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Le relazioni drammatiche



Antonia Anania



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Coppie in crisi a bizzeffe. La metà e anche più della drammaturgia mondiale racconta storie di liti e di amanti, del perché non ci si comprende più, perché uno dei due soffoca l’altro che rivuole la sua libertà, perché certi silenzi non si possono gestire, perché si conversa senza comunicare.

Tra le crisi di coppia e la crisi della coppia il passo è breve. I testi della storia del teatro raccontano delle situazioni specifiche o della condizione universale; quelli contemporanei possono mostrarle entrambe e diventano anche lo specchio del fenomeno della fuga dalla coppia ancora prima di formarla, per paura, per pigrizia, per disillusione, per troppa razionalità, per pura deologia.

Rileggere alcuni di questi testi è un modo per capire come le due crisi siano state vissute nei tempi, risolte o documentate dai vari drammaturghi, è un modo per constatare una situazione ormai dilagante. E’ anche un gioco in cui immedesimarsi o riconoscersi in una miscela di intrecci e sentimenti da ordinare come in un puzzle.

Primo capitolo, le coppie e i matrimoni.

Nel saggio La dottrina e disciplina del divorzio di John Milton del 1643 si teorizza la separazione consensuale tra i coniugi laddove non ci sia sentimento amoroso e George Farquhar, commediografo inglese del Seicento, nelle sue commedie si oppone ai matrimoni combinati solo per interesse e favorisce le unioni d’amore. Il vincolo nuziale dunque è valido solo se soddisfa i sentimenti di entrambi, e in tutte le commedie le donne reagiscono ai soprusi e si danno da fare per ottenere autonomia e sposare la persona che amano.


Il matrimonio? Ma non è una cosa seria (1917-18), è la convinzione di Memmo Speranza, personaggio pirandelliano che sposa una donna scialba per poter continuare la sua vita di scapolo gaudente. Ma la donna rifiorisce e il corteggiamento da parte di un altro uomo fa ricredere Memmo, che inizia a interessarsi alla moglie, all’inizio tale solo per simulazione. E’ la tipica situazione in cui quello che si sta per perdere ridiventa improvvisamente pieno d’interesse.

La vita e la morte della coppia nella drammaturgia pirandelliana sono osservate e raccontate all’interno dello strano mondo siciliano, cerebrale e passionale allo stesso tempo, ossessionato dall’adulterio e dalla perdita dell’onore. Il giuoco delle parti (1918) è la storia di due coniugi separati di fatto. Leone continua però la sua ‘parte’ di marito per mantenere le apparenze e il codice d’onore. Il suo essere un gelido razionalista, freddo e cinico filosofo, serve a proteggerlo dalla passione e dai sentimenti, dalla schiavitù dell’istinto e dall’angoscia del tradimento della moglie Silia che invece è inquieta, non trova punti di riferimento -neanche nel suo amante- e non capisce l’estremo autocontrollo del marito.

E’ irritata e rancorosa verso di lui e trova in un insulto che lei ha ricevuto da alcuni ubriachi il modo per smuoverlo, o all’estremo per farlo morire. La donna pretende un duello riparatore. Leone si attiene alle ‘parti’ e facendo una lucida disamina sui compiti del marito e dell’amante lancia la sfida. Chi dovrà battersi per lei invece è Guido Venanzi che in questo gioco ha la parte dell’amante.

Il tradimento, si sa, poteva (e può?) anche essere una sorta di tacito accordo tra marito e moglie e spesso nei testi di Giuseppe Giacosa alla fine dell’Ottocento diventa un motivo di rottura dell’unione e di scavo nella coscienza. A tradire sono spesso le donne: in Tristi amori (1887) si narra di un adulterio reale in cui però la coppia convenzionale si salva, perché anziché rompere preferisce sospendere e trascinare disperatamente la situazione, solo per amore della figlia. In Diritti dell’anima (1894) il tradimento è solo mentale nei confronti di un uomo ormai morto, ma l'attuale marito segna la fine del matrimonio in corso, violando il segreto della moglie.

Secondo capitolo, le riconciliazioni ‘problematiche’.

Ne Il cocktail party (1949) di Thomas Stearns Eliot l’aridità sentimentale potrebbe provocare la fine di un matrimonio ma non lo fa, perché la commedia anticipa la pratica di tante coppie che affrontano sedute psicoanalitiche per salvare la propria unione. Lavinia lascia il marito Edward, malgrado sia prevista una festa in casa sua per la sera stessa. Quando si riincontrano, i due si sentono estranei l’uno all’altra e solo grazie al confronto di fronte a uno psicanalista, lo strano Sir Henry, riescono a confessare le loro infedeltà e la loro aridità sentimentale, alle quali non si può sfuggire lasciandosi, ma al contrario ricominciando tutto insieme.

