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Un teatro, un attore e le parole di un poeta. Il teatro può anche essere rimpiazzato da una polverosa biblioteca, un’aula d’università, una vecchia chiesa sconsacrata o un qualsiasi luogo storico d’atmosfera adibito a eventi culturali, ma la costante è questa: si legge poesia, o, per usare un termine tanto in voga, si fa reading, lettura o declamazione, di versi di poeti di ogni tempo. E’ una tendenza? Una mania di attori e intellettuali? Non è detto… forse è la risposta a un bisogno generale e naturale, quasi che la fame di poesia abbia la stessa intensità istintiva di quella di cibo o di sesso.

Leggere versi è stato costantemente il banco di prova di attori come Vittorio Gasmann e Carmelo Bene. Attori che dovrebbero muoversi sul palcoscenico, e che invece decidono di sedersi a un tavolo o rimanere in piedi davanti a un leggio per dare voce a Petrarca o Dante, Pasolini o Caproni. E perché? Che cosa diventa la poesia a teatro?


Massimo Popolizio è uno degli attori preferiti di Luca Ronconi, e ha dedicato le sue energie vocali alla lettura scenica di prosa, ma anche di poesia. Tanti i premi che ha ricevuto: l'Ubu nel 96 come miglior attore italiano, Pegaso d’oro nel 1995, Premio Salvo Randone e Veretium nel 98 insieme al Nastro d’argento per il doppiaggio di Hamlet di Kenneth Branagh. Inoltre è la voce italiana di Tom Cruise in Eyes Wide Shut, scelto personalmente a questo scopo da Stanley Kubrick.

Dal 22 gennaio Popolizio recita al Piccolo Teatro di Milano in Lolita di Vladimir Nabokov, per la regia di Ronconi, nel ruolo di Quilty, il rivale in amore di Humbert che, nella versione cinematografica di Kubrick, era interpretato da Peter Sellers. E poiché quest’anno la rassegna di letture, curata per il Piccolo da Giovanni Raboni, è dedicata ai Poeti del 900 italiani che hanno tradotto grandi poeti stranieri di tutti i tempi come William Shakespeare, Guillaume Apollinaire, T.S. Eliot e Pedro Salinas, Popolizio, che in passato si è cimentato con varie letture poetiche - da Pasolini a Trilussa - leggerà le traduzioni delle poesie di Hugo Von Hoffmansthal il 5 febbraio.

Nel momento in cui legge una lirica quali emozioni prova e intende trasmettere al pubblico?

Quando leggo una poesia in privato ho sempre un rapporto molto intimo col testo, dal quale scaturiscono ricordi, figure, immagini precise, quelle che devo poi rendere quando leggo per gli altri. Durante la lettura in pubblico, certe volte mi affido soltanto alla metrica, se è ben precisa, altre volte devo teatralizzare di più il testo, renderlo più esplicito, in altre occasioni invece devo ridurlo, grattare, lavorare di filo. Tutte le poesie sono immagini "dette" poeticamente, messe in metrica, e quando le reciti devi restituire a chi sta ad ascoltare quelle immagini, altrimenti reciti una filastrocca e la vernici di un colore sentimentale - triste oppure allegro oppure carico di pathos - che cancella e uniforma tutta la poesia.

I testi poetici invece sono una sorta di montaggio che devi riproporre come tale: quanto più questo montaggio è chiaro e differenziato, tanto più sono differenziate le immagini che lo compongono, e quindi anche chi legge diventa chiaro e comprensibile.


Secondo lei è ancora attuale la figura del poeta sociale?

Secondo me il poeta sociale dovrebbe essere lapidato. Già negli Anni Settanta è stata una disgrazia pensare che l’arte fosse sociale, mentre di sociale nell’arte non ci dev’essere proprio niente. Non credo che si possa proporre della poesia a un pubblico affamato, c’è da proporgli prima una bella pagnottella, perché la poesia non prende il posto delle cose materiali. Inoltre la poesia vale quando si crea con lei un rapporto personale, non di per sé. Il valore poetico è intrinseco in ogni cosa, si può trovare poetico un panino o qualsiasi altro oggetto.

Quale poeta preferisce leggere personalmente, e quale a teatro?

Davanti a un pubblico sarebbe bellissimo poter leggere sempre nella lingua originale del testo, perché le traduzioni, specialmente quelle di poesia, sono spesso terrificanti e comunque compiono sempre un’opera di tradimento, che per la poesia è centomila volte superiore che per la prosa. Quindi preferisco leggere poesie italiane. Al pubblico, soprattutto in questi ultimi anni, piace che arrivi un signore su un palco e legga o declami poesie. Questo però non deve diventare l’unico modo espressivo, è solo uno dei tanti che possiamo usare per comunicare con un pubblico specifico. L’idea di pubblico assoluto è un’idea astratta: lo spettatore del Grande Fratello non è lo stesso che va a sentir leggere le poesie di Pasolini.

Qual è il suo pubblico ideale?

Quello che si pone in attenzione. Quando fai letture di poesia il pubblico sa che deve porsi in attenzione, non si aspetta una serata d’intrattenimento. Una poesia di Pasolini non è una commedia di Neil Simon.

Perché in questo periodo si è creato un certo interesse per la lettura della poesia a teatro?

In un certo senso, siamo un po’ tornati indietro: si fa meno fatica ad ascoltare qualcuno che ti legge delle poesie che a leggersele da soli. Fondamentalmente le persone che vengono ad ascoltare queste letture si aspettano da chi sale in palcoscenico un’imboccatura, vogliono che l’attore fornisca loro un indice di poesie da tenere a mente o da prendere in considerazione. In questi casi la semplicità vince sempre: devi leggere con meno orpelli possibili, in modo normale, senza voler interpretare anche scenicamente cose che in realtà non sono fatte per essere interpretate: la voce e soprattutto il testo scritto col quale ti confronti sono le sole cose necessarie.

C’è un poeta che vorrebbe leggere a teatro e ancora non ha letto?

Michelangelo Buonarroti. Ancora non l’ho fatto, perché tutti si spaventano pensando che possa essere una lettura noiosa, poi in realtà quando lo si ascolta succede come per la Divina Commedia: magari lo spettatore non ne capisce perfettamente il senso ma percepisce che la sua matrice è quella, sente un’appartenenza fortissima a quella lingua, cosa che ultimamente fa sempre meno perché legge per lo più roba tradotta.

A proposito di come devono essere dette le poesie in pubblico esistono i dischi di Vittorio Gasmann, Sarah Ferrati, Paolo Stoppa, Gigi Proietti, Giancarlo Sbragia: c’è chi declama di più, chi è più retorico, chi è più naturalistico o più emozionale, l’importante è che si vada al nocciolo di ciò che si vuol comunicare, al testo.

Chi tra i lettori di poesia di ieri e di oggi ricorda con più ammirazione?

Come lettore di poesie non ho un modello preciso, anche se mi hanno emozionato parecchi attori. Ricordo un disco di Sarah Ferrati che legge Emily Dickinson, dove la Ferrati, che di per sé è due piani sopra tutte le attrici del suo tempo per la sua classe innata, è fantastica nella sua anti-convenzionalità, che nel linguaggio teatrale significa strane intonazioni e strane "appoggiature di parole". Un disco rarissimo e straordinario. Anche Gassman che legge Dante è eccezionale, soprattutto nei pezzi in cui deve esprimere forza, energia, mentre legge meno bene altri tipi di poesie, quelle più aeree, più fini.

Fra i giovani attori, ce ne sono molti che leggono benissimo, come Sandro Lombardi. Ci sono poi molti attori specializzati in questo tipo di lavoro che negli anni sono diventati monologanti, sempre da soli in scena a fare uno spettacolo su loro stessi senza entrare in rapporto con un compagno di lavoro, e sono straordinari in quello che fanno.

Una delle letture che mi ha emozionato di più è stata quella di Bernhard Minetti, il più grande attore tedesco che sia mai esistito, morto nel '98 a novanta anni. Quindici anni fa lesse tutto Goethe a piedi scalzi, al Teatro Studio. Ho anche sentito dei canti di Saffo letti da Edith Clever. Un’altra fantastica interprete di poesie è Marisa Fabbri, che ha letto Bomba di Gregory Corso in modo esilarante, faceva morire dal ridere

Quindi l’attore deve far ridere se il testo fa ridere, piangere se fa piangere?

L'importante è far venire fuori l’essenza del testo, al di là della sua apparenza. Come se alla domanda: “Che cosa propone Pasolini?” si rispondesse che propone la sofferenza, la morte, l'omosessualità - la "froceria" - per i ragazzini, mentre all’interno delle poesie di Pasolini ci sono dinamiche e forze assai diverse dai luoghi comuni che riguardano il loro autore.

Qual è stato il suo approccio alle letture di Pasolini?

Tutti hanno un’idea di Pasolini molto concettuale, invece bisognava rendere anche la sua dimensione ironica, buffa e violenta nello stesso tempo, da interpretare con ritmi tenuti e serrati. C’è una raccolta di poesie di Pasolini che s’intitola Una disperata vitalità, e comunica la vitalità disperata di questo scrittore estremamente dolce ma anche fortissimo, dunque nella lettura non ci dev’essere nulla di melenso, nulla di fintamente patetico, nulla di retorico, politico o sociale. Quando Pasolini parla della borgata non c’entra niente il sociale, c'è soltanto un'attrazione forte e vitale verso quel tipo di ragazzi di quella Roma che io stesso ho conosciuto. Nelle mie letture di Pasolini ho comunque fatto un montaggio di poesia, prosa e cinema con brani presi da Una vita violenta.

Che differenza c’è tra lettore e dicitore di poesie?

Un conto è "dire" una poesia e un conto è leggerla, perché quando tu la "dici" la interpreti a modo tuo, come succedeva quando, da ragazzini, si saliva sulla sedia e si recitava la poesia di Natale. Se vuoi "dire" una poesia, ti devi porre problemi diversi da quelli che ti poni leggendola; perché se la interpreti diventa uno spettacolo, che dipende dal tuo rapporto con lo spazio, da come ti ci devi muovere. Io sono un lettore di poesie, non un interprete. Ci sono tantissimi poeti che leggono e hanno letto le proprie poesie - Ungaretti, Montale, la Merini - e bisogna copiare da loro, prenderli come punti di riferimento.

Qual è il compito dell’attore che legge in pubblico i poeti contemporanei?

Il lettore ha il compito di entrare nel testo poetico, di sviscerarlo, di tirar fuori dall'espressione spesso nebulosa dei poeti contemporanei ciò che vogliono comunicare. E' come un amo che viene calato nelle viscere del testo per estrarne qualcosa, un arpione per tirare fuori ciò che va comunicato allo spettatore che ascolta.


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