Letti per voi/"Non posso accettare
        offerte politiche"   
         
        Giovanni Bazoli con Ferruccio de
        Bortoli   
         
        Articoli collegati 
        Giuliano come Cavour? 
        Se lanima è morta ridateci la politica  
        Che fare? Un direttorio  
        Vecchi partiti siete solo un intralcio  
        La personalizzazione? Una tendenza
        inarrestabile  
        Budda disse: Chi non si accorge del pericolo merita
        di morire  
        Letti per voi/"Così rilancio il centrosinistra"  
        Letti per voi/"Non posso accettare offerte
        politiche"  
          
        Questo articolo è apparso sul Corriere della Sera del
        14 giugno 
         
        La decisione di parlare Giovanni Bazoli l'ha presa nella quiete toscana di Punta Ala,
        domenica scorsa, dopo il rincorrersi di voci che di nuovo aveva coinvolto il suo nome. Il
        tono è pacato, la cortesia squisita. Si avverte appena un sottile disagio a parlare di
        politica nelle stanze, maestose e un po' fredde, della Ca' de Sass, la sede storica della
        Cariplo in via Monte di Pietà a Milano. "Una regola che mi sono posto è quella di
        tenere separata l'attività professionale dalle mie passioni politiche". "Ed è
        per questa ragione - sostiene il banchiere bresciano, al vertice di Banca Intesa, la
        principale aggregazione creditizia italiana - che mi sono deciso a ripetere pubblicamente
        oggi la mia indisponibilità ad assumere un incarico politico". Non ha cambiato idea,
        ci tiene a dirlo. Molti glielo hanno chiesto, grandi e piccoli esponenti di un
        centrosinistra da oggi orfano di un'ipotesi suggestiva e prestigiosa. Lui ha sempre detto
        no. "Ma forse - afferma - la mia disponibilità ad incontri privati e personali ha
        finito per incoraggiarle le offerte, anziché respingerle"  
         
        Dunque professor Bazoli, lei non sarà il candidato premier del centrosinistra alle
        elezioni politiche del 2001.  
         
        "Non lo sarò. Già due mesi fa, al momento della formazione del governo Amato, avevo
        espresso pubblicamente la mia posizione. Poi, negli ultimi giorni, ho assistito a un
        moltiplicarsi di voci ed ipotesi, tale da crearmi un certo disagio e, forse, qualche
        inutile problema alla banca in un momento decisivo per il suo sviluppo". 
         
        Ma non negherà che l'attenzione di molte forze politiche l'abbia lusingata e l'idea
        dell'impegno politico sfiorata. Per un cattolico liberale come lei un dovere più che una
        seduzione. Chi gliene parlò per primo?  
         
        "Nino Andreatta, e dico il suo nome con forte emozione, pensando a lui che vive da
        mesi fra la vita e la morte. Era il dicembre scorso, il giorno dopo il Fidelio alla
        Scala". 
         
        E lei?  
         
        "Io gli risposi subito di no. Ma probabilmente in un modo che non lo convinse del
        tutto. La mia risposta non gli impedì di avanzare una mia eventuale candidatura ai gruppi
        parlamentari del Partito Popolare, il giorno prima di sentirsi male alla Camera". 
         
        Poi le cose sono andate come tutti sanno, purtroppo.  
         
        "L'apporto dell'intelligenza straordinaria di Andreatta manca oggi al Paese. Come
        manca quel suo senso dello Stato, che sa anteporre l'interesse generale, sempre, a quello
        dei gruppi e delle persone. Una qualità rara nel nostro Paese, oggi ancora più
        rara". 
         
        Lui la convinse già una volta a cambiare idea.  
         
        "Sì, ai tempi della nascita del Nuovo Banco Ambrosiano, ormai diciotto anni fa. Io
        non volevo assumere la presidenza del nuovo istituto. Espressi le mie riserve nella
        riunione finale in Banca d'Italia, presenti lui come ministro del Tesoro e l'allora
        governatore Ciampi". 
         
