Il fabbricone, un cortile di
storie
Elena Giandrini e Marzia Loriga con Tina Cosmai
Articoli collegati:
Barbara
Spinelli e il mito di Cassandra
L’ora
del ritorno
Il
fabbricone, un cortile di storie
Intellettuali
a Milano: come eravamo
Alla
ricerca dei monumenti perduti
Anteprima/Alzheimer
Segnalazione/Totalitarismi
a confronto
Segnalazione/Internet
e l'oblio
Segnalazione/Quando
abbaiava la volpe
Segnalazione/Guida
OPI dell'Antiquariato Italiano
La compagnia Teatro Alkaest inscena lavori e testi che traggono
forza dall’esperienza reale dei vissuti quotidiani e sociali degli
stessi attori. Sì, perché si tratta di anziani della periferia
milanese che drammatizzano eventi appartenuti alla loro vita, alla
loro storia personale. Ricordi che percorrono la loro esistenza
nello scorcio degli ultimi cinquant’anni, dalle origini contadine,
alle guerre, alle fabbriche di Milano.
Tutto nasce e si svolge sul filo della memoria che mai smette di
dipanarsi, per non dimenticare il valore di quell’identità
personale che appartiene ad ognuno di noi. E’ un teatro singolare
dunque, sia per i contenuti artistici sia per i risvolti sociali.
Gli attori, come accennato sopra, sono per la maggior parte anziani
che nell’interpretazione scenica si misurano con i propri vissuti
antichi e non si limitano a rappresentare le vicende, ma le vivono
attivamente sul palcoscenico.
E’ dunque il vissuto personale che entra in scena e in questo sta
la forza dello spettacolo, nel particolare rapporto che si crea tra
l’attore e lo spettatore, che si sente ammesso all'interno della
vicenda intima del protagonista, trasportato nel viaggio personale
di colui che la interpreta. E’ un intreccio tra storie, tra
vissuti conservati nella mente, nei cuori.

Foto di Maurizio Buscarino
Il Teatro Alkaest è la rappresentazione, in scena, della memoria,
della forza della storia rivissuta e raccontata per non perdere il
senso dell’origine. La compagnia, nata nel 1984 da un gruppo di
attori che per molti anni hanno lavorato con Tadeusz Kantor, mette
in scena venerdì 16 novembre, in uno spazio comunale della zona 5
di Torino, il Centro Culturale Principessa Isabella, Il
Fabbricone, scritto nel 1959 da Giovanni Testori, autore di
Novate Milanese, per la regia di Gilberto Colla e Marzia Loriga. Il
testo fa parte del grande affresco popolare disegnato da Testori con
le sue prime opere quali Il Ponte della Ghisolfa, Maria
Brasca, L’Arialda, ed è ambientato a Novate e
dintorni.
Percorriamo la storia di questo dramma e della compagnia che lo
mette in scena con i racconti di una delle attrici, la signora Elena
Giandrini che in dicembre compie 83 anni, e con la direttrice
artistica del Teatro Alkaest, Marzia Loriga.
Come nasce questa esperienza teatrale?
Elena Giandrini:
“Io sono una donna molto curiosa e lei sa che la sete di
sapere non si placa mai. Un giorno ci hanno contattato alcune
persone dicendo che avevano fatto parte della compagnia di Tadeusz
Kantor e che volevano fare una compagnia teatrale con la nostra
collaborazione. In quaranta siamo andati ad ascoltare ciò che
avevano da dirci; volevano mettere su uno spettacolo che avesse come
tema la vita e i personaggi di Novate.
"Molti si sono spaventati e hanno rinunciato, io no. Ho chiesto
loro cosa davvero volevano da noi e mi hanno risposto che
desideravano conoscere le nostre storie, il nostro passato lì a
Novate, i fatti reali di gente comune. Ho fatto leggere loro delle
cose che avevo scritto e non mi hanno più mollata. Abbiamo
cominciato a fare teatro, certo ero un po’ perplessa perché alla
mia età non è semplice affrontare un pubblico, ma ho accettato
questa sfida con me stessa. Abbiamo preparato uno spettacolo in
dialetto, il primo spettacolo, scene di vita quotidiana a Novate”.
