Uno strumento per sistematizzare il
mondo
Parla Gianni Sofri
a cura di Piero Comandè
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Gianni Sofri è uno storico contemporaneista che attualmente insegna
geografia politica ed economica e che pensa che la geografia
"sia una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai geografi”.
Il convegno dell'IRSIFAR “Discipline, fonti e linguaggi per
l'insegnamento della storia”, cche si è tenuto a Roma l'11 e 12
ottobre 2001, gli ha offerto l'occasione per ragionare in modo
divertito, da “geografo di complemento”, sulla “geografia fra
descrizione del mondo e studio dei rapporti tra società e natura”.

Sofri ha esordito con un grido di allarme: la
geografia non esiste quasi più nella scuola italiana superiore. E'
insegnata come geografia astronomica o economica, ma a pochissimi
giovani e per un brevissimo periodo di tempo. Nella riforma dei
cicli, bloccata dall'attuale ministro della Pubblica Istruzione, era
considerata, all'interno della scuola di base, in modo “ancillare”
come “geografia storica”: ad esempio c'era la geografia della
Grecia antica, ma mancava quella di oggi.
Il nostro “geografo di complemento”, per altro, confessa di non
aver mai ricevuto una risposta alla domanda: ”perché
l'insegnamento della geografia è stato in gran parte abolito”?
Appunto perché? La geografia nasce interdisciplinare già ai tempi
di Erodoto, quando si pensava che la storia fosse un gigante con due
occhi: la geografia e la cronologia. La geografia riporta al centro
dello studio i contenuti disciplinari oggi superati dall'interesse
per la didattica e le discipline metodologiche e lo fa divertendo,
in modo creativo e fantasioso: non è nozionismo sapere che la
capitale della Thailandia è Bangkok o chi era Giulio Cesare o
quando è vissuto Napoleone.
“E' stata un'assurdità - dice - privare le ultime generazioni
della possibilità di leggere giornali e libri che sono pieni di
allusioni a conoscvenze storiche e geografiche: come dice Le Goff,
la storia bisogna pur saperla, e questo vale anche per la geografia”.
Sofri sottolinea anche l'utilità pratica della geografia, e invita
a non ridere quando ne ricorda gli usi concreti: permette di leggere
una cartina come un orario ferroviario, e di fare quindi del turismo
un po' più intelligente.

La geografia, studiata a scuola, è uno strumento
per sistematizzare il mondo, tanto più utile in tempo di
globalizzazione, in cui l'”esotico” entra in casa nostra. La
geografia insegna alcune verità sgradevoli: che la natura è
ingiusta e che le zone a clima temperato sono le più ricche, che la
desertificazione non è minor causa della povertà africana del
colonialismo. La geografia ricorda che la storia del rapporto
uomo-natura è una battaglia difficile e lenta e, in un'epoca che
corre rapidissima, consente di “stabilire nessi” più di ogni
altra disciplina - una valenza alla quale la scuola non dovrebbe
rinunciare. Ci da la possibilità di guardare a ciò che è più
lento, se non permanente, di “disegnare” le “lunghe durate”
della storia, di diventare geopolitica; si pensi alla pressione
prima russa, poi sovietica e quindi ancora russa verso i mari caldi,
ai conflitti etnici e religiosi.
Con la tragedia delle Twin Towers gli spazi sono apparsi senza più
confini, eppure nei giorni successivi si è assistito alla rivincita
della geografia: tutti ad esaminare il terreno dell'Afghanistan e a
collocarvi etnie, campi, alleanze. Non è un caso che i giornali di
questi giorni siano ricchi di cartine colorate d'ogni genere: la
geopolitica si studia in borsa. E - conclude Sofri - “credo che da
ora in poi se qualcuno minaccerà ancora di eliminare la geografia
bisognerà protestare duramente”.
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