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I miei anni d’amore in manicomio



Alda Merini con Tina Cosmai



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Incontrare Alda Merini significa provare un'emozione grande. Inoltrarsi in quella Milano “diversa”, quella dei Navigli, entrare nella sua casa colma di oggetti, di foto sparse, di annotazioni sui muri. “Non ricevo volentieri le donne”, dice, “ perché dicono che la mia casa è in disordine, ma a me piace così, è la casa di Alda Merini”.

Afferma di essere una persona comune, ma si sbaglia, non lo è affatto. E’ speciale, è forte e passionale, è docile e irascibile, è ironica. La sua poesia è nata dal desiderio di “toccare” la verità della vita, di assaporare l’esistenza fino in fondo, e soprattutto dal miracolo di aver saputo trasformare l’esperienza del manicomio in esperienza d’amore.

Elude le domande che le vengono poste, afferma di essere stanca di spiegare cosa sia la poesia, vuole parlare della vita, della sofferenza, della gioia. Odia ogni forma di filosofia: la poesia non è un concetto, un discorso, ma l’esistenza stessa. “Posso scrivere dei versi sull’amore, come sull’operaio che sta riparando l’appartamento di sopra”. Perché la poesia è forte attaccamento alla realtà e alla verità viva e dolorosa dell’amore.


Signora Merini, da dove nasce la sua ispirazione e dunque la sua poesia?

Dalla vita… e la vita può nascere da una poesia. La poesia è un terreno su cui può fiorire la vita, la speranza. Un piccolo spermatozoo da solo riesce a fecondare, e così da un’idea semplice può nascere un poema. Che cosa apre il terreno alla poesia? Spesso il dolore, ma anche la gioia. Sono le emozioni il terreno fertile su cui nasce la poesia.

La sua è una poesia di contrasti: c’è ansia, morte, vita, ma soprattutto amore…

Non so perché la gente si interroga tanto sull’amore. E’ diventato una condanna, dopo il peccato originale. E la sofferenza… a volte non si sa perché si soffre. La vita è bella in sé; non è soltanto l’uomo a provare dolore, succede anche ad un albero. Tutto soffre nell’universo e tutto gioisce. Ma il vegetale sa morire in silenzio, l’uomo no, l’uomo non sa soffrire.

Io ho amato molto nella mia vita, ma avevo anche una grande ambizione: quella di diventare poeta e ci sono riuscita. Ho avuto la fortuna di incontrare grandi uomini, che sono stati grandi maestri, che sono diventati amori intellettuali, grandi sensi di ammirazione. L’amore è anche amicizia, è stupore per la natura, è l’innocenza, è l’ingenuità, è la felicità della vita. E disamore è non accettare la vita nel suo dolore. Anche la morte è amore per la vita, perché fa parte di essa, è costruttiva della vita. L’amore è un impegno reciproco, non è possesso dell’altro, ed è anche un grande rischio, perché può arrecare delusione, sofferenza. Dunque moderiamo le aspettative, non solo rispetto all’amore, ma a tutte le cose di questa terra che possono deluderci.

Quindi la poesia è espressione d’amore?

Gli anni più belli della mia vita li ho trascorsi in manicomio. Lì non scrivevo più, ma ho imparato cos’è l’amore, che è molto più grande della poesia. Lì nessuno si lamentava, nonostante si soffrisse molto. Ed è stata una felicità per noi tutti, l’accorgersi del dolore dell’altro. E’ questo l’amore che intendo. Mi infastidisce la curiosità, l’infelicità degli altri, la lagnosità. Io non ho mai desiderato il mio compagno di cella, ma gli ho voluto molto bene. E le dirò che ultimamente, uno di loro mi ha chiamato dicendo: “ mi vien da piangere, adesso che sei diventata celebre, non per amore, ma perché non ti ricordi più di quando ti coprivo le spalle”.

Ho soltanto un rimpianto oggi, quello di non poter sopportare più gli anni del manicomio, il mio fisico non li reggerebbe. Il manicomio oggi per me sarebbe una tragedia, allora fu una grande avventura, rischiosa ma bella.

I suoi versi sono colmi di speranza, nonostante il dolore che ha percorso la sua vita. Che cosa le dà il desiderio e la forza di sperare?

L’arte… l’arte è speranza. Prima di vendere un quadro, c’è la gioia di crearlo. Se non c’è questa forza creatrice, non c’è speranza. Essa è quell’impulso alla creazione che nasce da dentro, che non si impara, è un dono di Dio.

Che rapporto ha con Dio?

In manicomio c’era la fede in un Dio di giustizia che fuori non c’è. Dio non è soltanto speranza, ma anche qualcosa che si teme. Io ho paura di Dio, per la sua onnipotenza, e anche per il fatto che non lo conosce nessuno, che ha disegni imperscrutabili. Non sono cattolica e trovo assurdo e strano che la Chiesa sia piena di tabù in un’epoca in cui i tabù dovrebbero essere superati. La Chiesa ha castigato le donne, le ha assunte a simbolo di peccato. Mentre l’arte si è ispirata all’universo femminile, lo ha amato. Non dimentichiamo che l’uomo è fragile, si oppone a se stesso, e Dio si è fatto uomo per avere le nostre sensazioni, le nostre debolezze. L’uomo è libero quando ammette di desiderare, quando si denuda. Desiderare non è peccaminoso, è una dichiarazione di libertà, di bellezza e di forza.

Lei è stata testimone della nascita della poesia del ‘900 a Milano, durante il periodo bellico. Perché proprio nel corso di quell’immane sciagura nacque la poesia?

Allora ero molto giovane, Milano stava morendo, era diventata un rogo. La gente scappava, soffriva e i poeti cantavano quella tragedia. E' proprio quando si cade che si sente il bisogno di risorgere. La poesia è nata da questo desiderio di ricostruzione, di possesso di nuovi ideali. E’ una poesia che è germogliata dalla rabbia nei confronti di una guerra estremamente distruttiva e ingiusta.

Che rapporto c’è tra la poesia e la realtà, la gente?

La poesia non fa mai astrazione dal proprio tempo, è anche storia del popolo. Il poeta è anche un cronista, un giornalista, parla della sua esperienza. Soltanto che oggi non v’è la libertà di esprimere i propri sentimenti, anche contraddittori. La gente si scandalizza della verità. E questo non lo capisco.

Io ho sofferto molto quando è morto Vanni Scheiwiller, che nel mio amore credevo immortale; non ho scritto più. Era un vero eroe letterario, coccolava i suoi poeti, i suoi autori, li stimolava a scrivere. Sono arrabbiata con Vanni, perché mi ha lasciata sola morendo, non mi ha lasciato dolore, ma una grossa rabbia. E’ una follia pensare questo, ma è la realtà della vita, è una forma d’amore.

C’è un reale bisogno oggi nei confronti della poesia?

Oggi purtroppo la gente ha altri interessi. Finge di non aver bisogno della poesia, è come l’innamorato che fa finta di non sapere di essere amato. La poesia non è un prodotto di consumo, quindi non è interessante. Io non vedo un futuro per la poesia, credo che nel nuovo millennio scomparirà. D’altronde l’uomo le ha preferito la tecnica. La poesia invece nasce dalla fatica di vivere il quotidiano.

Essere un poeta mi ha salvato dall’esperienza devastante del manicomio. Quando sono uscita, non mi sono sentita disorientata, avevo la mia intelligenza, la mia cultura. E quelli che erano ignoranti, perché sono morti? Io mi chiedo ancora, come si fa a sopprimere un ignorante, non ci si accorge che è un essere umano?



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