Marzia Loriga:
“Il Teatro Alkaest nasce come lavoro sulla terza età, per
puro caso, come spesso accade. Abbiamo chiesto al Comune di Novate
uno spazio per mettere in scena i nostri spettacoli. Era l’ottobre
del 1986 e l’assessore non voleva repliche ma lavori originali. Io
da tempo desideravo lavorare con gli anziani, mettere in scena i
loro racconti, stimolata anche dal clima di quel tempo, di
attenzione per le storie vere. Quindi ho proposto all’assessore di
teatralizzare storie vissute, di fare spettacoli con la memoria
degli anziani. Lui fu molto disponibile e allora siamo andati nel
luogo dove gli anziani ballavano, facevano ginnastica, ci siamo
presentati e abbiamo detto che avevamo bisogno delle loro storie per
fare degli spettacoli. L’esperienza è partita nel dicembre del
1987 con uno spettacolo intitolato Novate 576, un numero che
è la somma degli anni di tutti, compresi noi che eravamo in quattro
a lavorare con loro”.

Foto di Maurizio Buscarino
Come si è sviluppato quest’interesse per la memoria, per la
storia personale?
Elena Giandrini:
“A me piace molto scrivere e racconto sempre di storie che ho
vissuto o che sono accadute a persone che conosco. Scrivo un diario
in cui si parla degli anziani, che raccoglie le mie riflessioni sui
fatti che accadono nel cammino della vita. La vita si allunga e le
famiglie diventano sempre più piccole, perché c’è esigenza di
spazi di libertà sempre maggiori. Da ventiquattro anni sono vedova,
ma non mi sento sola anche se il mio unico figlio è lontano; la
scrittura, le storie e il teatro mi fanno compagnia”.
Marzia Loriga:
“Abbiamo cominciato a lavorare con le storie degli anziani,
intessendole dei nostri desideri, delle nostre emozioni. Loro non
hanno fatto nessun tipo di training teatrale tradizionale, hanno
imparato le regole del teatro facendo teatro. Dopo Novate 576,
abbiamo messo in scena Si vedono le nuvole, ed è la storia
di un viaggio, il viaggio della loro vita. Comincia con la scena di
un matrimonio in cui parlano di un’amica che deve sposarsi. La
storia è ambientata nel periodo antecedente la guerra e attraversa
poi la guerra e gli anni delle lotte sindacali. E’ il bagaglio
della loro memoria, “più o meno pesante”, come afferma una di
loro nello spettacolo.
"Vede, i testi non sono programmati, ma scritti appositamente
sulle loro storie. Dopo questi due primi spettacoli, Luigi Arpini,
uno degli attori di Kantor, ha scritto un testo dal titolo Il
giardino dei ciliegi, liberamente ispirato a Cechov. Poi nel
1997 entra il gruppo dei giovani con Itaca, e il tema della
memoria e il recupero della storia diviene più forte. Si incrociano
le diverse esperienze, quella del passato e quella del futuro,
interpretate e vissute sempre nell’ottica del racconto, del
viaggio, della memoria. Da allora sono rimasti sempre insieme,
anziani e giovani”.
Parliamo de Il Fabbricone, lo spettacolo che state
replicando in questi giorni…
Marzia Loriga:
“Il fabbricone è una casa di ringhiera, popolare, costruita
nel 1923 a Novate, una delle prime costruite in tutta Italia:
ballatoi, bagni unici, ambienti poveri. La storia si svolge nel
1958, quando questo fabbricone era ormai distrutto, infatti nello
spettacolo si dice, in milanese, “ormai era una ruera”. E’ la
storia di due famiglie che abitano nel fabbricone, una di comunisti,
l’altra di democristiani. In quest’ultima vi è una madre che ha
un figlio che si prostituisce al Parco Sempione, una vicenda
drammatica all’interno dello spettacolo. Nella famiglia comunista
invece c’è il fratello maggiore, Antonio, personaggio ambiguo che
frequenta ambienti loschi e nella convinzione che qualsiasi sistema
vada usato per uscire da quella condizione di degrado in cui vive
con la sua famiglia.
