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Il cinema come esperanto




Paola Casella


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Sarebbe inesatto affermare che Jafar Panahi, il regista iraniano che ha vinto il Leone d'oro della 57esima edizione della Mostra del cinema, si esprima solo in farsi. Panahi parla almeno altre due lingue: quella cinematografica, fatta di immagini, suoni, luci e ombre, e il cinemalese (se mi perdonate il barbaro neologismo), una sorta di idioma internazionale, diffuso fra i cineasti di tutto il mondo, che utilizza una terminologia da codice nautico. Così, nel bel mezzo del discorso di accettazione di Panahi, in persiano (lingua bellissima e musicale, non a caso passata alla letteratura soprattutto attraverso la poesia), spuntavano come funghi parole e frasi in inglese o italiano o francese, ed erano tutti termini relativi al mondo del cinema.

Non è solo una peculiarità dovuta al fatto che forse molti termini cinematografici non esistono proprio nella lingua dell'Iran. Piuttosto è una constatazione del fatto che il cinema è forse l'unico vero esperanto in pieno utilizzo mondiale: laddove Internet ha adottato ufficialmente l'inglese come idioma della comunicazione globale, il cinema si serve di un misto di parole provenienti da lingue diverse e di immagini di immediata comprensione universale per costruire il suo particolare vocabolario.

In quest'ottica, anche l'assegnazione dei premi di quest'ultima edizione della Mostra è stata un esempio di poliglottismo. Before Night Falls, che ha conquistato il Gran premio della giuria, è un film nordamericano ambientato a Cuba e recitato in un inglese colorato da un forte accento ispanico, anche se molte scene sono rimaste in spagnolo con sottotitoli in italiano e inglese (per la copia che ha partecipato alla Mostra). E Julian Schnabel, il regista (statunitense), ci tiene a sottolineare che "tutte le poesie scritte da Reinaldo Arenas (il poeta cubano la cui storia viene ricostruita dinBefore Night Falls, nda) rimarranno in lingua spagnola in tutte le versioni tradotte del film, compresa quella cinese", e annuncia che negli Stati Uniti verrà distribuita anche una versione interamente in spagnolo.

L'attore protagonista del film, lo spagnolo Javier Bardem, che ha vinto la Coppa Volpi come miglior attore, parla correntemente la sua lingua natale, ma anche inglese e francese (ahimé, non l'italiano). Claude Chabrol, il regista francese membro della giuria della Mostra (alla quale ha partecipato fuori concorso con il bellissimo Merci pour le chocolat), consegnando il premio a Bardem ha osservato che l'attore è riuscito "a recitare in inglese senza per un istante farci dubitare del fatto che fosse un esule cubano", e soprattutto "a farci credere di essere un poeta, e a farci sentire tutte le emozioni di Arenas, attraverso un'interpretazione straordinariamente sottile". Perché il pregio della recitazione di Bardem, nel contesto di un murale a tinte forti come quello dipinto da Schnabel (che infatti di mestiere fa il pittore, come ha ricordato durante la cerimonia di premiazione), è proprio quello di conservare tonalità sfumate. E la voce profonda dell'attore, dal melodioso timbro ispanico, aggiunge calore e umanità al suo personaggio, che pure si esprime nel "freddo" linguaggio anglosassone (un contrasto che compare anche nel Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio nella versione cinematografica del regista Guido Chiesa, vedi articoli collegati).

Anche La virgen de los sicarios, che si è aggiudicato la medaglia d'oro del Senato, è un esempio di multiculturalismo: coprodotto da Francia e Colombia, diretto dal regista Barbet Schroeder (nativo di Teheran), recitato in spagnolo e girato per le strade di Medellin. E La faute à Voltaire, il film francese che ha ricevuto il Premio Venezia opera prima, cosmopolita e poliglotta insieme, ha come tema principale proprio la necessità, nell'occidente contemporaneo, della coesistenza fra razze, lingue, nazionalità e provenienze socioculturali diverse. Diretto dal regista e attore Abdel Kechiche, nato in Tunisia e cresciuto a Parigi, La faute à Voltaire racconta le disavventure di Jallel, un ragazzo tunisino (interpretato dall'attore nordafricano Sami Bouajila) che per ottenere asilo politico in Francia si fa passare per algerino, complice la parlata araba (l'occidentale medio non distingue l'arabo di Algeri da quello di Tunisi). A Parigi, Jallel incontrerà un mondo vario di emarginati come lui, fra cui la "mezzosangue" franco-tunisina Nassera, l'italo-francese Antonio e la parigina doc Lucie. Una delle scene più commoventi è quella in cui il cauto Jallel, in stato di ubriachezza, abbassa finalmente la guardia al punto da abbandonare il suo francese accentato per riprendere in pieno l'arabo delle origini.

In fondo, anche i film italiani in concorso, compreso I cento passi, che ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura, sono esempi di poliglottismo: l'uso del dialetto - siciliano, veneto, piemontese - è funzionale alla trama, segnala differenze sociali, geografiche, comportamentali. E qualche volta i sottotitoli, concepiti solo per la Mostra, si sono rivelati utili anche per gli spettatori italiani, che altrimenti avrebbero perso le sfumature della conversazione. La giuria di Venezia, anche se non ha elargito altri premi ai film italiani (a buon motivo, vista la concorrenza), ha apprezzato la volontà del nostro cinema di ritrovare le proprie radici. "Gli italiani hanno recuperato un legame con la loro storia", ha commentato lo scrittore arabo Tahar Ben Jelloun. Dal canto suo Giuliano Montaldo, Presidente di Rai Cinema, ha commentato: "Se qualcuno mi parla di crisi del cinema italiano mi arrabbio. Questa edizione della Mostra ha rivelato una vitalità straordinaria: tanti nuovi talenti e alcune conferme".

Se Milos Forman, il presidente della giuria, ha lodato di questa edizione della Mostra la "varietà e diversità di stili, generi e visioni artistiche", i temi sono stati ricorrenti: "la realtà sociale, le condizioni umane, il problema della libertà individuale", o, per dirla con Atom Egoyan, il regista canadese presidente della giuria del Premio opera prima, "questioni di appartenenza, di vita in comune, di smarrimento, di compassione e di impegno". "I film premiati hanno in comune un forte significato sociale e un grande coraggio civile", ha rincarato Forman. E un linguaggio internazionale, immediatamente comprensibile in tutto il mondo, aggiungerei.

La travagliata storia del film "Il Cerchio", da netiran.com

Breve biografia di Panahi (aggiornata al '97)

Intervista dal World Socialist Web Site

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