Viaggio all'interno delle nostre
certezze
David Bidussa
Articoli collegati:
Il sonno della geografia genera
mostri
I rapporti fra società e natura
Per uno spazio pubblico planetario
L’"eroticità" come
luogo dello spirito
Microstati e cittadini
virtuali
La cartografia di Le monde
diplomatique
19
Segnalazione/Sincretismi
Hic sunt leones
Viaggio all'interno
delle nostre certezze
Questo articolo è apparso per la prima volta su "il
manifesto"
Si intitola Segni e sogni della terra. Il disegno del mondo dal
mito di Atlante alla geografia delle reti una mostra dedicata
alla cartografia, organizzata e che si apre in questi giorni a
Milano a Palazzo Reale (27 settembre 2001 - 6 gennaio 2002) promossa
dall’Istituto Geografico De Agostini (una casa editrice che come
Laterza compie quest’anno un secolo di vita) e il Comune di
Milano.
Un viaggio nella organizzazione delle nostre certezze e nella storia
della costruzione dell’habitat amichevole si potrebbe dire sia il
messaggio subliminale che passa per questa mostra per tanti aspetti
affascinante, certamente coinvolgente, e che risponde, in forma
anche allegra e leggera, a una domanda di senso cui molti evitano di
rispondere direttamente
Com’è organizzata l’esposizione di mappe, disegni, carte,
globi, planisferi, occhi satellitari? Non per sviluppo storico ma
per chiavi di accesso funzionali. Vediamone rapidamente la
struttura.
La mostra si divide in sette sezioni che affrontano la storia della
rappresentazione della terra a partire da diversi angoli
prospettici. Così la prima (L’uomo guarda la terra)
illustra la necessità dell’uomo di collocarsi al centro della
rappresentazione ovvero di comunicare più che la rappresentazione
di ciò che è, l’interpretazione di ciò che si vede.

La seconda (Mito, conoscenza e visione
religiosa) raccoglie carte in cui la cosmogonia guida la mano
dei cartografi, in cui cielo e terra si sovrappongono e mondo
celeste e mondo infernale, in breve sopra e sotto coincidono o si
oppongono e in cui Antico e Nuovo Testamento, funzionano da codice
generativo della rappresentazione dello spazio.
La terza (Cartografia e potere) è dedicata all’uso
politico della rappresentazione cartografica. Le mappe sono uno
strumento militare di conoscenza - non è forse vero che una buona
conoscenza del terreno permette di vincere la battaglia e di
adattare la strategia di schieramento delle proprie truppe? - ma
anche costituiscono un documento di autocelebrazione. La mappa che
è servita per vincere la battaglia verrà riscritta come testo
sequenziale per illustrare e conservare “a futura memoria” la
storia dell’evento in uno spazio.
La quarta (Le Carte del viaggio e la scoperta delle nuove terre)
propone le rappresentazioni cartografiche che stimolano i viaggi e
che sono conseguenza dei viaggi. Ma anche le carte delle rotte
stradali e marittime hanno una loro storia. Una carta autostradale
che oggi noi usiamo per sapere dove fermarsi che ci indica dove
rifocillarsi, e dove “fare il pieno” o dove fermarsi per
riposarsi, non è diversa da quella dell’antico stradario romano o
delle stazioni di posta tra ‘600 e ‘700. Il che esprime anche
una suddivisione della cartografia da viaggio in relazioni all’uso
e alle domande che l’utente rivolgerà alla carta stradale.
Turistica, o lavorativa una carta stradale ha indicato
tradizionalmente al suo fruitore le soluzioni cui tradizionalmente
ciascun viaggiatore in ogni epoca ha rivolto mutamente alla carta.
Ovvero: non la rappresentazione delle diverse fasi del proprio
percorso, ma la possibilità di soddisfare le domande che possono
sorgere lungo il percorso e anche scegliere funzionalmente il
percorso, non necessariamente il più breve, talvolta anche il più
“istruttivo” sorprendente” affascinante, spesso con la sottile
soddisfazione che il percorso visuale faccia scoprire cose che la
carta non contiene. Ossia: che tra la carta e la propria fortuna di
trovare e scovare cose sconosciute questa sia più potente della
capacità di controllo e di sottomissione della realtà che il
viaggiatore ha di fronte alla carta come conforto, ma anche come
strumento dispotico.
