, un dettaglio, una casa o una città distrutta? Faceva luce soltanto la ricorrente precisazione del corrispondente: "Come sapete, qui c'è la legge marziale".

Il programma di Michele Santoro è diventato il simbolo di ciò che non si deve fare in una situazione di guerra come quella che abbiamo vissuto. Non perché sia cattiva l'intenzione. Semplicemente perché non si può fare. L'imbarazzo e anche il dissociarsi dei giornalisti dello stesso editore privato (Mediaset) lo hanno subito dimostrato. I giudizi su quel programma televisivo sono stati molto duri. Ma ciò che è accaduto è stato soprattutto un atto eccessivo di fede che il conduttore ha fatto a se stesso. Ha voluto dichiarare - credo in buona fede - di essere il portatore di una naturale superiorità, rispetto alle parti, di poter passare indenne attraverso l'uso propagandistico di una parte sola.

Così non è stato e così non poteva essere. C'è da sperare che la lezione, in mano a persone intelligenti, non sia andata perduta.

A differenza della NATO, media e giornali italiani non hanno mai perso il contatto con l'opinione pubblica, anche a costo di offrire sequenze informative contraddittorie. Contraddittorio è stato infatti lo stato d'animo di quasi tutti, orrore per la pulizia etnica, dubbio (anche a causa della mala informazione della NATO) sull'azione militare e la sua capacità di "cura del male". Questo è il dato positivo di una stagione giornalistica segnata da paurosi dislivelli. Forse, al di là di tante straordinarie incoerenze, lettori e spettatori italiani si sono un poco riavvicinati ai propri media, li hanno riconosciuti come portatori delle loro (nostre) stesse ambivalenze. E questo potrà giovare al destino della informazione in un paese dove la buona informazione non ha mai avuto vita facile.

 

 

Articoli collegati
Il super-trash di Jerry Springer - Altro che Costanzo-show!
Qualcuno ci salvi dalla spazzatura
Editoriale/Morcellini fa male ai bambini
Se non è pubblica, che televisione è
Chi è Robert W. McChesney
Confalonieri: "Mettiamo all'asta il servizio pubblico"
Balassone: "Diamo il canone a chi lo merita"
La guerra perduta delle notizie schermo

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier |Reset Online |Libri |Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media |Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo