Questo articolo è apparso sul numero 60 di Reset, attualmente in edicola e in libreria
Il varo del governo Amato è stato accompagnato da: risse tra i Verdi, litigi sul
referendum, distinguo Mastella-Boselli sulla leadership della coalizione, litigata a mezzo
stampa tra Palazzo Chigi e Sergio Cofferati, riunione in cui si ipotizza di trovare un
altro nome che sostituisca il vecchio, maltrattato Ulivo. Quanta voglia di «ni», «mi»,
«ma», di inutili sforzi a cercare la differenza nel cortile del centrosinistra.
Purtroppo, non è una questione di immagine (che pure ne viene danneggiata), ma di
sostanza che in questo caso si chiama «identità». Non esiste più, a leggere i giornali
e a guardare la tv, un'identità della sinistra. Non esiste più neanche a leggere le
cronache parlamentari, le riunioni dell'Ulivo 3 o 4, i dispacci di Palazzo Chigi. È vero,
una perdita ha un valore se interessa a qualcuno. A chi interessa se l'identità della
sinistra non c'è più? A chi interessa se quando ci si mette a parlare di scuola,
giustizia, diritti umani, valori, si media tutto con le esigenze di una
"partitocrazia senza partiti". Se sull'altare di "questi" bisogni si
sacrifica anche l'operato "riformista" di Rosy Bindi e Luigi Berlinguer?
Certo, ha ragione Massimo D'Alema (lo ha detto al "Costanzo show"): non è
facile declinare la sinistra in Italia. Lega e Polo assieme sono maggioranza. Questo non
era e non è un paese normale; c'è tanto "passato" su tutte le questioni
all'ordine del giorno, ci sono tanti conflitti di interesse che ogni discussione corre
sempre il rischio di apparire o essere contro qualcuno, per qualcuno, anziché avanzata
nel giusto nome dell'interesse generale.
Nel primo capitolo de Il secolo breve, Eric J. Hobsbawm fissava sulla carta un
concetto che non fa male tenere a mente. Gli ultimi vent'anni del Novecento, oltre
all'innovazione tecnologica, andranno studiati e ricordati per una grande trasformazione
sociale: "la disintegrazione dei vecchi modelli delle relazioni umane e sociali, da
cui deriva anche la rottura dei legami tra le generazioni, vale a dire tra il passato e il
presente". Per Hobsbawm "alla fine del secolo è stato possibile per la prima
volta capire come sarà un mondo nel quale il passato, incluso il passato nel presente, ha
perso il suo ruolo, in cui le vecchie mappe e carte che hanno guidato gli esseri umani,
singolarmente e collettivamente, nel loro viaggio attraverso la vita non raffigurano più
il paesaggio nel quale ci muoviamo, né il mare sul quale stiamo navigando. Un mondo in
cui non sappiamo dove il nostro viaggio ci condurrà e neppure dove dovrebbe
condurci".
E' in questo contesto che si deve muovere la sinistra di oggi. In un contesto in cui,
scordata l'identità, bisogna ricominciare a definire una rotta.
Cè uno sforzo tutto culturale e politico da fare. Che va fatto magari ignorando i
sondaggi quotidiani. Ridanno identità. Qualcuno si alzerà per dire: "ma così si
perde". Sarà, ma non c'è mai la controprova. E, comunque, in un sistema bipolare
non bisognerebbe aver paura della sconfitta, almeno non tanta da non agire secondo il
proprio programma (di più se votato dagli elettori).
Per questo "Reset" si è rivolto ad alcuni intellettuali, tutti soci fondatori
della rivista, per porre loro una domanda: quali sono i tre imperativi per la sinistra, il
centrosinistra, se vuole tentare di vincere, o comunque giocarsi alla pari, le elezioni
politiche del 2001, e per costruire, o ricostruire, una coalizione capace di scegliere
democraticamente un leader e definire un progetto che possa avere futuro.
Vittorio Foa
Giuliano Amato dovrebbe non solo governare i dissensi che ci sono, e non solo gestire il
governo in questi mesi, che e cosa ovviamente molto importante. Quello che spero
e che riesca a fare politica, dando unimmagine di cambiamento al paese e
qualificando la sua azione di leader politico, anche e soprattutto per il futuro del
centro-sinistra, su alcuni temi cruciali. Credo che il primo e piu importante sia
quello di una politica dellimmigrazione, che sia diversa e alternativa a quella
della destra, ma che abbia la stessa chiarezza e determinazione: abbiamo bisogno di forza
lavoro, vogliamo immigrati per farli lavorare, dobbiamo dare la cittadinanza, come
incentivo, a coloro che se la meritano dopo un certo numero di anni; e insieme dobbiamo
agire efficacemente a garanzia della sicurezza pubblica. Il secondo tema e quello
del governo europeo: il centrosinistra deve assumere una posizione netta a favore
dellallargamento dellUnione europea e della introduzione del principio di
maggioranza nellorgano esecutivo. No allEuropa delle regioni ricche, secondo
la versione Haider-Stoiber, si alla versione Prodi. Il terzo punto e quello
che leconomia italiana deve superare uno squilibrio che le impedisce di crescere con
maggiore forza: ci sono grandi settori delleconomia italiana con retribuzioni
superiori alla produttivita (nelle professioni e nel pubblico impiego) ed altri
settori ad alta porduttivita e basso reddito. Il sindacato non deve ostacolare la
rimozione di questi squilibri. Non possiamo consentire che tutto il settore dei lavori a
tempo determinato diventi stabilmente la massa di manovra del centrodestra.
Michele Salvati
Il problema di fondo, lanno prossimo, sarà quello di convincere gli italiani che il
Centrosinistra (nonostante i bisticci interni che hanno condotto a quattro diversi governi
e tre diversi Presidenti del Consiglio) ha assicurato al paese cinque anni di buon governo
e, se vittorioso, gliene assicurerà altri cinque ancora migliori. Questo costringe il
messaggio elettorale in forme molto semplici: "noi" siamo meglio di
"loro", stando attenti a far sempre prevalere la propaganda positiva (noi siamo
bene) su quella negativa (loro sono male), che di solito è assai meno efficace. I tre
punti seguono di necessità, dati i vincoli della situazione.
Primo: governo e programma. Senza venir meno ai nostri impegni europei, tutta
lazione del governo dovrebbe concentrarsi sullesigenza di presentare, alla
scadenza elettorale, un bilancio semplice e positivo. Sulla stabilizzazione fiscale e
finanziaria siamo a posto. Forse lo saremo anche sulla crescita economica e laumento
delloccupazione. Abbiamo difficoltà su molte questioni di riforma strutturale, da
flessibilità e previdenza, a sicurezza e immigrazione, alla scuola, al fisco. Qui poco si
potrà fare per via di nuova legislazione, perché il parlamento sarà semi-paralizzato
dallostruzionismo; ma molto si può fare per via amministrativa. Alla fine
bisognerà presentare un bilancio, inevitabilmente caratterizzato da molti bicchieri mezzi
vuoti e mezzi pieni. Il programma, semplicissimo, dovrà concentrarsi su questi,
sottolineando il mezzo pieno, riconoscendo e giustificando il mezzo vuoto ed impegnandosi
a riempirlo nella prossima legislatura. Come ai tempi dellUlivo, il programma dovrà
essere un programma di coalizione, con tutti i partiti che, al di là di modeste
sottolineature destinate ai loro "popoli", martellano le stesse cose.
Secondo: coalizione e partiti. La foto con i 17, o quanti erano, piccoli indiani che si
affollano intorno al Presidente della Repubblica in occasione delle ultime consultazioni
deve appartenere ad un passato che non tornerà più. Facciano, i partiti e i partitini,
quel che vogliono: una grande federazione, un partito grosso e una federazione di centro,
ma smettano di sgomitare e polemizzare per garantirsi visibilità individuale e si
presentino con un numero di portavoce fissi non superiore alla quadrimurti di Berlusconi,
Fini, Casini ...e Bossi e con un candidato premier identificato il più rapidamente
possibile.
Terzo: un bagno di popolo. Bisogna tornare subito tra i cittadini. Per far questo è
necessario anticipare il più possibile la scelta dei candidati nei singoli collegi,
scatenarli da subito in campagna elettorale, e far ruotare intorno a loro le poche risorse
organizzative esistenti sul territorio. La quadrimurti è scatenata in una campagna
elettorale permanente e ha un capo sommamente visibile. Se il centrosinistra pensa che
lavere il governo sia un contrappeso sufficiente a questa presenza sul territorio,
si sbaglia di grosso: il governo, in condizioni difficili e con riforme che
inevitabilmente ledono molti interessi, con tanti bicchieri mezzi vuoti e mezzi pieni, è
in generale una risorsa e uno svantaggio, e in concreto, oggi, forse più il secondo che
la prima.
Ripeto: obiettivi semplici, condizioni minime per evitare un massacro, se non una
sconfitta. E si tratta anche delle condizioni che, in caso di sconfitta, possono
consentire che il centrosinistra non esploda in recriminazioni incrociate e costruisca,
sulla base di unanalisi seria dei propri errori, unidentità più attraente
per lelettorato. Degli errori avremo tempo di parlare; per ora, la consegna è di
non farci del male.
Giulio Ferroni
Ho la sensazione che le cose che proporrò, allo stato attuale appaiano del tutto
impossibili, equivalgano a uningenua utopia. Temo però che imperativi più modesti
e meno categorici non sarebbero in grado di salvarci.
Per questo penso che primo: occorra liberarsi del notabilato e delle lobbies, dei vip
politico- culturali che hanno continuato a sentire le istituzioni e lamministrazione
come patrimonio di un gruppo di "intendenti" sorretto da legami di interna
solidarietà, che si sono curati di occupare terreno, riducendo la politica a burocrazia,
anche al di là di loro eventuali buone intenzioni. Ciò comporterebbe un affrancamento
dal "politichese", dalle formule e dalle alchimie istituzionali, e forse anche
dalle sirene di una falsa modernità, dalla astratta aspirazione ad essere dalla parte del
giusto trend del mondo.
Secondo: bisogna sapersi confrontare con il malessere quotidiano, con le aspirazioni dei
gruppi umani più diversi, senza sovrapporre a tutto ciò schemi ideologici e sociologici
precostituiti, senza proiettare su situazioni nuove e spesso inquietanti le semplici e
rassicuranti prospettive della sinistra dantan: saper interrogare le più
varie e contrastanti richieste degli elettori senza rinunciare a prospettare la
possibilità di un mondo un po diverso da quello che hanno davanti, di una vita
forse insoddisfacente.
E infine occorre trovare un leader che non appaia un professionista della politica, ma
sappia "comunicare" in modo semplice e disinvolto, che sia simpatico e cordiale,
e la cui sapienza tecnica sia carica di passione: che sappia far capire che la sinistra si
cura di ciò che è davvero essenziale nella vita di tutti.
Eugenio Somaini
Partiamo da una situazione quasi disperata. Se (come tutto sommato si deve auspicare)
passa il referendum elettorale e se andiamo alle elezioni nelle condizioni attuali la
destra potrebbe ottenere una maggioranza schiacciante che le consentirebbe di fare ciò
che vuole, a cominciare da riforme istituzionali imprevedibili e pericolose e che
potrebbero metterci per molto tempo fuori gioco.
I partiti di centrosinistra hanno dimostrato di essere una fedele espressione dei peggiori
difetti del sistema: personalismi, miopia, carrierismo, tatticismo, anarchia
Non
possiamo fermarci alla condanna moralistica ma individuare le condizioni ambientali che
favoriscono questo fenomeno. Non vi è dubbio che il vero incubatore istituzionale di
questo modo di fare politica non è tanto il sistema elettorale (dalla cui modifica
sarebbe ingenuo aspettarsi granché), ma lattuale sistema parlamentare che consente
ad un pugno di persone, quando vi siano maggioranze risicate, di minacciare di fare cadere
un governo o di condizionare la formazione di un altro, incoraggiando la costituzione di
minipartiti o addirittura di partiti "usa e getta".
La nostra tradizione ci ha portati finora a privilegiare i partiti rispetto ai programmi
ed ancor più rispetto alle persone e a guardare con sospetto (anche giustificato) a forme
di leaderismo. Dobbiamo rovesciare questa impostazione e sfruttare questi mesi per
lanciare un leader ed un programma, tenendo in ombra i partiti; in questo siamo favoriti
dal fatto che ci troviamo ad avere come capo del governo quello che ritengo il migliore
dei leader possibili. La svolta che, volenti o nolenti (o più propriamente vincenti o
perdenti), dovremo fare pone certamente dei problemi di sanzione e controllo democratico
ed esige contrappesi. La scelta, anche se sostanzialmente (e fortunatamente) obbligata
deve scaturire da un processo democratico che difficilmente potrà assumere la forma di un
compiuto sistema di primarie, che dovrà essere attivato in tempi non troppo distanti
(diciamo nel corso dellautunno), dando tempo ad eventuali alternative di
manifestarsi ed al candidato naturale di dare prova di sé e di annunciare il suo
programma.
La coalizione che si formerà intorno al candidato dovrà stringere un patto che rinnega
tutta la nostra storia più recente: a) niente ribaltoni; b) se il nostro governo cadrà
andremo alle elezioni; c) se cadrà il governo dei nostri avversari e ci verrà offerta
loccasione di formare un governo diverso andremo alle elezioni ugualmente; d) non
cambieremo leader neanche nellambito della coalizione prima di nuove elezioni, salvo
nel caso in cui esso sia costretto ad abbandonare per ragioni di natura non politica.
Verrà poi (forse) il momento di costituzionalizzare questi principi (o di trovarne di
nuovi e migliori), per intanto dobbiamo autoimporci questi, sfidando il ridicolo di
promettere di non fare più quello che abbiamo appena fatto.
Lincapacità di comunicare dei nostri leader più recenti ha avuta qualcosa di
addirittura sorprendente. Per cui dovremo affidare lorganizzazione tecnica e
materiale delle nostre campagne elettorali a persone competenti. Anziché mettere il sale
sulla coda dei nostri avversari (legge sulla par condicio) perché non cercare tra
di noi qualcuno che abbia sale in zucca (in questo campo) e sia capace tra laltro di
raccogliere i soldi per mettere in piedi una campagna elettorale decente e visibile. Non
si tratta di cifre proibitive (con la metà di quello che ha speso la lista Bonino prima
delle elezioni europee si sarebbe potuto già fare qualcosa di buono); se i nostri
avversari fanno gli spot dobbiamo, finché non troviamo qualcosa di sicuramente più
efficace, farli anche noi (anche se sono legittime le riserve su questo tipo di
comunicazione) e non spaventarci se Berlusconi ne fa dieci, perché con due possiamo
ottenere più o meno lo stesso risultato (dopo un po i suoi farebbero da sfondo ai
nostri e servirebbero a metterli in risalto).
Giorgio De Michelis
La sinistra deve prendere posizione in modo più chiaro. Innanzitutto nei confronti della
globalizzazione. Deve sapere che non è un processo con esito determinato e che ci sono
essenzialmente due tendenze: uniformità su scala planetaria e rilocalizzazione. Si tratta
di due opzioni diverse e la sinistra deve sapere quale sceglie e perché. Questo è un
punto decisivo per qualificare i programmi economici e sociali, per valorizzare le
strategie, per non affidarsi alla politica del giorno per giorno
Riguardo al nuovo stato sociale che abbiamo in mente: si dice rinnovarlo, ma non
distruggerlo. Ma in quale senso: aumentandone lefficienza, riducendo gli sprechi;
riattivando risorse comunitarie e sviluppando il terzo settore nellambito dello
stato sociale più che nelle politiche sociali viste separatamente? La sinistra sa come
dovrebbe funzionare?
Non è pensabile entrare in una fase nuova della vita della repubblica italiana senza
mutare radicalmente la propria modalità di essere, senza mettere in discussione i partiti
ma anche le troppo comode alleanze di partiti. Non è pensabile che si possano fondare
nuovi soggetti politici, e dare loro una nuova organizzazione, senza unanalisi,
anche sofferta, dei propri valori, senza ripensare la propria storia: la stessa
Tangentopoli non può essere risolta con una semplice suddivisione in buoni e cattivi.
Non è pensabile rifondare la sinistra, se la sinistra non reinventa anche il posto della
destra. La sinistra sembra godere del fatto che la destra non ha una politica. Ma questo
porta alla mancanza di una distinzione chiara. La sinistra non riesce a spiegare su quale
direzione intende attuare il cambiamento e se non inventa un proprio modello - dal quale
specularmente verrà fuori anche la dislocazione della destra - sarà soltanto un po
più ragionevole, meno aggressiva nei confronti delle classi deboli e molto più noiosa
della destra.
Leo Nahon
Sarò schematico: innanzitutto dobbiamo mantenere alta l'attenzione agli sviluppi nuovi
dell'economia e dei nuovi ceti sociali senza perdere di vista la tutela dei ceti più
svantaggiati. Un paese è tanto più civile quanto più si sa occupare dei suoi membri
deboli. Senza dimenticare limperativo che riguarda il ritrovare la categoria del
disagio sia soggettivo sia di interi gruppi sociali come categoria politica da cui partire
e su cui lavorare: la politica deve tornare a essere speranza per le persone infelici.
Infine: "... ma la questione essenziale, la questione veramente essenziale, cari
compagni, è la questione della primavera." (Majakowski)
Mauro Mancia
Il problema centrale è quello dellidentità. Dopo la caduta del muro di
Berlino dell89 e la frammentazione della Dc, la sinistra italiana ha scelto due
strade parallele che difficilmente potranno mai incontrarsi: la strada di Rifondazione che
ha contenuto coloro che credono ancora nel comunismo e non accettano di elaborare il lutto
per il suo fallimento, e quella di unoperazione riformista che ha incluso i piccoli
partiti che sono nati dalla frammentazione della Dc. Questinquinamento da parte dei
piccoli partiti decisamente centristi ha messo in crisi lidentità della sinistra
italiana. Tra Scilla di Rifondazione e Cariddi del centro, la sinistra si è perduta e
pertanto ha perduto la possibilità di mantenere un contatto stretto con la realtà
italiana.
Le riforme portate avanti dal governo DAlema sono state significative e fondamentali
per la nostra società ma anche queste non hanno tenuto conto del contesto sociale e della
realtà attuale della nostra nazione. La riforma Bindi doveva essere preparata con la
creazione di strutture ospedaliere, almeno in ospedali di prima categoria, per
lattività intramoenia (Vedi la organizzazione di alcuni reparti
dellOspedale S. Matteo di Pavia ottimamente funzionanti) e doveva anche avere una
adeguata copertura finanziaria. Il premio di un milione a un primario ospedaliero appare
come una misera elemosina.
E ancora: la riforma Zecchino ha trovato molti consensi ma, come sempre, è stata fatta
sulla testa dei professori universitari. Accanto a proposte interessanti, la riforma
prevede di mettere ad esaurimento i posti di ricercatore senza annunciare provvedimenti
adeguati ai fini del reclutamento di giovani ricercatori e senza prevedere per questi
ultimi un adeguato aumento retributivo, che permetta di vivere degnamente. Lo scarso
interesse per la cultura: Berlinguer ha fatto una riforma della scuola media superiore che
può anche essere considerata buona, ma non si è preoccupato di incentivare anche
economicamente linteresse dei professori a questo nuovo metodo di insegnamento.
Ultimo punto, ma non per importanza, lincapacità della sinistra di un confronto
duro e chiaro con il sindacato. Non credo sia di facile soluzione, ma penso anche che un
minimo di flessibilità possa facilitare limpiego dei giovani.
Senza dimenticare che lincarico a Giuliano Amato costituisce un ulteriore motivo di
preoccupazione. Per il suo passato craxiano, viene visto con sospetto da alcuni componenti
del centrosinistra e quindi non è una buona medicina per ricostruire una solida
identità. La mia impressione è che proporre Amato come futuro premier alle prossime
elezioni del 2001 possa rivelarsi catastrofico nonostante le riconosciute doti di uomo
politico e di economista di Amato stesso .
Guido Martinotti
Tutti i grandi movimenti politici necessitano di una loro descrizione del mondo che deve
apparire convincente e plausibile. In passato la sinistra ha fornito molte spiegazioni
plausibili della realtà, si trattava di buoni ragionamenti che sostanzialmente giocavano
su alcuni elementi di grande forza: la società attuale è iniqua e per di più non
funziona. E questo era lì da vedere. Il problema è che il mondo non si lascia più
spiegare così.
Del resto in tutti i paesi i partiti della sinistra hanno cercato di riadattare le loro
spiegazioni a un mondo profondamente cambiato. Così è avvenuto anche per i dirigenti del
Pci, che hanno cambiato il nome del partito pagando costi molto elevati, inclusa una
scissione. Allora dove ha sbagliato la leadership comunista? Nel non aver assicurato al
proprio elettorato un traghettamento sufficientemente chiaro. La fortunata, si fa per
dire, combinazione che ci fosse lì pronta e orfana la giacchetta del riformismo
socialista, ha fornito un comodo strapuntino, e un viaggio che è andato fino all'ingresso
nell'Internazionale Socialista, senza ulteriori spiegazioni. Ma le spiegazioni erano
necessarie. Al tardo maccarthismo di Berlusconi contro comunisti ("che non ci sono
più"), gli ex-comunisti hanno risposto con la classica mossa italiana di girare il
collo per dire "a chi si rivolge"?
Invece occorreva rispondere direttamente alla sfida, andare in piazza e dire: eccoci qui,
abbiamo fatto molti errori (e dirli) ma in questo paese abbiamo anche insegnato la
dignità e la democrazia a milioni di persone, abbiamo amministrato bene migliaia di
comuni e difeso la repubblica in un paio di importanti occasioni. I comunisti siamo noi, e
allora? Invece questo compito è stato lasciato al comunista da operetta Bertinotti.
E' dunque mancata una vera catarsi nella ridefinizione pubblica dei comunisti: via via che
si sono dissolti nel liberismo, e non si sapeva più chi fossero, è stato sempre più
facile agitare lo spettro del comunismo.
Poi vi sono stati inspiegabili errori di conduzione in vari settori, che hanno largamente
controbilanciato gli innegabili successi in campo economico, fiscale e internazionale. Il
welfare, la scuola, la sanità e i problemi delle inquietudini sociali legati
all'immigrazione, alla sicurezza. Si tratta in ogni caso di temi difficili per i quali un
governo di riformista è destinato a scontentare grandi masse di elettori. Ma proprio per
questo occorre prendere i problemi di petto e spiegare le politiche impopolari, convincere
gli elettori. Spiegazione che non si può fare con le parole, ma con i fatti della
passione, del convincimento, della perseveranza. Non con la "Pubblicità
Progresso".
La società multirazziale è bella, ma è difficile, farla passare per un idillio con lo
sciroppo della solidarietà non è un risposta politica alla destra che su queste
inquietudini gioca pesantemente. E poi la società multietnica non si costruisce sulla
solidarietà, ma sulla civiltà. E la civiltà costa, richiede convincimento, educazione e
autodisciplina, è un prodotto degli uomini, non un regalo del Signore.
Per tutto il resto l'impressione è che la eccessiva dipendenza dai sondaggi ( chi ha
fatto quelli per il governo deve essere licenziato in tronco) abbia ingenerato una visione
statica dell'elettorato.
Per cui io direi: innanzitutto smetterla di litigare. Secondo: pensare mattina, giorno e
sera ( e possibilmente anche di notte, nei sogni) ai propri elettori, ai loro bisogni,
cercando di vederli, parlargli senza i sondaggisti di mezzo. Terzo: farsi venire una, una
sola idea, di progetto che sia ragionevole, plausibile e spiegabile e comprensibile a
tutti. E, per converso, criticare duramente, sistematicamente, con ragionevolezza, ma
anche al caso con lo sberleffo, tutte le semplificazioni di Berlusconi. Non fargliene
passare una.
Giovanna Zincone
Il primo obiettivo che mi darei è di avere obiettivi. Credo sia sfuggito agli elettori il
piano di azione del governo D'Alema, che pure ha fatto anche buone cose. Si vuole arrivare
a immaginare risposte pubbliche capaci di affrontare le grandi trasformazioni in corso?
(mi riferisco ovviamente non solo alla nuova economia, ma anche a quella parte di nuova
economia rappresentata dalle nuove migrazioni, ai problemi posti dalla compatibilità tra
sviluppo e vivibilità del pianeta e tutto ciò che già sappiamo). Se è così spieghiamo
chiaramente quali sono i problemi, quali le strategie per affrontarli, quali le nostre
priorità. Cerchiamo di far capire che alcuni di questi problemi si affrontano solo a
livello internazionale e che bisogna avere chiaro chi stia perseguendo i nostri stessi
obiettivi, quindi anche una strategia di alleanze. Una sinistra moderata e riformatrice
non si costruisce facendo una media tra posizioni liberiste e posizione paleocomuniste, ma
convincendo le ali "estreme" della preferibilità di una tale scelta.
Il secondo obiettivo è organizzare un buon gioco di squadra. La caduta del governo Prodi
è stata interpretata (a torto o a ragione) come l'esito di una faida interna, una faida
ancora aperta. Il secondo obiettivo è collegato al primo. L'assenza di un progetto comune
spiega il carattere raccogliticcio e volatile della maggioranza, spiega l'ingigantimento
delle ambizioni e delle idiosincrasie personali. Il terzo obiettivo è collegato al primo
e al secondo e riguarda la comunicazione. Il messaggio dovrebbe essere più o meno questo:
1) la nuova sinistra affronta i problemi di oggi con diagnosi approfondite, con strumenti
idonei ed originali, lo fa con coerenza e capacità, perché dotata di un personale
competente e perché sa lavorare in squadra, 2) la nuova sinistra è orgogliosa delle
proprie radice democratiche e liberali, quindi orienta le propri soluzioni tenendo
presenti i principi di tutela dei deboli (a livello interno e internazionale), di
tolleranza e pluralismo.
Federico Coen
Premetto che non ci sono ricette miracolose, e probabilmente nessuna potrà essere messa a
frutto in tempo utile per vincere le elezioni politiche del 2001. Ciò che si può fare
utilmente è identificare almeno le differenti aree sociali ed elettorali la cui domanda
politica è rimasta insoddisfatta o poco soddisfatta da parte dei partiti della sinistra e
del centrosinistra come alleanza di governo. Schematicamente osserverei che cè una
domanda politica proveniente da un elettorato formato dai cosiddetti ceti medi produttivi,
soprattutto al Nord, che chiede al tempo stesso meno Stato e più Stato. Meno Stato vuol
dire un sistema fiscale meno oneroso e meno sofisticato, vuol dire meno burocrazia e meno
leggi; più Stato vuol dire più sicurezza, giustizia più rigorosa e tempestiva, servizi
pubblici più moderni. Rispondere a questa domanda richiede che si dichiari guerra alle
tante corporazioni che rappresentano laltra faccia dei ceti medi (burocrati, medici,
avvocati, baroni delle cattedre e anche una parte notevole del cosiddetto ceto politico).
Questa guerra non è stata ancora dichiarata.
E ancora: cè una domanda politica largamente insoddisfatta che viene dallarea
dellesclusione, che non è solo disoccupazione, è anche mala occupazione e difetto
di formazione scolastica e postscolastica. Se è importante dare delle risposte in chiave
di sviluppo economico, è altrettanto importante la riforma del Welfare, che in
Italia è anomalo rispetto al resto dEuropa, anche perché la politica del
cosiddetto Workfare, che ha dato buoni frutti in diversi paesi, è resa
impraticabile dalla mancanza del sussidio di disoccupazione per i giovani in cerca di
lavoro, che esiste in quasi tutta lEuropa, e dalla presenza di un sistema di
collocamento del tutto deficitario.
Infine (ma direi prima di tutto) una domanda proveniente da quellelettorato
soprattutto giovanile che chiede alla politica di rendersi interprete di un sistema di
valori su cui valga la pena di impegnarsi, per formare o per consolidare la propria
identità, che sempre meno è offerta da un lavoro sempre più alienato e precario.
Un partito di sinistra che voglia crescere andando oltre la politica che si consuma nelle
stanze del potere, dovrebbe impegnarsi a mobilitare giovani e meno giovani soprattutto nel
volontariato, nella politica internazionale di solidarietà attiva con il Terzo Mondo,
nella difesa dellambiente: nuove frontiere che restano largamente sguarnite e non
tutelate dalla politica, e lasciate ad altri soggetti, a cominciare dalle Chiese. Anche
questo è un serbatoio di voti, ma è anche e prima di tutto una via da seguire per
rivalutare il ruolo della politica, e in particolare quello della sinistra.
Federico Stame.
Secondo me le priorità sono due. In primo luogo il centrosinistra deve tornare ad essere
una coalizione, cioè un soggetto politico che non sia la semplice sommatoria delle sue
litigiose componenti interne. C'è stata una drammatica caduta d'immagine dopo la crisi
del governo Prodi, perché non si è fatto nulla per superare le divisioni tradizionali
tra le diverse forze. Si è perduto il plusvalore garantito nel 1996 dal progetto
dell'Ulivo, e cercare di recuperarlo mi sembra la prima urgenza.
Quanto all'aspetto programmatico, non direi affatto che il centrosinistra abbia governato
male in questi anni. Purtroppo però si trova spiazzato sul piano sociale, di fronte
all'emergere di ceti che non si sentono rappresentati dal sindacato confederale e non si
riconoscono nei valori tradizionali dello schieramento progressista. Purtroppo la destra
mi sembra molto più attrezzata per rispondere alle nuove domande politiche determinate
dalle profonde trasformazioni in corso da alcuni anni. Non perché Berlusconi sia più
bravo, ma perché è in sintonia con gli umori assai poco tranquillizzanti dell'opinione
pubblica. Per fare concorrenza al Polo su quel terreno, temo che la sinistra dovrebbe
stravolgere in maniera sostanziale la sua fisionomia storica. Non si può certo inseguire
la Lega sul tema dell'immigrazione ed è difficile anche ridurre in modo incisivo il
carico fiscale, a meno che non si registri una forte crescita economica.
Carlo Castellano
Mi sembra che la crisi della sinistra sia innanzitutto la crisi del partito DS. Certo, è
tutto lo schieramento di centro-sinistra che - nella sua polverizzazione e nella sua
litigiosità - esprime un profondo senso di incertezza sul disegno politico e soprattutto
sulle linee strategiche. Ma è soprattutto il principale partito della sinistra, i DS, ad
essere in difficoltà. Perché oggi i DS, insieme alla CGIL, rischiano di essere
identificati solo come forze tese verso il mantenimento degli equilibri esistenti:
lespressione di un mondo che è diventato minoritario nella società italiana. In
particolare, i DS sembrano avere una enorme difficoltà ad essere interlocutori nella
nuova "cultura del lavoro". Sotto questo profilo cè una grande rottura
rispetto al passato, in cui era proprio la "cultura del lavoro" il motore - per
la sinistra - del processo di aggregazione sociale, culturale e politico.
Certo, quanto avviene oggi è solo la punta delliceberg di una realtà che si è
venuta configurando negli ultimi tempi. A me sembra che la deriva, nella caduta del
disegno strategico per la sinistra, vada fatta risalire a ventanni fa, quando il
Paese era lacerato dal terrorismo, espressione di un pezzo della sinistra (certamente
minoritario ma ben radicato), incapace di uscire dal mito della "rivoluzione".
Allora non si è riusciti a costruire il grande partito del riformismo europeo anche
perché i messaggi erano equivoci ed ambivalenti: "il PCI, partito di lotta e di
governo".
E oggi - fuori dai settori e dalle aree tradizionali - il partito DS, erede del PCI, non
riesce ad aprire varchi nuovi perché manca di un disegno riformista, conseguente ad una
profonda e maturata cultura. Quello che oggi si realizza nellazione di Governo è,
in altre parole, in continuità con il pensiero del socialismo craxiano, seppur nella
parte più positiva della sua azione politica. Né potrebbe essere diversamente. In
particolare, quello che si avverte nei DS è soprattutto lincapacità di
rappresentare le parti più dinamiche del mondo del lavoro, soprattutto quello giovanile.
Perché il "lavoro dipendente nella grande organizzazione" - come ricorda
Giuseppe De Rita - "è oggi in minoranza (meno di dieci milioni di persone) rispetto
al lavoro indipendente oppure svolto nelle piccole organizzazioni". Il mondo del
lavoro è completamente diverso da quello del passato, in cui la sinistra - ed in
particolare il PCI - manifestava una sua effettiva egemonia. La crisi della sinistra è
quindi oggi crisi di rappresentanza dei settori nuovi e più dinamici del mondo del lavoro
e del mondo giovanile.
E allora, che cosa fare?
Secondo me la sinistra può e deve avere un futuro nel nostro Paese. Ma è necessario
realizzare una discontinuità rispetto al passato: riappropriarsi della cultura del lavoro
e comprendere che questa è oggi in profonda commistione con la cultura dellimpresa.
La solidarietà è il carattere distintivo della sinistra ma questa è possibile solo se
cè reale sviluppo.