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I registi italiani in concorso hanno parlato dei loro film, ma anche di argomenti più controversi. Abbiamo raccolto le loro dichiarazioni più interessanti, raggruppandole per categoria.

I film:

Guido Chiesa: “La storia de Il partigiano Johnny è quella di un ragazzo che diventa uomo in sei mesi, in una situazione estrema. Che si trova a fare scelte difficili giorno per giorno, a crescere insomma. Cercando sempre di fare del bene a se stesso e alle persone che gli sono accanto”.


Marco Tullio Giordana: “I cento passi" è la storia di Peppino Impastato, ribellatosi al padre mafioso e alla cultura del silenzio…Cento passi separano la casa di Peppino da quella di Tano Badalamenti, il boss che regna su Cinisi, (il loro paese)…Quei cento passi Peppino non li vuole fare”.

Gabriele Salvatores: “Sono convinto che il nostro corpo conservi una memoria storica di quello che viviamo, ed è in questo la chiave della vicenda che racconto nel film: Mara, la fidanzata del protagonista Antonio, rompendogli gli incisivi, apre letteralmente una porta sul passato di quest’uomo che, vittima del dolore fisico, si muove alla ricerca di qualcosa che lo aiuti ad abbracciare la felicità del presente. La bocca è il canale comunicativo più diretto che possediamo e i denti il mezzo con cui ci nutriamo, ci difendiamo e amiamo”.

Gabriele Salvatores: “Denti racconta il tortuoso cammino di un uomo verso l’autonomia. (Di questo processo fa parte anche il suo rapporto con la madre, della quale solo alla fine ammette la morte.) Credo che sia importante riconoscere che non ci sono maestri, né guru: siamo noi i maestri di noi stessi, il che significa che sta a noi trovare un equilibrio, personale e sociale, proprio come in Denti faticosamente cerca di fare il protagonista del mio film”.

Storia e politica:

Marco Tullio Giordana: “I cento passi non è un film sulla mafia, ma la storia di un conflitto tra padre e figlio, durante un periodo, gli anni Settanta, caratterizzato dalla ribellione generazionale. La mafia emerge semmai tra le righe come un territorio grigio, pieno di zone d’ombra e ambiguità. La figura del padre di Giuseppe permette di raccontare, della mafia, la quotidianità, il suo potere quieto e quasi invisibile”.

Marco Tullio Giordana: “Se i politici invece di azzannarsi in litigiosità spettacolari, fossero più attenti alla gente si renderebbero conto che c’è fame di ideali. L’abbiamo appena visto al Giubileo dei giovani. Un tempo lo slancio in cui credere si trovava nella sinistra, la cui forza è sempre stata nelle idee. 'Le nostre idee non moriranno mai', gridavano al funerale di Impastato e a tanti altri funerali di giovani caduti per un mondo migliore. Ma la sinistra, con ottusa pervicacia, ha permesso che tutto questo venisse distrutto. Comunque gli ideali non vogliono dire ideologie. E non occorre essere di sinistra per condividere il sentimento d’indignazione”.


Guido Chiesa: “Chiunque incontro mi fa domande sulla storia, sulla politica, ma io non sono uno storico o un politico. Il mio 'Partigiano Johnny' non è un film revisionista sulla Resistenza. Quella di Fenoglio è soprattutto la storia di un ragazzo che nel corso della sua odissea privata, durante la guerra civile, non smette di farsi domande sulla parte che ha scelto. E' uno che cerca la coerenza, costi quello che costi. In fondo è la stessa coerenza dei ragazzi di Salò, che andarono dall'altra parte forse sapendo che era quella sbagliata”.

Guido Chiesa: “Fenoglio non volle mai farsi applicare un’etichetta, non potevo certo farlo io. Chi utilizza la Resistenza per strumentalizzare il presente non mi interessa. Lui era anticomunista. E io che faccio, stravolgo?”

Guido Chiesa: “ L’antifascismo è un dovere morale, ma il mio film non vuole dare giudizi politici, né retorici della Resistenza. Prima di portarlo qui ho mostrato il mio film a tanti ragazzi di 23 24 anni e nessuno mi ha travolto con elucubrazioni sui Rossi e sugli Azzurri”.

Guido Chiesa: “ La Resistenza divide ancora gli italiani in un solo modo: alcuni ne sanno qualcosa, i più nulla. Molti giovani rientrano nella seconda categoria. Quelli di loro che hanno visto Il partigiano Johnny in anteprima l’hanno vissuto come uno scontro fra cowboy e indiani”.

Attualità:

Guido Chiesa: “Il partigiano Johnny per me è una sfida e un desiderio. La sfida dell'inattualità, il desiderio dell'autenticità. E’ un film profondamente inattuale. Un film contro il pensiero corrente, contro l'idea che ci sia un futuro fatto solo di Internet, di Borsa, di finanza”. "Oggi le scelte di campo non ci sono più, le parole d’ordine della modernità sono altre: globalizzazione, finanza, Rete, e impariamo l’inglese. Non è certo attuale la storia di un ragazzo che invece fa la sua scelta, e arriva fino in fondo con rigore e coerenza, ponendosi costantemente il dubbio, chiedendosi che cosa è giusto e che cosa è sbagliato”.

Guido Chiesa: “Se proprio vogliamo attualizzare il film possiamo dire un’altra cosa: oggi la coerenza di quei giovani che andarono in montagna non c’è più. Faccio un esempio: se sei comunista allora fallo fino in fondo e non comprarti le scarpe da un milione e mezzo”.

Guido Chiesa: “Resistenza, liberazione, guerra civile. Fantasmi che si aggirano tra revisionismi, negazionismi, qualunquismi. Eppure, non finisce mai…Una distinta signora, partigiana a vita, diceva: 'Avremmo dovuto bruciare tutti i documenti, e diventare una leggenda saremmo stati magnifici'. Johnny brucia tutto. Memoria, valori, anniversari. Rimangono storie, tragedie, emozioni. Fuori dal tempo. Coerenza e disciplina senza tempo. Piccole grandezze per il mediocre giorno che ci aspetta”.

Marco Tullio Giordana: “Il tempo del cinema è sempre il presente: I cento passi cerca di raccontare una storia che riesca a coinvolgere lo spettatore, e in questo consiste la sua attualità. Non ho voluto perciò che Giuseppe prendesse posizione su tutte le questioni che hanno toccato la sinistra giovanile negli anni Settanta, come ad esempio la situazione palestinese. Mi premeva di più delineare il ritratto di un ragazzo che aveva della politica una concezione alta, e la usava come mezzo per creare rapporti umani, rapporti fra le persone. Oggi questa dimensione della politica è andata smarrita”.

Modelli e influenze

Guido Chiesa: “L’approccio che ha il film con la Resistenza è quello del libro di Beppe Fenoglio, perché la sua Resistenza non fu né monolitica, né retorica. Ho letto Fenoglio a 17, 18 anni, quando in Italia sembrava avvicinarsi la possibilità di una guerra civile e allora mi appassionava capire la complessità della resistenza, leggevo Il partigiano Johnny come una lezione, un’esperienza da studiare. Erano più di 15 anni che avevo in mente di trasformare il romanzo in film”.

Gabriele Salvatores: “La mia fonte d’ispirazione è stata la lettura del romanzo Denti di Domenico Starnone, consigliatomi anni fa da Silvio Orlando, ma un ruolo decisivo l’ha avuto il film Naked del regista inglese Mike Leigh. Una storia di disperazione, solitudine, morte e rinascita. Lo stesso disagio che il protagonista di Denti, Antonio, ci racconta attraverso il dolore della sua condizione”.

Viaggi di luogo e di tempo:

Marco Tullio Giordana: “Non è stato difficile mostrare l’epoca in cui il mio film, I cento passi, è ambientato, perché anch’io negli anni Settanta ero, come il protagonista, un ragazzo, che faceva, anche se non a Palermo ma a Milano, e quindi con molti rischi in meno, le stesse cose, che leggeva gli stessi libri, ascoltava la stessa musica”.

Gabriele Salvatores: “Con Denti arriviamo a quello che negli anni ‘70 si chiamava ‘viaggio psichedelico’: un viaggio sì, all’interno della propria coscienza, ma anche un viaggio allucinato che si riflette nella sempre maggiore visionarietà della messinscena.. L’unico viaggio possibile o l’unico che vale la pena fare è quello dentro di te, alla scoperta del tuo personale universo”. “Denti è anche un viaggio alla scoperta di Napoli come città misteriosa, magica, una città sotto la quale si nasconde qualcosa, esattamente come nella bocca del protagonista”.

Cinema italiano e tecnica:

Guido Chiesa: "Negli ultimi dieci anni i cineasti italiani hanno ricominciato per così dire a 'sporcarsi le mani'. Cioè hanno recuperato la voglia di fare e la grande tradizione artigianale del nostro cinema. La differenza si vede, finalmente ci sono in giro film italiani di qualità e di impegno".

Gabriele Salvatores: “E’ da quando sono ragazzo che sento parlare di crisi del cinema italiano. Ormai questa crisi, a furia di chiacchiere, è stata istituzionalizzata. Credo che alla crisi si debba rispondere cercando di provare cose nuove, che siano, per quanto possibile, in sintonia con la realtà che ci circonda. Non è possibile rimanere in eterno fermi sul neorealismo e la commedia, occorre percorrere strade diverse, accettando, se arrivano, anche le critiche. Denti è il paradigma di tutto questo”.

Gabriele Salvatores: “Gli effetti speciali hanno un senso se sono utilizzati per raccontare qualcosa; altrimenti, se vengono piazzati a mo’ di fuochi d’artificio, non servono a nulla. Credo comunque che non si debba avere paura della tecnica: bisogna conoscerla, e utilizzarla in rapporto alla propria creatività”.

Concorrenza internazionale:

Guido Chiesa: “E' vero, in Italia non abbiamo grandi mezzi come in America, ma questa povertà è anche una grande libertà: a differenza di uno Steven Spielberg, costretto a fare opere che piacciano ovunque, da Hong Kong alla Polonia, io posso fare cose che non soddisfino necessariamente tutti”.

Marco Tullio Giordana: “Vedo tutta la concorrenza dei film d’oltreoceano come una cosa positiva. L'abbondanza di scelta mi sembra comunque uno stimolo ulteriore per andare al cinema”.

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