Nel caso de Il Piccolo Eyolf (1859) di Henrik Ibsen, la morte accidentale del figlio storpio aumenta i complessi di colpa e le recriminazioni tra i due genitori, che però si condannano a vivere insieme, anche se tutto li divide.

Chi non ha visto l’adattamento cinematografico di Elia Kazan de La gatta sul tetto che scotta, la commedia che Tennessee Williams scrisse per il teatro e fece rappresentare per la prima volta nel 1955? Qui il figlio nascerà, almeno si spera, e i futuri genitori sono un tipo di coppia molto attuale: lui, Brick -ex giocatore di football alcolizzato e zoppo a causa di una frattura- è un omosessuale latente, che avendo respinto le proposte amorose di un amico ne ha causato il suicidio. Al momento della storia Brick, tormentato e inquieto, rifiuta il letto della giovane moglie, Maggie, che era sempre stata gelosa del rapporto d’amicizia tra suo marito e Skipper, l’amico suicida, e avendo sospettato i lati omosessuali dell’intesa aveva cercato di sedurre quest’ultimo, fallendo. Maggie non vuole arrendersi e cerca in tutti i modi di riavvicinare Brick, come una gatta in amore che non lascia il tetto di lamiera scottante per attendere le occasioni dei suoi incontri amorosi.


Brick e Maggie sono una coppia ribelle e litigiosa, senza figli, a differenza di quella querula e ipocrita, anzi ‘decorosa’ del fratello di Brick, Gooper, con cinque figli a carico. Ma Maggie reagisce alle ipocrisie e a tutte le difficoltà in modo plateale, annunciando ai genitori di Brick e ai cognati che la crisi del suo matrimonio è svanita e che aspetta un figlio dal marito. Ovviamente è una bugia che la ragazza però vuole concretizzare: elimina le bottiglie di liquore e scaraventa lontano la gruccia di Brick affinché lui non possa più allontanarsi dal loro letto. Il finale scelto da Williams era molto problematico (Williams era un omosessuale e inseriva spesso l'elemento dell'mosessualità nelle sue commedie): Maggie annunciava la nascita di un bambino ai genitori di Brick solo per ottenerne l’eredità della piantagione ‘alla faccia’ di Gooper. Brick sosteneva la bugia e andava a letto con lei senza nessuna convinzione, completamente sconfitto. Elia Kazan decise di far presagire nel lieto fine una riunione durevole tra i due. Questo divenne anche il finale della commedia teatrale e influì positivamente sul successo di botteghino.

Candida di George Bernard Shaw (1897) risente di Casa di bambola di Henrik Ibsen ma tutto viene ribaltato e qui la moglie, Candida appunto, rimane col marito, il pastore Morrell, che malgrado sembri più forte del giovane Eugene che dichiara amore alla donna, tuttavia, adorato da tutti, uomo di prestigio e apprezzato politico, sarebbe meno preparato del ragazzo a un abbandono della moglie che dunque ‘si sacrifica’ a rimanere con lui.

Due giovani coppie borghesi fanno uscire i fantasmi, i rancori e le frustrazioni dall’armadio solo per un attimo e poi ve li richiudono in Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee (1962), che prende il titolo dal motivetto canticchiato durante la serata e che si rifà al disneyano “Who’s afraid of the big bad wolf?”. Fallimenti, vendette, finti figli, gravidanze isteriche, nozze per interesse vengono confessati in un continuo massacro verbale iniziato come gioco della verità tra i quattro. Solo quando la coppia più giovane va via sembra ritornare il sereno e sembra che gli armadi vengano richiusi, perché George si china su Martha cantandole come se fosse una bambina “Chi ha paura di Virginia Woolf? Chi ha paura di Virginia Woolf?”. E Marta, ritornata complice del marito, gli sussurra: “Io George..io”. E’ una coppia che si è dilaniata e per questo è diventata indissolubile.

Anche in Tre variazioni della vita della contemporanea Yasmina Reza, attualmente in scena al teatro Argentina di Roma con l'interpretazione di Mariangela Melato, c'è l'incontro di due coppie dalle complesse relazioni e attrazioni. Ognuno dei tre atti illustra lo stesso incontro tra i quattro da tre punti di vista totalmente diversi.

Terzo capitolo, le confusioni.

