Il poeta e i suoi luoghi
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Genova non c’è, non si vede. Eppure la poesia di Edoardo Sanguineti
è densa di riferimenti e luoghi molto precisi come angoli,
ristoranti, monumenti storici, “ma sono esperienze di viaggio”, ci
racconta il poeta genovese tra lo scrosciare di tazzine da caffè di
un bar sotto i portici del Carlo Felice e l’insistenza della pioggia
che chiude la vista oltre le vetrine. “La città dove vivo, le
città dove ho vissuto sono assenti dalla mia poesia. Fuori di casa,
come direbbe Montale, mi accade spesso di scrivere con riferimenti
concreti, i luoghi dell’esistenza sono meno riconoscibili, più
appartenenti alla sfera di una quotidianità costante”.
Settant’anni di vita festeggiati lo scorso dicembre, una produzione
poetica che si può inscrivere tra Laborintus del 1956 e Cose,
andato in stampa appena prima della chiusura del millennio, una
carriera accademica appena conclusa e di fronte tanti progetti e una
città in cui vivere: “Con Genova ho un rapporto complesso. Qui ho
vissuto i primi tre anni della mia vita. Ho dei ricordi di questa mia
primissima infanzia genovese, probabilmente tutti o quasi tutti falsi,
determinati da racconti che mi sono stati fatti in seguito, pensieri
con un germe di realtà ma più vicini ai sogni, ricordi di copertura
come li chiama Freud. Dopo quei primi anni la mia vita di formazione
si è spostata a Torino. A Genova sono tornato nel 1974, dopo un’esperienza
anche a Salerno”.

Il linguaggio delle poesie di Sanguineti innesta sull’italiano
parole straniere, latine e greche, mai il dialetto, mai il genovese:
“Non ci ho mai pensato, per una ragione molto semplice e banale: non
conosco nessun dialetto. Questo lo considero nel complesso un grosso
vantaggio; per me la lingua italiana anziché lingua seconda è stata
lingua parlata e chi è nato come me negli Anni Trenta sa quanto l’Italia
fosse linguisticamente frammentata e dialettofona.
Non sono mai stato tentato dal dialetto perché ho una fondamentale
antipatia verso queste forme comunicative che stanno morendo e che
penso sia bene, non che muoiano, ma che deperiscano fortemente di
fronte alla lingua nazionale. L’Italia ha fatto tanto per riuscire a
stabilire una comunicazione tra tutte le regioni del paese e oggi l’italiano
è davvero una lingua parlata tanto che regredire al dialetto è una
posizione reazionaria”. Però sono tanti i poeti e i cantanti, anche
genovesi che usano il dialetto: “Alle volte fingono o credono
ingenuamente che il dialetto renda più immediata ed emotiva la
comunicazione, in realtà la limita fortemente. Una poesia scritta per
esempio in pugliese è destinata a trasmettere il suo senso in un’area
geografica molto limitata, nemmeno in tutta la regione. In questo modo
il dialetto serve solo a dare una tinta di colore locale”.
A questo punto però si rischia di toccare la gloria cittadina,
Gilberto Govi: “Quando Govi girava con le sue commedie, usava il
dialetto puro soltanto qui a Genova, mentre nelle altre città
ammorbidiva la recitazione perché altrimenti il pubblico non avrebbe
capito nulla. Perché allora mantenere un dialetto quando poi per
comunicare bisogna ridurlo o annacquarlo? Il dialetto non ha più
nessuna funzione, nessun senso, poteva averne di più al tempo di Govi
perché allora il genovese come il napoletano di De Filippo erano
ancora vivi, ma oggi no, oggi la condizione è radicalmente mutata, i
dialetti italiani sono veramente una tradizione di pseudopopolarismo
che finisce per avere più efficacia sui turisti che sugli italiani
stessi”.
Sanguineti spinge fuori parole nette nel rumore della pioggia
sabbiosa; in mano ha una sigaretta che non fuma mentre lo sguardo si
muove oltre i vetri verso la pancia all’aria della città: “Io mi
sento un epicureo, parola, che per questioni di moralità cristiana,
è stata spesso calunniata. In fondo l’idea di godersi la vita
appare in qualche modo colpevole. Io credo che la ricerca della
felicità e del benessere siano pressoché un dovere, ovviamente
quando non a spese degli altri. Non vedo nessun vantaggio nel
continuare a torturarsi: se mi adopero anche discutendo io godo della
mia vita, è una forma di impegno che è godimento. Intendo per
godimento anche il piacere intellettuale della cultura, del
comprendere, del comunicare e discutere”.
Parlando torna fuori l'impegno politico di Sanguineti, che lo ha
portato tra il 1974 e il 1983 a diventare prima consigliere comunale
proprio a Genova e poi deputato in Parlamento: “La partecipazione
politica è stata importante per la mia vita, anche quando, dopo l’impegno
diretto, si è articolata come lavoro intellettuale. Non bisogna
dimenticare che anche Dante e Petrarca vengono necessariamente letti
con un’ottica non solo poetica o di gusto ma anche di una
decifrazione storica non a tutti i costi partitica ma determinata, di
grande passionalità. Io oggi continuo a dichiararmi Comunista e
politicamente mi sento vicino a Bertinotti; soprattutto dal momento in
cui ha espresso una posizione politica forte contro la guerra nei
Balcani, un errore micidiale di cui oggi paghiamo le conseguenze”.

Ma che importanza ha per Sanguineti il dialogo che sia politico,
culturale o soltanto dialettico? “Non amo i dialoghi teatrali nel
complesso. Ho scritto lavori come Protocolli in cui i
personaggi non parlano tra di loro, si sovrappongono. Il dialogo nel
teatro moderno assume sempre un atteggiamento di tipo naturalistico,
di mimesi della vita quotidiana che a me non piace molto. Io credo che
dialoghiamo anche quando l’intesa è difficile: i gesti che
compiamo, il modo in cui ci vestiamo, tutto è comunicazione, anche se
poi la possibilità di un equivoco è sempre molto forte.
Il dialogo ha lo scopo di mettere d’accordo su quello che si sta
dicendo non tanto per andare d’accordo quanto per essere sicuri di
non equivocare troppo le cose. Se due persone s’innamorano l’una
dell’altra, credo che avvenga prima di tutto una comunicazione
istintuale, ma poi i due devono cominciare a intendersi. Se dicono “ti
amo” cosa vuol dire? Hanno entrambi sicuramente un’idea dell’amore
differente. Il problema non è nemmeno quello di chiarire tutto fino
in fondo, la vita procede svelta, l’importante è avere alcune
intese fondamentali, però il problema rimane sempre e comunque quello
del dialogo”.
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