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Il sonno della geografia genera mostri



Stefano Arras




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Stefano Arras è insegnante liceale di italiano e storia

La geografia è una sottostruttura della conoscenza: la storia, la letteratura e persino le discipline scientifiche non possono farne a meno. E' un caso che uno dei primi romanzi pubblicati in Inghilterra racconti di viaggi, di isole perdute nell'Oceano e dello sforzo tenace di essere trovati? E che lo stesso Alessandro Manzoni inizia i “Promessi sposi” con la descrizione geografica: ”Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli … ”?.

E' indubbio: la geografia serve, è persino indispensabile per progettare, anche in modo banale, la propria vita. Da quando il mondo ha ripreso ad essere governato dalle guerre, la geopolitica, forse la più fortunata delle scienze sociali, segnala l'esigenza di collocare nel senso comune medio colto le informazioni sempre più complesse ed inquietanti che l'attualità mediatica ci propone. .La globalizzazione non è forse un concetto spaziale? I concetti di new economy e netgeography, fatta di nodi, server, website, descrivono punti nello spazio tra reale e virtuale; e il “digital divide” è anch'esso un concetto “geografico” che consente di intepretare molti altri fenomeni.

La rappresentazione geografica dei fenomeni planetari è infatti anche interpretazione, visione “politica” delle cose: così il duello tra le civiltà descritto da Samuel P. Huntington è esemplificato attraverso cartine geografiche, e un’altrettanto inquietante cartografia ci propone Zbigniew Brzezinski ne La grande scacchiera, descrivendo lo spazio russo come “buco nero” o l'Asia centrale (Eurasia, Afghanistan incluso) come “Balcani d'Eurasia”.

Il sistema scolastico riesce a far sopravvivere queste coordinate, indispensabili per rendere produttivo lo studio dei ragazzi? Se lo chiediamo gli insegnanti, ci raccontano storie sorprendenti di adolescenti o neomaggiorenni con una percezione dello spazio locale o, alla meglio, mediatica. Il ministro della Pubblica Istruzione Letizia Moratti ha recentemente invitato i ragazzi a discutere la tragedia delle twin towers: bene! i problemi sono sorti quando da New York, che più o meno tutti sanno (più o meno) dov'è, l'attenzione è stata spostata sugli altri quadri geografici della vicenda. I nostri ragazzi sanno che l'Afghanistan è vicino al Pakistan, ma intorno a entrambi che cosa c’è? dove si trova la Federazione Russa? Dove sono atterrati gli aerei militari Americani, dove si stanno concentrando i marine?

Personalmente, ho fatto un minisondaggio fra gli studenti di un liceo linguistico romano: quello che segue è il responso. Per i nostri ragazzi tra Kabul e la Russia, almeno in termini geografici, non c'è molta differenza: sono entrambi “a destra dell'Europa", "vicino all'India" E la Federazione Russa potrebbe ancora essere l'U.R.S.S., perché Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan sembrano ai nostri studenti solo nomi esotici dalla collocazione incertissima. La loro idea di geografia relativa a quella parte del mondo è quella sovietica del XXI secolo, con Lituania, Lettonia ed Estonia ancora incastonate nell’Impero. Tallin, dicono, non è la capitale dell'Etiopia?

L'unica cosa certa è che la Cina è grande e confina con la Federazione russa, ma la Mongolia rimane ubiqua: ha una frontiera comune con il grande paese euroasiatico? o con la Corea? Nonostante la guerra del '52-'53 e le recenti uscite del “caro leader” Kim Jong-Il è difficile convincere gli studenti che la Corea sia divisa al 38° parallelo (non ci sono state le olimpiadi a Seoul?). E poi Pyongyang, che nome! Impossibile ricordarlo, prima ancora di scoprire dov'è.

Di Bin-Laden tutti sanno tutto. E' un arabo, come gli Iraniani e forse i Turchi, non basta? Del resto, nel film Matrix, il Sig. Regan diceva al Mr. Smith, anonimo agente antiumano, che l'”ignoranza è un bene”: quale scusa migliore per un gruppo di giovani menti che non saprà dov'è Kabul, ma di sicuro ha visto Matrix?. I nostri ragazzi possono resistere parecchio prima di convincersi che l'Indonesia è lo Stato musulmano più popoloso del mondo. Restano increduli di fronte a tutta quell'acqua: “Ma se è in mezzo al mare”! Nell'immaginario mediatico occidentale, almeno a livello liceale, la Mecca sta nel deserto e lì il mare non c'è.

Il mondo arabo è differenziato solo il funzione delle vacanze a Sharm-el-Sheik o a Marrakech (Express): il Cairo, difficile pensare altrimenti, diventa quindi la capitale dell'Arabia Saudita, mentre lo Yemen è spostato d'ufficio nell'Africa nera. In fondo il razzismo nostrano non dice “maroc”? L'Islam è in Arabia, ma anche nel Kosovo, cioè al confine tra la Federazione russa e la Macedonia, o vicino ai paesi dell'ex-Jugoslavia. Se la domanda si sposta sulla condizione dei cattolici nei paesi musulmani, Israele si trasforma nel più grande Stato cattolico d'Asia, secondo, forse, solo alla Cina. L'Asia e l'America latina fanno da cornice a questa “geografia” surreale.

Neppure il più profondo sonno della ragione avrebbe mutato il Laos nella capitale del Vietnam, sollevato il Niger in Groelandia ed infilato il Nicaragua tra il Brasile e l'Argentina. I nostri ragazzi invece lo fanno, “accomodando” anche l'Europa del Nord a queste nuove coordinate: l'“oceano antartico” notoriamente bagna le regioni settentrionali - o forse il nome esatto è “circolo polare antartico”? Helsinki oltre che fredda diventa errante, peregrinando tra Danimarca, Svezia e Finlandia.

Né si salvano i patrii confini: ad est la Repubblica ceca diventa una nostra “vicina di casa” e l' Ucraina e la Bielorussia le vengono subito dietro, pur confinando la Federazione russa con la Polonia e la Romania e forse con la Germania. Il Kazachistan è un nome talmente impronunciabile da lasciarli increduli circa la sua effettiva esistenza (in verità qualche dubbio lo hanno manifestato pure sulla Bielorussia e la sua capitale Minsk). Curiosamente sanno dov'è la Cecenia, ma Belgrado non li convince come capitale della “ex-Jugoslavia”.

Perché tanta ignoranza? Prendiamo in mano i piani di studio dei nostri istituti scolastici - tralasciando di proposito le spiegazioni sociologiche sulla particolare percezione del tempo e dello spazio da parte dei giovani che spesso lamentano un eccesso di “memoria” - e notiamo che solo l'Istituto Tecnico Turistico propone lo studio della geografia per tutti i cinque anni di corso. Nei Licei scompare dopo il biennio o persino dopo il primo anno, per ricomparire talvolta come geografia settoriale, strumentale al profilo professionale di riferimento (ad esempio economica). E' invece del tutto assente negli Istituti Professionali e diventa disciplina professionale nel triennio solo nell'indirizzo per i Servizi Commerciali (Aziendale e Turistico).

E’ sorprendente che l'insegnamento della geografia sia trascurato dai licei, che per vocazione preparano all’Università, ma è anche più grave che sia totalmente assente negli Istituti Professionali, che non prevedono un ulteriore approfondimento delle conoscenze, e dove si addensa quasi il 25% della popolazione scolastica dopo la scuola media - ragazzi che hanno scelto un più diretto rapporto con il mondo del lavoro e dovrebbero assicurare la continuità e l’innovazione alla base del sistema produttivo, e che forse più di altri avrebbero bisogno di parametri spaziali, almeno per orientarsi.

Molti Istituti tecnici con indirizzo informatico semplicemente ignorano la geografia: ci propongono il paradosso dell’insegnamento di tecnologie della comunicazione che annullano lo spazio rendendolo globale: l'universo del Net diventa solo virtuale, e disegna la nuova e molto reale geografia del “digital divide”.. Non ci si scandalizzi allora se il mondo appare a molti dei nostri giovani come un gigantesco supermarket perennemente in offerta speciale, dando loro l'illusione che tutto sia sistemato alla stessa altezza scaffale, tutto raggiungibile (seduti davanti a un monitor di computer), tutto egualmente "sconfinato".

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