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L’"eroticita’" come luogo dello spirito



Tina Cosmai




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Anna Maria Farabbi, Il segno della femmina, Lietocollelibri, Pag.50, £ 15.000

Ci sono luoghi fisici, geografici che stimolano le nostre parti antiche, istintuali. Quelle parti che sovente celiamo alla nostra coscienza, perché temute per la loro intensità, la loro forza espressiva, il loro porsi in conflitto con gli spazi della nostra ragione, destabilizzando equilibri costruiti nel tempo della nostra storia.

L’animalità, di cui parla e scrive Anna Maria Farabbi (Perugia, 1959) nelle sue poesie, è difficile da sostenere se pensata e vissuta separata da quel luogo meraviglioso che è il nostro corpo, la sede della nostra "eroticità", come la definisce l'autrice, là dove il pensiero è nel ventre. Ritornare ai luoghi per ritrovare ciò che di più antico c’è in noi è ritrovare la nostra dimensione erotica che, per la Farabbi, risiede nell’istinto di accoglienza di ciò che è diverso. Nutrizione profonda dell’altro e dall’altro.

La sua ultima raccolta di poesie Il segno della femmina è una lode all’eroticità dei luoghi, elemento vivificatore di questa lirica in cui spirito e carne si fondono. E ogni luogo è sempre un luogo di carne: il corpo, l’ombelico, il ventre, la vagina, la fronte divengono spazi dove il pensiero, il linguaggio, l’anima, la morte, pongono la loro dimora. Ogni luogo corporeo ha un significato antico che testimonia la nascita di un processo spirituale che parte dal corpo, che è corpo, perché il corpo è depositario di ogni verbo.

Da quale "luogo" di se stessa nasce la sua poesia?

La mia poesia è nata molto tempo fa: avevo quattordici anni e probabilmente fu uno sfogo per un eccesso di sensibilità, una non rispondenza piena all’ambiente che mi circondava, in particolare quello familiare. Poi è divenuta uno strumento di conoscenza e di chiarezza interiore. Ho avvertito l’esigenza di trasformare in arte i processi di attraversamento di me stessa e quindi la poesia è divenuta non liberazione, non sfogo, ma una sorta di compasso, una rispondenza nitida con il mio sentire, l’espressione di uno scavo interiore. La mia poesia nasce da quel luogo che è il mio corpo, perché sta nelle sensazioni che lo attraversano.

La sua infatti è una poesia carnale che deriva anche dall’esperienza di luoghi particolari, quali l’Africa…

Assolutamente, perché l’Africa è stata una scossa, uno stupore erotico, un’accensione sensoriale potentissima, che mi ha spostato come un vento che solleva i piedi da terra e violentemente, ti getta su un altro terreno. Ho vissuto nell'Africa nera per circa sei anni, conducendo un’esistenza particolare, di contatto forte con la natura.

Ne ho un ricordo potente e inquietante. Non si dormiva in tenda, ma sotto le stelle e la percezione e la vista di un cielo concavo, con profondità stellare, è una cosa che fa ammutolire. Questa concavità celeste che mi sovrastava, che accoglieva la terra tutta, generava in me come un’elevazione a potenza dei miei sensi. E il vedere terra e soltanto terra è stata un’esperienza emozionante ma soprattutto, ancora una volta, erotica.

Ecco, l’eroticità era nello splendore della natura ma anche nella sua drammaticità. La morte di un elefante per esempio, con gli avvoltoi che scavano caverne dentro il corpo mammifero… ebbene una cosa del genere non l’ho vissuta con orrore. Avvertivo una naturalezza in tutto ciò, un dare e ridare da creatura a creatura, un dialogo tra la terra e i suoi abitanti; la morte come passaggio, come divenire, come naturale trasformazione.

L’eroticità è vivere a pori aperti in una disposizione concava della vita, quindi con accoglienza totale ma con una fortissimo senso della propria identità. Il luogo carnale, il corpo, mantiene lo spirituale, l’unicità del momento, l’emozione e non l’ebbrezza. L’esperienza erotica si prolunga in me come presenza, come ruminazione, e quindi c’è l’accesso all’altra creatura, al creato.

La visione erotica della vita si è incarnata in lei anche nel ritorno dall’Africa…

Il grande gancio è stato Montelovesco, che è un luogo preciso, esistente dell’Appennino Umbro, sopra Gubbio; probabilmente è la parte più selvaggia della provincia di Perugia. Lì mi sono riconosciuta e ho "sentito" l’Africa, la mia famiglia terrestre. Era la mattina del mio compleanno, mi sentivo proprio chiamata da questo posto e ci sono andata, da sola. Ho perduto molte volte la strada, perché è un paese isolato e dopo circa due ore ho trovato questo luogo e mi sono emozionata. E’ stato come tornare a casa, la stessa sensazione di appartenenza. Lì c’è molta terra incolta ma anche tanta grazia nel paesaggio. Ed è proprio questo contrasto che credo mi corrisponda, come un autoritratto.