La quinta (la scoperta del territorio “vicino”) affronta
il tema della rappresentazione dello spazio vitale nel corso del
tempo, ovvero lo spazio che ci sta intorno: dalla misura della
propria casa, a quella del proprio orto, del territorio dominabile
con l’occhio o percorribile con le proprie gambe. Insomma lo
spazio della nostra vita quotidiana, comunque quello che percorriamo
più frequentemente nel corso della nostra vita o che ci riguarda
rispetto al territorio che abitiamo: dalla rete idraulica a quella
fognaria, dalla rete tramviaria a quella del mondo extra-urbano che
ci circonda.
La sesta (Tecniche e modi di rappresentazione) ha per oggetto
la scienza della cartografia, ovvero il tema della misurazione. E’
la questione del punto di rappresentazione e la storia del lento
spostarsi di questo punto che si colloca al centro di questa sezione
e che immette all’ultima sezione (La terra vista dallo spazio).
Se la storia delle realizzazione delle carte nel passato è una
storia di percezioni e ricostruzioni soggettive, per cui dapprima si
tratta di copiare la terra guardando a terra come gli
agrimensori, oppure misurare la terra in riferimento al
cielo, ma sempre tenendo i piedi ben saldi a terra,
lentamente la cartografia diviene la ricostruzione del globo
collocando l’occhio lontano da terra. Solo distaccandosi dalla
terra diviene possibile rappresentare cartograficamente la terra. L’invio
in orbita nel 1972 di LandSat, primo satellite civile per la
raccolta dei dati sulla superficie terrestre, ci da l’immagine
della terra dapprima come mai l’abbiamo vista.
Fin qui il percorso espositivo. Ma l’organizzazione espositiva e
le diverse sezioni invitano a riflettere su un aspetto che chiama in
causa la nostra mentalità “geografica” oltre che cartografica.
Si può dire che con l’ultima sezione sia concluso il lungo
trafitto fantastico intorno alla costruzione di senso dello spazio
che ci circonda. Con gli occhi satellitari - al di là dell’ossessione
guardonistica o inquisitoriale che essi possono suscitare o
provocare - ciò che si celebra è la fine della fantasia.
Tuttavia conoscere lo spazio fisico della realtà materiale non
significa avere le chiavi per possederla. E’ proprio vero che la
cartografia realizza, grazie agli infrarossi, alle tecniche di
rilevazione a microonde, alle radiazioni visibili, il sogno dei
cartografi borgesiani? Forse. Ma è una risposta troppo facile e per
certi aspetti anche poco appassionante, comunque pseudoconfortante.
Il sogno dei cartografi borgesiani non era la realizzazione
materiale della carta, bensì la possibilità di controllare ciò
che si stendeva ai confini dell’impero. Il problema non è la
rappresentazione della terra come spazio piatto o sferico, ma ciò
che circonda questo oggetto spaziale e volumetrico.
La cartografia non è confortante perché ci fa conoscere lo spazio
che dobbiamo attraversare, ma perché ci impedisce di andare nei
luoghi che non controlliamo. In altre parole la cartografia è l’organizzazione
e la comunicazione dello spazio sicuro per noi: delle
correnti da evitare, dei luoghi pericolosi, delle strade
alternative, delle stazioni di posta cui conviene fermarsi. Ovvero
è la possibilità attraverso la padronanza dello spazio di
controllare e amministrare il tempo. E soprattutto di non essere
vittima delle sorprese. Noi non guardiamo mappe, di solito ci
affidiamo alle mappe, ovvero stabiliamo con esse un patto fiduciario
e a loro chiediamo di non essere delusi.

