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Letti per voi/Un festival gentile e vivibile



Irene Bignardi


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Questo articolo è apparso sullo Speciale Cinema della Venice International Foundation, che promuove attività culturali, di studio, di ricerca e di informazione, con particolare riferimento all'attività e alle iniziative dei Musei Civici Veneziani.

Come Parigi è sempre Parigi, anche Venezia è sempre Venezia. Passano gli anni (sessantotto dalla nascita ufficiale, cinquantasette nella numerazione delle edizioni effettivamente fatte) e l'appuntamento di settembre, a dispetto dei cambiamenti, dei tumulti, dei nuovi statuti, delle nuove direzioni, delle nuove presidenze, delle nuove sale stampa, della nuova Sala Perla, dei nuovi ristori, tensostrutture, palchi e via elencando, continua ad assomigliarsi, particolare e unico com'è, nel suo isolamento, isola del cinema nell'isola del Lido nella grande isola che è Venezia.

E' il suo bello e il suo limite. E' il bello di un'istituzione così forte nella sua immagine, nella sua tradizione, nella sua posizione stagionale, nella sua specificità, nei suoi limiti di sembrare atemporale, immutabile, a suo modo perfetta.

Sfido chiunque non sia un cinefilo o un festivaliero professionale a ricordare delle differenze vere, sostanziali, profonde tra le diverse edizioni e direzioni: tra quella del soavemente gentile e molto ufficiale Gian Luigi Rondi a quella "snella" dell'adorabile Guglielmo Biraghi, tra quella popolare e populista di Gillo Pontecorvo e quella breve, tumultuosa stagione di Felice Laudadio, per non parlare dell'assaggio della gestione di Alberto Barbera che ha portato alla Mostra la sua cordialità ma, nonostante il suo passato torinese, meno novità di quante ci si potesse aspettare in direzione "giovanilista".

Forse le uniche edizioni in qualche modo "speciali" sono state, nei tempi recenti, quelle della "rifondazione" di Lizzani, anche per l'assenza di premi. Ma ciascuno si ritaglia nei festival i ricordi - e i profili - che vuole: io, per dirne una, non potrò mai essere abbastanza grata a Rondi per aver portato precocemente (e imprevedibilmente) a Venezia Pedro Almodovar (con Entre Tinieblas).

Come tutti i festival, Venezia dipende dalle offerte stagionali di un cinema sempre più avaro di grandi film, e quindi incapace di lasciare il segno forte di una presenza, di una polemica, di una tacca sullo scorrere del tempo cinematografico. Come non tutti i festival, Venezia diffida dei cambiamenti e gli slittamenti dei piaceri cinematografici che ci offre sono minimi. I tentativi di "commercializzare" la Mostra - nel senso di aprirvi un mercato per rispondere a quello di Cannes - continuano a finire nel nulla. Noiosamente, ogni anno si passa dalla polemica circa il fatto che ci sono troppi film italiani (come i polemisti di professione dicono a proposito dell'edizione 2000) alla polemica che ci sono troppi film americani (come quasi sempre, visto che Venezia, per ragioni di calendario, è stata finora, contro Cannes, il trampolino privilegiato delle majors), dalla polemica circa la mancanza di star alla polemica circa la presenza di troppe star a scapito dei film...

Forse non c'è soluzione, oppure la soluzione sta in Venezia stessa, nel suo festival: che è più gentile, umano, rilassato, possibile, vivibile di qualunque altro, che si svolge in un posto bellissimo - anche se, certo, la vera Venezia è al di là dell'acqua -, che offre sempre delle sorprese e delle gioie. E, dopo tutto, non continuiamo a ripeterlo? Non andiamo (chi non deve per obbligo) a vedere i film che saranno nel cinema sotto casa tra tre giorni: esploriamo, in un programma ricchissimo, anche troppo, le cose minori, le sezioni marginali, le retrospettive, i revival. E' lì che faremo le scoperte che fanno la differenza, è lì che possiamo disegnare il profilo speciale della "nostra" Venezia - in un festival fatto di esperienze e di ricordi fatti su misura per noi.

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