La concavità del cielo africano, la terra che accoglie, ogni luogo sembra manifestare per lei la maternità, che nelle sue poesie riconosce nella lupa oltre che nella terra…

Sono molto affascinata dall’animalità di una persona, perché essa prescinde dalla scrittura e quindi risiede nell’oralità. E il linguaggio non è soltanto lingua, ma è comprensivo di un comportamento istintuale che spesso perdiamo. La lupa è un animale che ha in sé la fatica e l’essere felino, non rappresenta un aspetto sublimato della maternità, che credo sia irreale, anche se va molto di moda. La lupa è un animale che incute rispetto, che è molto attento alla sua prole, al suo “creato”, ai suoi territori: è un animale di forte identità.

La terra è l’accoglienza, il luogo dove il seme feconda. Nella terra penso il piacere di accogliere l’altro, non solo figlio, ma anche amante, amico, insomma, la persona che passa. La terra ci dà la misura del nostro essere umani, della nostra istintualità e sensualità. Ma se l’accoglienza è eroticità, dev’essere assorbimento e non annullamento. Fare l’amore è accoglimento dell’altro nella sua diversità, è dare all’altra creatura, all'intero creato. L’eroticità è ri/stabilire un rapporto con il nostro vissuto ancestrale; essa è l’arcaico senso della vita.

Ci sono luoghi del corpo nella sua poesia che sono la sede di spazi spirituali. La lingua è sede del linguaggio, la fronte del pensiero. Ci parli di quest’adesione corpo-spirito.

La lingua è sede del linguaggio ma è anche il muscolo del cibarsi, del baciare. In una poesia ho scritto che la fronte è come una parete di montagna, che tutela, custodisce il pensiero; ma poi in essa si incaglia un becco d’uccello e si apre una crepa che permette di vedere oltre. Avviene un’epifania e il pensiero astratto si scioglie altissimo e diventa tutt’uno con il corpo, lo attraversa sino all’ombelico, alla vagina, all’utero.

Così la lingua viaggia nel corpo, anche nella funzione di nominare ciò che lo attraversa e lo feconda, con i suoi umori salivali. E’ un viaggio a ritroso nel nostro luogo primario, quello che ci ha condotto alla luce. La lingua riattraversa la vagina nelle mie poesie ma non si arresta lì, altrimenti morirebbe d’isolamento, separata dal mondo. Non potrebbe più dire al creato e alle creature della sua esperienza di vita.

All’ombelico invece lei associa il cimitero di Montelovesco, perché?

L’ombelico è la cicatrice che testimonia la nostra filialità, un luogo sacro di memoria, biologica e arcaica, che ci ricorda il nostro essere coniugati a qualcosa. Nel cimitero di Montelovesco ritrovo me stessa, i miei discorsi. Non ci sono tombe, è un grande prato mezzo incolto, situato su un'alta collina dove c’è sempre luce e soffiano tutti i venti, è un luogo dove mi si riconduce tutto in corpo. Non è un cimitero vissuto come lutto, come separazione, ma come congiunzione. Non la presenza della morte come orrore, ma uno star bene con se stessi e con il creato.

Nelle sue poesie il rapporto sessuale è vissuto come viaggio/incontro attraverso quel luogo che è il corpo. Ce ne parli.

La penetrazione dell’uomo e l’accoglienza della donna... un viaggio all’interno di questo luogo erotico amoroso che è il corpo. Sì, a me piace dire di questa bellezza dell’uomo e della donna. Condivido l’interpretazione del viaggio, è nelle mie intenzioni liriche. Un viaggio che non ha possesso e quindi ansia, ma piacere, lucidità ed emozione spirituale.

Qualunque entrata di un’altra persona, sempre aprendo le porte con intensità e intimità, è sacralità. L’entrata dell’altro mi porta nutrimento e la fiducia e la speranza di una reciprocità. In ciò sta la radice del desiderio, del piacere, che l’altro accolga il nostro sentire, la massima intimità. Il corpo dell’altro è una benedizione della vita, è una lode all’emozione altrui.

Fare l’amore è come compiere un viaggio in cui si intersecano due cammini, ed è bello pensare alla penetrazione come incontro e non come fusione. La mia identità, all’interno di questo viaggio nel corpo, dev’essere accresciuta, trasformata ma non perduta. E' questa la lucidità di cui parlo. Tutto ciò non è semplice da sentire, da raggiungere, ma per me è l’estremo piacere.



Link:

La casa editrice Lietocolle ha un sito con notizie sugli autori,
immagini ed estratti dai libri.

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