Ma questo aspetto ne richiama altri.. La
cartografia evoca sogni di passioni e di avventure. Chi non ricorda
che proprio una mappa e le sue misteriose indicazioni agitano i
sogni, le passioni e le emozioni degli uomini di Flint ne l’Isola
del tesoro di Stevenson e danno vita a Long John Silver, il
personaggio in cui si mescolano astuzia, doppiezza, senso della
realtà. E non sono proprio le mappe, i testi pieni di segni, che
costituiscono la molla testuale che rende affascinante e intrigante
in un corpo a corpo tra forza e intelligenza la costruzione
narrativa di Hugo Pratt e del suo eroe, Corto Maltese.
Ma la cartografia non è solo un motore dell’agire o una sfida.
Talvolta e spesso è anche riparametrazione dello spazio mentale o
anche distanza tra immaginario e realtà tra ordine del mondo
costruito attraverso i percorsi delle proprie letture e costruzione
a distanza di un mondo reale che disattende le nostre proiezioni, ma
che non decodifichiamo, o che, al contrario, le introietta. Don
Chisciotte cos’è se non un viaggiatore che fisicamente si muove
nel mondo ma che mentalmente non è mai uscito dai suoi libri sulla
cavalleria la cui cartografia non corrisponde al contesto
geografico, umano e paesaggistico, entro cui si muove? E che cosa
siamo noi dopo che Dante ha compiuto il suo lungo viaggio interiore
nel mondo dopo la vita e, soprattutto, qual è la cartografia che ci
facciamo dopo quella narrazione - o meglio con Le Goff - dopo che la
Divina commedia ha dato sistematicità a una cosmogonia della
vita eterna vagheggiata e rincorsa almeno per tre secoli dopo la
grande paura alla svolta del millennio?
La geografia e la cartografia non sono terreni piatti, rapporto
aritmetico tra dimensione e rappresentazione proporzionale degli
spazi, o peggio, loro duplicazione. E ancora sarebbe bene, che come
conseguenza di questa mostra, collettivamente emancipassimo la
geografia dalla condizione di sorella minore e infelice rispetto
alla storia.
A lungo dopo il 1989 è girata la metafora della fine della storia.
Dieci anni dopo sappiamo che la storia non è morta né “piatta”
e che con ansia non solo è ancora in movimento, ma che anzi è
soggetta a accelerazione impreviste.
La geografia, invece, si è rimessa spesso drammaticamente in
movimento da allora, ma questo non ha incluso che si aprisse alcuna
discussione pubblica sulla fine di un mondo e la riscrittura di un
“mondo nuovo”. Nessuno forse lo ha detto abbastanza forte in
questi anni ma gli oggetti che con più pregnanza connotano la
dimensione del modernariato in relazione alle trasformazioni
profonde che hanno investito le nostre vite quotidiane sono stati
gli atlanti. Quelli scolastici dei nostri figli, ma anche quelli
della nostra mente.
Sappiamo tutti dov’è Lubiana, Samarcanda, Brno, Tartu, ma non
sappiamo più in quale continuum geografico collocare questi
luoghi. Non sappiamo o non ci orientiamo in una carta geografica
politica che dovrebbe riprodurre la realtà dei confini, ma quei
confini sono mobili, stabiliscono lungo il loro percorso cangiante
le stazioni di posta di un tragitto accidentato e altalenante dei
conflitti armati che ormai non siamo nemmeno più in grado di
elencare in forma completa ed esaustiva.
A lungo abbiamo discettato e continuiamo a discutere di uso pubblico
della storia, in realtà dovremo aprire un capitolo di riflessione
non marginale sull’uso pubblico della geografia. Non solo di
quella che ci troviamo a registrare come spostamento materiale dei
confini, ma anche quella immaginaria connessa con l’invenzione
delle nazioni, con la rinominazione dei luoghi.
Articoli collegati:
Il sonno della geografia genera
mostri
I rapporti fra società e natura
Per uno spazio pubblico planetario
L’"eroticità" come
luogo dello spirito
Microstati e cittadini
virtuali
La cartografia di Le monde
diplomatique
19
Segnalazione/Sincretismi
Hic sunt leones
Viaggio all'interno
delle nostre certezze
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |