"Io sto con gli emarginati"
Elodie Bouchez con Paola Casella
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Elodie Bouchez ha 27 anni e ne dimostra dieci di meno. Dietro
l'aspetto fragile e delicato da studentessa di liceo, quella che è
stata definita "l'attrice più promettente del nuovo cinema
francese" nasconde però una grande determinazione e una notevole
forza di carattere: se ne sono accorti i registi che le hanno spesso
affidato ruoli di sopravvissuta anche a circostanze assai difficili.
Era lei la giovane disoccupata di La vita sognata degli angeli
(per cui nel '98 ha vinto a Cannes il premio come Miglior attrice,
ex-aequo con Nathalie Reigner, l'altra interprete del film), lei la
commessa di libreria di Lovers. E adesso è Lucie, una ragazza
psicolabile che si innamora di un immigrato nordafricano a Parigi, nel
primo film da regista dell'attore tunisino Abdel Kechiche, La faute
à Voltaire, presentato a Venezia nella prestigiosa sezione
Settimana internazionale della critica

Come mai sei tanto spesso attratta dai ruoli di emarginata?
Non sono io che cerco loro, ma loro che cercano me, e in questo mi
ritengo molto fortunata, non solo perché questo tipo di ruoli sono
quelli che come attrice mi danno più soddisfazione, ma anche perché
mi consentono di prestare la mia faccia e il mio corpo a quelli che la
società considera invisibili: i disoccupati, i malati di mente, i
diseredati. Ma non potrei dire che si tratta di una mia scelta. Sono
più che altro i registi a vedere in me un'outsider.
Il regista di La faute à Voltaire ha detto che degli
outsider hai l'ipersensibilità.
Davvero? Be', tutti gli attori devono avere una sensibilità
particolare. Io cerco soprattutto di essere onesta e di dare il cento
per cento di me stessa, il che non è sempre facile, perché si corre
il rischio di esagerare, di rimanere troppo sopra le righe. E' molto
importante allora mettersi in relazione con gli altri attori, perché
ti restituiscono il senso della misura. E poi perché quando vado al
cinema da spettatore mi piace vedere che i personaggi interagiscono
davvero fra di loro, e non se ne stanno ognuno nel suo film personale.
Qual è, secondo te, il passato di Lucie, la protagonista di La
faute à Voltaire?
Non lo so, e non lo voglio sapere. Lucie è se stessa in ogni istante,
esiste nel presente, senza porsi tante domande, e anch'io ho cercato
di comportarmi come lei. E' anche molto generosa: da tutto di sé a
tutti quelli che incontra.
Anche sessualmente: eppure Lucie riesce a mantenersi in bilico fra
estrema sessualità ed estrema innocenza. Come hai fatto a mantenere
quell'equilibrio?
Non so, effettivamente era un equilibrio delicato. Posso solo dire che
ho amato molto Lucie, e l'ho accettata in modo totale, esattamente per
quello che era, compresa la sua sessualità stravagante ed eccessiva,
che mi è sembrata bellissima, non sporca o volgare. Mi piaceva il suo
modo di esprimersi sessualmente, perché anche in quel suo aspetto
c'era molta purezza.

Il personaggio di Lucie ricorda quello di Gelsomina in La strada.
Sì, come Gelsomina Lucie è estremamente vulnerabile, ed è una
fortuna che incontri sulla sua strada non un bruto come Zampanò ma un
uomo gentile come Jallel. E come nella Strada, non è lei che
ha bisogno di lui, ma esattamente il contrario. Lucie restituisce a
Jallel il suo ego maschile, la sua dignità di uomo.
Perché hai scelto di fare l'attrice?
Per pura passione. Non vengo da una famiglia di artisti, non ci sono
attori nemmeno fra i miei parenti più lontani, eppure fin da
ragazzina sono sempre stata istintivamente attratta dalla recitazione:
partecipavo a tutte le rappresentazioni scolastiche, facevo teatro nei
campi estivi, recitavo nel centro sociale di quartiere. Ogni volta che
ne avevo l'opportunità salivo in palcoscenico. E' strano, perché
nella vita sono invece molto timida.
Qual è stata la tua prima occasione?
Al liceo studiavo danza, e un amico della mia insegnante mi ha
presentato a un'agenzia di modelle, anche se sono piccola di statura.
Da lì ai provini il passo è stato breve, e mi è andata bene quasi
subito.
Qual è il tuo ultimo film?
Sono appena tornata dall'India, dove ho girato il segmento finale
della trilogia diretta e interpretata da Jean Marc Barr per Dogma. Il
tema della trilogia, che è filmata in formato digitale, è la
libertà, rappresentata secondo vari livelli di astrazione: il primo
film, Lovers, parlava della libertà di amare; il secondo, Too
Much Flesh, della libertà sessuale; il terzo, Being Light,
riguarda la libertà di pensiero.
Ti piacerebbe andare a Hollywood?
Perché no? Ma ci vorrebbe il progetto giusto. Se fosse per me,
reciterei dovunque. Mi piacerebbe molto anche lavorare in Italia, ma
finora nessun regista italiano mi ha cercata.
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