Recensione/In due
Antonia Anania
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Fino a domenica 6 maggio al Teatro Belli di Roma si parla di coppie
con uno spettacolo intitolato Two, scritto da Jim Cartwright
e diretto in questa messinscena da Adriana Martino, all’interno
della rassegna Trend, nuove frontiere della scena britannica,
curata da Rodolfo di Giammarco.
I due protagonisti della storia possiedono e gestiscono il pub di
una cittadina del Nord dell'Inghilterra. Impersonati da Stefano
Lescovelli e Maria Paiato, i due cercano di ignorarsi, di apparire
felici solo davanti agli altri, litigando invece alla minima occasione,
ed evitando ogni contatto fisico per non rischiare di baciarsi.
La tensione aumenta fino al confronto verbale che ne spiega i motivi.
“Anche a me piaceva quando ci volevamo bene”, dice il marito alla
moglie prima di chiudere il pub, il loro unico bene e la loro unica
-ormai- ragione di rimanere uniti. Davanti a quel pub si erano incontrati
e corteggiati, poi l’avevano rilevato, e lui tiene a precisare di
averlo fatto per lei, perché era l’unica cosa che lei avrebbe voluto.
Erano una coppia felice, un tempo, due "bianchi amabili",
ma sette anni prima era morto il loro unico figlio e l’idillio era
svanito.

Altri testi teatrali inglesi hanno raccontato crisi di coppia causate
dalla morte di un figlio: Salvo di Edward Bond (1965) per
esempio, dove però la morte spietata avviene in scena e le parole
e le azioni servono a denunciare la disintegrazione del nucleo familiare,
e contestualmente anche del sistema capitalistico. Cartwright in
Two come in altri testi non sembra contestare ma solo osservare
la società inglese con i suoi disoccupati, gli anziani, i personaggi
al limite, quelli smaniosi di grandezza. I toni e le atmosfere che
l'autore conferisce ai suoi testi sono leggeri, non ci sono più
le atmosfere da barricata della drammaturgia inglese della metà
del Novecento -come quelle del ‘new drama’ Ricorda con rabbia
(1956-57) di John Osborne, che, un po' come Salvo, raccontava
la crisi di un matrimonio che era anche crisi di un’ideologia, di
un intero sistema sociale e politico. Cartwright sembra più vicino
ai personaggi comici e al contempo tristi e soli del commediografo
Alan Aickbourn.
Ritornando all’allestimento di Adriana Martino, la scena è spoglia
di orpelli, solo due sedie, un bancone e qualche luce, perché serve
soltanto la parola, per confessare o per litigare, per tentare una
comunicazione spesso impossibile, mentre il pubblico viene coinvolto
dagli attori a immaginare le azioni, gli oggetti e le persone all'interno
del pub: i due simulano di bere, di dare da bere, di buttare bicchieri
per terra, di trascinare casse di birra, di portare panini ai tavoli,
di parlare e scherzare con i clienti. E il gioco continua perché
sempre e solo loro due sulla scena interpretano con efficacia -cambiando
camicie e twin-set- anche gli altri avventori, coppie o parti di
una coppia a pezzi o quasi, ma che comunque non possono fare a meno
l'uno dell'altro.
C’è la vecchietta che beve il suo bicchiere quotidiano come premio
per la sua devozione nel curare il marito paralizzato. Si chiede
spesso perché tira ancora avanti con lui mentre sogna di fare l’amore
con il macellaio. C’è Moth, che fa il farfallone con tutte e il
parassita con lei; Maudie, che riesce a fargli strappare una richiesta
di matrimonio, ma chissà con quali esiti. C’è la coppia divertentissima
di lei che ama e sogna uomini-mito, grandi e grossi, e si ritrova
con un compagno piccolo che ha difficoltà persino a chiedere da
bere. C’è un marito ossessivamente geloso e possessivo e una moglie
che non ce la fa neppure a parlare. C’è l’altra, l’amante, che è
venuta al pub per pedinare il suo uomo e la moglie affinché questi
scelga, una volte per tutte.

Le storie di queste coppie sono problematiche ma Stefano Lescovelli
e Maria Paiato le gestiscono in modo leggero dando la possibilità
anche di ridere, come capita nella scena in cui il farfallone-parassita
balla o il piccoletto si spaccia per l’uomo delle bevande pur di
accontentare la sua compagna. E ridendo e sorridendo si alleggerisce
la tensione e la malinconia di alcune storie e di alcune scene.
Per esempio quella tenera del vecchietto che ricorda i capelli di
bambagia della moglie morta e la immagina viva mentre si sfiorano
e si ubriacano l’uno dell’altra. O della coppia di grassoni, tristi
e pazzi, sfortunati nella vita, ma fortunati nell’amore. Amano Elvis
Presley e i film western, e si sentono vicini, a modo loro, quando
il grasso glielo permette. E ancora Frank, un bambino che aspetta
suo padre fuori dal pub rappresentato da Lescovelli in ginocchio,
dietro una tenda e con un cappellino rosso.
Ma assistendo a Two si può anche piangere, quando i due proprietari
del pub si confrontano con la morte del figlio avvenuta sette anni
addietro. Un abbraccio risolutore tra i due sarebbe stato troppo
semplicistico e piace invece la scelta teatrale di darsi la mano
rimanendo l’uno di spalle all’altra. Sempre di spalle i due si lasciano
mentre le luci si spengono e il sipario si chiude.
Due dunque è il numero della coppia e degli attori che si avvicendano
sulla scena con i ritmi efficacemente veloci tipici di certi film.
Due che diventano tanti per rappresentare “una deriva di esseri
umani apparentemente uniti ma desolatamente soli nei loro vaniloqui,
che si fanno continuamente a pezzi cercando sempre di ritrovarsi.”,
dichiara la regista Adriana Martino. “Il pub come teatro (…) di
un’umanità che solo dilaniandosi riesce a ritrovare il senso del
proprio essere vivi”.
L’albero teatro Canzone presenta Two di Jim Cartwright,
regia di Adriana Martino; con Stefano Lescovelli e Maria Paiato;
Scene e costumi di Anna Aglietto; Musiche di Benedetto Ghiglia:
fino al 6 maggio al Teatro Belli di Roma.
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