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Francesco Mandica



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“E' dunque la parola come musica e come scintilla...” Fosco Maraini

Non e’ un caso che siano le parole di Fosco Maraini ad aprire questa piccola finestra sulle tendenze ultime della scrittura poetica legata all’improvvisazione musicale. Lo scrittore toscano e’ forse il piu’ geniale, eccentrico e misconosciuto autore “on the road” (ahime’eravamo troppo occupati a leggere Kerouac addentando un cheesburger) dell’ultimo cinquantennio. Tanto attivo, prolifico e dissacrante da varcare i confini della lingua proponendone una nuova, incentrata su quello che lui chiama “linguaggio metasemantico”: non e’ piu’ la parola a dare un significato alle cose, more heideggeriano, sono invece le parole ad assumere forma solo attraverso stimoli esterni, suoni, colori, musica.


Ed e’ proprio la musica l’elemento che ha fissato il Fanfolese (questo e’ il nome della nuova lingua inventata da Maraini), codificandolo come perfetta osmosi fra parola e suono. L’arduo compito di mettere in musica i testi fanfolici e’ spettato a Stefano Bollani, giovane jazzista in continua ascesa (e’ stato il vincitore dell’annuale Django d’or), un pianista tutto cuore e capelli che nasconde tra i suoi sorrisi l’ironia dell’entertainer navigato senza mai perdere la bussola della buona musica.

Lo scorso anno, coadiuvato dal cantante Massimo Altomare, Bollani ha messo in musica le poesie di Maraini raccolte nel libro Gnosi delle Fanfole (Baldini & Castoldi) e con un album sorprendente ha reso omaggio al poeta ed al suo mondo. Prendendo spunto dai versi Bollani ha concepito musicalmente un real imaginario alla toscana: la musica popolare, il rigore del Maggio fiorentino, il profumo della ribollita in questo CD stordiscono l’ascoltatore e lo invitano a danzare, magari provando a biascicare qualche parola di fanfolese.


"Ascolta sto cantando / tra le note c'è il tuo nome" Stefano Benni

Di fattura del tutto diversa un altro progetto incentrato sul rapporto testo poetico/musica nato dal sodalizio fra Stefano Benni e il musicista Paolo Damiani, cristallizzatosi in una incisione/istantanea del concerto tenutosi nell’agosto 1998 al festival del Jazz di Roccella Jonica. Il progetto si chiama “Sconcerto” ed e’ il risultato dell'incontro fra i versi dello scrittore emiliano tratti da Blues in sedici (Feltrinelli) e la musica di Paolo Damiani, violoncellista, contrabbassista e oggi nuovo direttore dell’orchestra nazionale di jazz francese (a proposito dov’e’ quella italiana?).

L’approccio e’ qui sostanzialmente diverso rispetto a quello applicato al testo di Maraini: l’autore e’ presente sul palco in carne ossa, e’ poeta, voce recitante, flusso nel flusso. Il blues in sedici battute (desueto e anacronistico rispetto al piu’ canonico “in dodici”) e’ la cartina di tornasole della condizione dello scrivere in versi: a una realta’ urbana di privazione e sconforto Benni oppone la poesia di una ballata rurale. E Damiani interpreta con assoluta maestria il ruolo di pivot: sostiene, corrobora e incornicia la voce e le parole di Benni creando lunghe sequenze sonore in cui non manca il brivido dell’improvvisazione radicale e sfrontata, la stessa che caratterizza la parola poetica, d’altronde.

Il disco, si diceva, e’ stato registrato durante il festival Rumori mediterranei, che proprio nell’edizione di quest’anno ha voluto rendere omaggio alla “parola improvvisata”: sul palco e’ salito Pasquale Panella, paroliere, scrittore, poeta impegnato nella lettura del diario del celebre trombettista Chet Baker (Come se avessi le ali, Minimum Fax). A fare da contraltare all’esposizione scarna e obliqua del testo, un quartetto di eccellenti musicisti (Mauro e Carlo Battisti, Marco di Gennaro, Fabrizio Bosso) fornisce la cornice ideale per la lettura ma soprattutto un banco di prova per le frequenti improvvisazioni fuori dal testo di Panella.


Anche per questa performance improvvisativa e’ prevista un’uscita discografica. Mauro e Carlo Battisti del resto loro non sono nuovi ad esperienze del genere: nel 1998 hanno partecipato alla registrazione di un CD davvero singolare, in cui la voce recitante di Arnoldo Foa’ declamava i canti leopardiani accompagnata da alcuni intramontabili standard jazzistici (mirabile l’accostamento fra Mood indigo e il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia).

Dal Chet Baker riletto a quello da riascoltare: la poesia e’ infatti l’insospettabile protagonista di uno dei suoi dischi piu’ maudit e sconosciuti, uno degli ultimi prima del grande tuffo nel vuoto di una finestra. Chet on Poetry e’ un piccolo gioiello dolente: la voce di Chet legge i versi di Gianluca Manzi e Maurizio Guercini con l’intensita’ di chi ha la morte nelle vene. Anche nei momenti strumentali del disco la tromba di Baker risulta un’appendice, un prolungamento naturale delle sue labbra. Di tutte le contaminazioni possibili fra versi e musica improvvisata questo sembra essere uno dei piu’ commoventi e riusciti: la sinergia diviene sincretismo, un mantra fatto di parole e suoni che punta dritto al cuore.

I CD citati:

Stefano Bollani-Massimo Altomare “Gnosi delle fanfole”/Sonica c.p.i.-Polygram

Stefano Benni-Paolo Damiani “Sconcerto”/ “Il Manifesto” Materiali sonori

Arnoldo Foa’- Velotti/Battisti jazz ensemble “I Canti di Leopardi”/Micromega 5/98
Chet Baker “Chet on Poetry”/ Novus-Bmg



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