"Ne Il Fabbricone v’è una proiezione verso il futuro
di un mondo che si sta trasformando, quello a cavallo tra gli anni
Cinquanta e Sessanta. Antonio è il personaggio che simboleggia tale
trasformazione. Lui pensa e dice “voglio fare la vita che piace a
me, non quella che mi dice mio padre”. Questo spettacolo è una
memoria assoluta di Novate, nel senso che il fabbricone esiste tutt’ora.
Molti dei nostri anziani hanno conosciuto i personaggi della storia.
Naturalmente Giovanni Testori ha reinventato e riscritto quelle
storie, probabilmente alcuni nomi sono inventati, ma per gli anziani
fare questo spettacolo significa ripercorrere una parte della loro
vita che ricordano perfettamente, alcuni di loro hanno abitato
proprio nel fabbricone. Mettono in scena la loro storia anche quando
non è vissuta direttamente. E Redenta, una delle protagoniste dello
spettacolo, è la personificazione della memoria, è la memoria che
racconta. C’è una frase della drammaturgia che rende bene l’idea
del personaggio: “Quando una cosa lei l’aveva là in testa, era
chiusa in una cassaforte, chiusa per sempre”. Redenta non
dimentica, conserva tutto nella sua mente”.
Elena Giandrini:
“Ho vissuto per molto tempo in queste case, in questi
fabbriconi dove accadeva di tutto, conflitti familiari, politici,
amorosi, dove abitavano famiglie di lavoratori sempre in lotta.
Nello spettacolo io sono la Redenta, una ragazza a cui è morto il
fidanzato in guerra, ed è per questo che è sempre rabbiosa,
perché non è riuscita a coronare il suo sogno d’amore. Poi c’è
questa passione tra una ragazza di famiglia democristiana e un
ragazzo comunista. La Redenta è molto vicina a questa coppia, li
protegge perché sono stati ripudiati dalle loro famiglie.
"Vi è un pezzo della mia storia in questo dramma, perché io
mi sono sposata durante la guerra, per fare in modo che mio marito
non andasse in Russia; dopo due anni è nato nostro figlio, alla
fine del 1943, mentre mio marito era giù a Crotone. Non avevo sue
notizie, lui è tornato a casa che il mio bambino aveva già due
anni. E’ venuto su a Novate da Crotone, il 25 aprile era a
Bologna, è stato uno dei primi ad arrivare con gli americani. E
quando è arrivato siamo andati ad abitare proprio nel fabbricone
della storia, era l’unico, solo in mezzo a tanto terreno.
"Riprendere e mettere in scena la mia storia mi aiuta a vivere,
a non sentirmi sola. La memoria è importante, questa società la
sta perdendo e invece noi, con questo teatro la teniamo viva, la
raccontiamo. Io scrivo sempre, sui miei ricordi d’infanzia, sulle
ore e i giorni passati. Mi piace ricordare il primo bacio che ho
avuto, a diciannove anni, da mio marito.”
Articoli collegati:
Barbara
Spinelli e il mito di Cassandra
L’ora
del ritorno
Il
fabbricone, un cortile di storie
Intellettuali
a Milano: come eravamo
Alla
ricerca dei monumenti perduti
Anteprima/Alzheimer
Segnalazione/Totalitarismi
a confronto
Segnalazione/Internet
e l'oblio
Segnalazione/Quando
abbaiava la volpe
Segnalazione/Guida
OPI dell'Antiquariato Italiano
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |