Dalla gratificazione alla rivelazione
Parla John Truby, a cura di Ivo Lini
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Dell’amore il cinema racconta in genere il corteggiamento, ciò che
precede l’amore quotidiano, ciò che presenta l’amore quotidiano
come l’obiettivo finale, suggello per l’ultima scena. Di rado il
cinema racconta la coppia nel senso profondo, la dura battaglia contro
l’abitudine, contro la ripetizione tranquillizzante e letale come un
eccesso di oppiacei. Certo, Ingmar Bergman e Woody Allen fanno
eccezione. Per loro l’indagine dei meccanismi psicologici che
tengono in piedi la coppia è uno dei temi chiave della poetica. E
così per qualcun altro. Ma se i meccanismi dell’amore inteso nel
senso più comune non allettano i cineasti le ragioni non sono legate
soltanto alla scarsa sensibilità o alla censura dei signori della
pellicola. C’è un problema di struttura del racconto d’amore.
Che, per sua natura, poco si presta a dare forma al complesso gioco di
sensi e di proiezioni che è il rapporto intimo tra due persone.
Ne è convinto John Truby, uno dei più famosi insegnanti di
sceneggiatura americani, autore di software che contengono gli snodi
narrativi di centinaia tra i principali film di tutti i tempi. Di
recente Truby, autentico scarnificatore della struttura narrativa, è
venuto a Roma, su invito dell’associazione Script, per insegnare ai
funzionari e agli sceneggiatori della Rai i segreti del mestiere. E
quando ha parlato del genere love-story ha chiarito subito quello che
pensa: “Il modo di raccontare l’amore nel cinema è vecchio, manca
una visione profonda”.
Per "modo vecchio" Truby intende l’amore inteso come
gratificazione, controllo sull’altro, contratto di reciproca
assistenza e sicurezza. Per modo nuovo intende l’amore inteso come
rivelazione. Rivelazione delle parti profonde di se stessi che
soltanto nel vaso alchemico della coppia possono emergere. In amore
ciascuno teme di perdere se stesso, ma quando il gioco funziona
ciascuno capisce che il rapporto d’amore è il modo più autentico
per trovare quelle parti di sé altrimenti in ombra. Ma l’analisi di
Truby sulla love-story parte da lontano. E vale la pena di seguirla
tutta. A partire dalla storia d’amore come viene tradizionalmente
raccontata.

La difficolta' del genere love-story
“Anzitutto - spiega Truby - qualsiasi storia d’amore ha una serie
di problemi di partenza. A differenza di un giallo, mancano gradini
precisi nella trama. La linea della storia inoltre è sdoppiata: ci
sono due protagonisti, due linee narrative, due obiettivi diversi. E
spesso è già un impresa gestirne uno, di binario narrativo. Non
solo. È difficile mostrare sulla scena i desideri intimi dei
protagonisti senza trasformare gli esseri umani in macchiette. È
difficile, in una storia d'amore, creare l’elemento chiave di
qualsiasi racconto: il conflitto. Come si fa a parlare di conflitto se
il desiderio del protagonista è la persona amata?”.
Certo, aggiunge Truby, il conflitto che arriva dall’esterno,
sottoforma di ostacolo all'amore, ha sempre funzionato: Romeo e
Giulietta ad esempio è un dramma intramontabile. Dice Truby: “Ma
nella società odierna ha ancora senso parlare di famiglie che si
oppongono a un amore? Davvero è ancora credibile, o meglio, davvero
è ancora appassionante una storia così?”.
Il fantasma
Il fantasma, in sceneggiatura, è l’evento del passato che
ossessiona il protagonista sin dalla prima scena. Nel genere
love-story è quasi sempre una delusione sentimentale precedente. Il
modello Casablanca, per intenderci. Come dichiarare al pubblico
l’esistenza di questo fantasma? “La cosa migliore - argomenta il
maestro degli sceneggiatori - è farlo tramite un litigio. Il litigio
è uno strumento principe nello snodo narrativo. Definisce subito i
rapporti di forza, consente di esporre l’antefatto in modo dinamico
e non come se fosse la lettura di un verbale. E soprattutto rende bene
la paura iniziale di ogni amore: la paura di chi, innamorandosi, teme
di perdere se stesso e la propria individualità, ma anche la paura di
soffrire. E hanno ragione ad avere paura. Perché entrambi gli amanti
perderanno se stessi. Ma la strategia dell’amore ha una prospettiva
futura molto più importante: gli amanti conosceranno se stessi in
modo più profondo”.
Come "rendere" questi limiti di partenza a livello
narrativo? Dice Truby: “Bisogna far capire attraverso l’azione che
l’anima del protagonista appare come morta. Bisogna subito
rintracciare i moventi di questa aridità: si può rappresentare uno
dei partner come debole, disperato, illuso, preso dalle sabbie mobili
del quotidiano, afflitto da rigidezza mentale, scarsa autostima,
rabbia verso il prossimo. Poi occorre illustrare gli obiettivi che si
intendono raggiungere attraverso un determinato rapporto di coppia: se
adolescente, per esempio, la conquista dell’età adulta; se più
maturo, la comprensione delle potenzialità del carattere. Con
personaggi di quarant’anni, la storia d'amore può aprire la ricerca
di una visione più intima della vita. E così via. L’amore, in
definitiva, è il modo principale con cui il personaggio individua il
suo posto nel mondo. Ognuno entra in rapporto con se stesso soltanto
attraverso l’altro”.

L’incontro
La scena con cui si descrive l’incontro tra i due protagonisti di
una love-story è fondamentale perché definisce la linea del
desiderio dei personaggi. Ed è cosa molto difficile, perché sono in
ballo sentimenti spesso nascosti, mascherati, a volte ignoti persino a
chi li vive. Ci sono due modi, secondo Truby, per rappresentare questa
linea del desiderio. Il primo è quello tradizionale: l’uomo è
ambizioso nel lavoro e la donna vede il proprio successo nella
capacità di aiutare il partner (vedi Bette Davis, in Tramonto,
dove lei - ormai cieca - finge di non esserlo per non creare problemi
lavorativi al marito). Il secondo è più moderno: sia l’uomo che la
donna hanno un’identità autonoma e solida, entrambi inizialmente
vedono la linea dell’amore in conflitto con quella del successo
personale, entrambi alla fine capiscono che l’amore della coppia
aiuta a rendere più profonda la propria realizzazione.
Nell’incontro è poi importante l’originalità del modo. Unico,
bizzarro, capace cioè di evocare il concetto di destino, come se la
necessità di quel determinato incontro fosse stata decisa altrove. In
Singin’ in the rain, per esempio, i due protagonisti si
incontrano perché uno cade dal secondo piano e si ritrova sul sedile
dell’auto dell’altro.
L’opposizione
E' ciò che, attraverso il conflitto, manda avanti la storia. Bocciata
come obsoleta quella da parte dei familiari, occorre soprattutto
cercare l’opposizione all’interno della coppia. Può essere una
differenza di nazionalità (Quattro matrimoni e un funerale),
di classe (My fair lady, Cime tempestose, Orgoglio e
pregiudizio, Pretty woman), di sapere (Nata ieri), un gioco
tra amicizia e amore (Harry ti presento Sally), una diversa
percezione del mondo (Io e Annie) o dei ruoli lavorativi (Tramonto).
L’importante, sottolinea Truby, è che questa differenza deve poter
durare per tutta la storia. L’importante, poi, è inserire nella
sceneggiatura i peggiori errori possibili da parte dei personaggi e
domandarsi se, dopo averli commessi, saranno ancora in grado di
amarsi.
Importante, ovviamente, è l’opposizione del rivale. Anche qui l’indagine
psicologica è determinante: “Il rivale - sostiene Truby - deve
rappresentare tutto ciò che il protagonista vive come mancanza dentro
di sé, in modo da diventare colui che costringe il protagonista ad
affrontare i suoi problemi fatali. A volte, per rendere più complessa
l’indagine psicologica del protagonista, è possibile mettere in
scena tre o quattro corteggiatori concorrenti, ognuno capace di
portare in evidenza - per opposizione - le lacune del protagonista. Il
rivale è colui che accresce il dolore del protagonista di fronte alle
sue inadeguatezza”.
Due esempi. Il primo, in Harry ti presento Sally, nella scena
in cui entrambi - ancora amici - distruggono con disinvoltura i
rispettivi partner, dotati - guarda caso - di tutte le cose che ai due
protagonisti mancano. Il secondo, in Cime tempestose, quando
Merle Oberon, Kate, si prepara a uscire con il ricco proprietario,
proprio mentre arriva Laurence Olivier, Heathcliff, vestito da
pezzente.

Il piano
Il piano è il momento psicologico in cui i personaggi danno l’opportunità
alla storia di prolungare gli elementi di conflitto, e quindi di
azione. È il corpo mistico della parte centrale di una storia d’amore.
Per piano Truby intende fondamentalmente uno schema legato all’inganno,
“elemento che arricchisce la trama, perché nasconde le cose che
saranno via via oggetto di rivelazione nella storia”. Più il piano
è raffinato, meglio funziona: ad esempio, se la donna usa un piano
ingannevole per conquistare l’uomo, sarà un tocco ironico indurre l’uomo
a credere di essere lui il conquistatore. Accade, tra gli altri film,
in Lady Eva: lei fa lo sgambetto al bello del salone, e quando
lui casca per terra, lei - anziché scusarsi - lo aggredisce dicendo:
“guarda dove metti i piedi”. Ancora più interessanti, aggiunge
Truby, le storie in cui entrambi gli amanti hanno un piano ingannevole
(vedi Mancia competente).
Dal punto di vista psicologico, il piano dei protagonisti nei
confronti del rispettivo partner diventa la mappa per l’iniziazione
alla vita intima. Apparentemente alla vita intima della persona amata,
sostanzialmente alla propria personale vita intima.
Le tappe
Le tappe che Truby vede come importanti nella trama centrale della
storia d’amore sono fondamentalmente tre. Anzitutto quello che lui
chiama "il primo ballo". L’amore, al cinema, deve essere
manifestato attraverso l’azione. E il primo ballo rappresenta quel
momento sottile in cui si capisce che gli amanti hanno qualcosa in
comune. Può trattarsi letteralmente di un ballo (come ne Il
testimone) o di un ballo figurato (come in Dentro la notizia,
quando lei dalla regia comunica con lui tramite l’auricolare). Ma
già dal "primo ballo" la storia d’amore deve mostrare i
suoi ostacoli, in modo da formulare la differenza tra i due amanti (in
termini di soldi, stili di vita, valori e così via).
Seconda tappa, seppure non indispensabile: il bacio. Che, secondo
Truby, memore dell’antologia del genere fatta in Nuovo cinema
Paradiso, deve essere il più possibile originale. Esemplare Woody
Allen in Io e Annie, quando lui - in mezzo alla strada - di
punto in bianco dice: “Togliamo di mezzo questo bacio, così poi non
ci roviniamo la digestione”.
Il terzo momento chiave della parte centrale nella love-story è la
rottura. Che, nella lettura psicologica di Truby, diventa la morte del
vecchio sé. Il personaggio non lo sa e reagisce con la rabbia dell’ego.
Ma dentro di sé qualcosa gli fa capire che le vecchie convenzioni
hanno perso significato. È l’avvio di un declino morale, una caduta
che conduce il personaggio su un cammino di nuova conoscenza della
propria anima. La rottura poi è un balsamo sul piano della trama,
perché permette di introdurre la reazione più istintiva dell’amante:
la vendetta. In Cime tempestose, Heatcliff torna da ricco per
far pagare le umiliazioni subite in passato dalla famiglia di Kate,
poi caduta in disgrazia. In Lady Eva lei ruba tutti i soldi al
protagonista maschile. In Sesso, bugie e videotape, lei, per
ritorsione, decide che uscirà con il suo compagno di studi.
La sottotrama
In ogni caso, nelle storie d’amore la trama principale è molto
esile. E, secondo Truby, ci vuole il rafforzo di una sottotrama, di
una seconda storia da affiancare a quella portante. Ma non deve essere
soltanto una linea narrativa tesa a occupare minuti di pellicola.
Compito della seconda storia è quello di consentire una comparazione
psicologica tra il protagonista e un secondo personaggio, il quale si
confronta con un problema simile a quello del personaggio principale,
ma scegliendo un diverso approccio. Da Tootsie a Stregata
dalla luna, le love-story sono piene di sottotrame che fungono da
specchio, da cartina di tornasole delle scelte effettuate nella trama
principale. Sul piano morale, sul piano psicologico, sul piano
spirituale.
La battaglia finale
Come in ogni schema narrativo classico, anche la storia d’amore ha
il suo climax nella battaglia finale. Qui in genere non si spara, ma
lo scontro sui valori deve essere forte. Nessuno dei due personaggi ha
ancora avuto una rivelazione piena sulla propria anima. Ognuno cerca
ancora il potere sull’altro, ognuno dà la colpa all’altro del
proprio malessere. Ed è dopo la battaglia finale che i personaggi, in
genere, ricevono il flash che li guida in una percezione nuova dell’amore.
Capiscono che la legge dell’ego produce soltanto morte (oppure lo
capisce il pubblico tramite la loro rovina) e che il significato
profondo dell’amore è proprio l’ingresso in un nuovo ordine
morale: nel donarsi all’altro non si perde nulla di se stessi ma -
al contrario - si guadagna la propria conoscenza. È questo, conclude
Truby, che il cinema deve imparare a raccontare: passare dall’idea
di amore come conquista e legame alla concezione più intensa della
coppia come veicolo privilegiato di esplorazione dell’anima.
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