Ovvero il disagio, lo squilibrio e la confusione sentimentale ai quali si risponde a teatro in modi estremi. Visi noti, sentimenti confusi di Botho Strauss (1974-5) è una commedia che racconta di singolari scambi coniugali. Tre coppie per abitudine costituiscono una sorta di ‘museo di passioni’ e vivono in un albergo che sta per chiudere. La loro unica attività è il ballo; e se nelle conversazioni ricordano gli antichi legami d’amore, nei fatti invece si scambiano continuamente partner facendo emergere nuovi amori.

La confusione sentimentale è anche verbale in Avita murì (1978) di Leo De Bernardinis e Perla Peragallo, in cui ogni tipo di relazione viene presentata all’estremo: lei e lui indossano gli abiti malconci di un Pulcinella e di una Colombina e si muovono con stampelle che durante le imprecazioni -l’"avita murì" del titolo- diventano armi. I due improvvisano, vagheggiano, si provocano in una lingua improbabile che nasce dalla contaminazione del toscano, del foggiano, del napoletano e che vuole ridicolizzare le comunicazioni impossibili. Alla fine in questo clima da day after ritorna la cartolina rassicurante e oleografica di Napoli, mentre si sente suonare Me so’ ‘mbriacato ‘e sole, anche questa una provocazione.

Le storie teatrali che racconta Marguerite Duras hanno spesso come protagonista la tipica coppia romantica o il classico triangolo borghese. Ma mettere in scena la coppia serve a dichiararne la fine, come in La musica, dove due ex-coniugi stabiliscono le pratiche del divorzio nell’androne di un albergo. O a dichiararne l’ambiguità e la labilità dei confini, come in Suzanna Andler (1971), in cui la donna che dà il nome alla pièce passa il tempo con il suo amante raccontandogli del marito assente. La coppia è la cornice entro la quale far vivere noie, angosce, smarrimenti, malinconie e l’immaginario sessuale di lui, forte, cinico, che desidera ma non ama e lei, bugiarda nei ricordi, debole, appassionata fino alla follia, frigida, che non desidera ma ama: “L’uomo e la donna sono inconciliabili ed è questo tentativo impossibile e rinnovato a ogni amore che ne fa la grandezza” afferma la Duras sul disagio dei sentimenti.

Quarto capitolo, le donne.

Ci sono donne che vivono come bambole, come ‘lodolette’ del marito-padre. In Casa di bambola di Henrik Ibsen (1879) Nora è una moglie-bambina, che grazie a una cattiveria altrui riesce a comprendere l’ingratitudine e la grettezza del marito, il cui unico cruccio è mantenere la propria posizione sociale. Così Nora lascia tutti, anche i figli che secondo il marito lei è incapace a educare. Sceglie la solitudine “per rendersi conto di se stessa”. Il punto di svolta di tutto il testo sta nel momento in cui Nora dice: “Sediamoci e parliamo”. E’ lei infatti un’anima forte ed energica ma sottovalutata dal marito come una bambola e una schiava pronta a ballare per lui una tarantella nei panni di una pescivendola napoletana.

Yerma è la protagonista del poema tragico che porta il suo stesso nome, scritto da Ferdinando Garcia Lorca, rappresentato nel 1934. Un’altra donna che mette in crisi un rapporto inesistente, che non può stare zitta, deve urlare per chiedere l’amore e i figli che non riesce ad avere mentre i campi e le donne intorno a lei generano grano e prole. Juan, il marito, è sempre meno affettuoso si preoccupa più del lavoro e della roba che di lei, sterile e confusa. Alla fine l’uomo ha uno slancio passionale nei suoi confronti, dicendole di cercare in lei la donna ‘bella come la luna’ e non la madre. Cerca di baciarla ma Yerma per la disperazione lo uccide.

Donne che si definiscono emancipate e che non vogliono coinvolgimenti sentimentali infine sono protagoniste di D’amore si muore (1958) di Giuseppe Patroni Griffi che mostra la crisi della coppia nell’ambiente luccicante del cinema e del teatro. Renato, aspirante sceneggiatore, ama Elena che non vuole dipendere affettivamente da nessuno. Cerca disperatamente di legarla a sé anche accettando i tanti rapporti che lei ha con altri uomini, ma lei fugge da lui e dall’amore. Eduardo ama Tea, aspirante attrice che alla fine sacrifica l’amore per lui a favore di una scrittura. Renato cerca invano di dimenticare Elena con storie occasionali e alla fine, dopo essere ritornato in campagna, a casa dei genitori, si uccide. Eduardo allora incontra Elena per manifestarle quanto sia necessario un amore assoluto come quello di Renato.


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