        E come la convinse?  
         
        "Finita la riunione, Ciampi e Andreatta mi presero sottobraccio. Nino trovava sempre
        l'argomentazione giusta, la considerazione alla quale, onestamente, non si può dire di
        no. Allora io mi difesi dicendo: sono un giurista, non un banchiere. Ciampi intervenne: se
        è per questo, anch'io sono laureato in lettere e faccio il governatore. Accettai così di
        fare il presidente del Nuovo Ambrosiano". 
         
        Torniamo ai giorni nostri e al moltiplicarsi delle ipotesi di una sua candidatura a
        premier.  
         
        "Quando Ciampi diede l'incarico ad Amato, i giornali scrissero che sarei diventato
        vice presidente del Consiglio e ministro del Tesoro. Chiamai Amato per dirgli che non ero
        disponibile, spiegandogli le ragioni. Lui mi rispose: ma se lei accettasse sarei
        felicissimo". 
         
        Amato ha reagito, infastidito al rincorrersi delle ipotesi sui possibili candidati del
        centrosinistra, tra cui la sua. Vi siete parlati?  
         
        "Amato conosce perfettamente la mia posizione e la grande stima per le sue qualità
        di governo, già dimostrate come premier nel 1993, quando avviò il risanamento economico
        del Paese". 
         
        Lo vedrebbe bene come candidato del centrosinistra alle prossime elezioni?  
         
        "Se chiede la mia opinione personale, io vedrei Amato con due vicepresidenti (meglio
        se giovani) espressioni delle componenti cattolica e di sinistra. Ma su un'altra cosa
        Amato ha ragione: prima un accordo sul programma. Altrimenti la politica sarà ancora una
        volta alla mercé di partiti e partitini interessati solo a quote, anche microscopiche, di
        potere".  
         
        Nostalgia dell'Ulivo?  
         
        "Credo che tutti dovrebbero riconoscere che l'ingresso dell'Italia nell'euro è stato
        un evento del tutto positivo. Certo, pone in evidenza vincoli e problemi ancora irrisolti
        nel nostro Paese; ma, se non fossimo nell'euro, dove ci troveremmo?". 
         
        Una stagione irripetibile?  
         
        "Non vorrei proseguire in queste valutazioni di ordine politico. A me oggi tocca
        un'altra responsabilità, ben più modesta: quella di completare l'opera ancora incompiuta
        di Banca Intesa, in un momento decisivo per la crescita del sistema economico
        italiano". 
         
        La possibile fusione con Imi-San Paolo, per esempio.  
         
        "Dobbiamo costruire compagini bancarie in grado di competere alla pari con i colossi
        stranieri. La Comit, nella sua nuova vocazione di merchant bank, potrà giocare un ruolo
        da protagonista nell'accompagnare le nostre imprese sui mercati esteri. Ma ci chiediamo se
        questo può bastare. Lei può ben capire che io non posso lasciare a metà questo
        lavoro". 
         
        Insomma si era accorto che il confine tra la professione di banchiere e le idee private
        del professor Bazoli si stava assottigliando?  
         
        "La mia regola è stata sempre quella di separare la politica dagli affari. Quando mi
        occupai, nel 1982-84, lei si ricorderà, del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, ne difesi
        l'autonomia e l'imprenditorialità dagli appetiti dei partiti, della Dc e del Psi. Una
        regola fondamentale in un Paese nel quale, in ogni settore, manca una cultura del
        conflitto di interessi".  
         
        Ma lei professor Bazoli, lo ammetta, la politica ce l'ha nel sangue, è una sua
        tradizione di famiglia. Rinunciare le dispiace. Suo nonno Luigi, avvocato, militò nel
        Partito Popolare con don Luigi Sturzo, suo padre Stefano fu membro alla Costituente e poi
        deputato dc nella prima legislatura. 
         
        "E' una grande tradizione quella del cattolicesimo liberale lombardo. Mio padre era
        un cattolico di frontiera e antifascista; come avvocato difese nel dopoguerra un gerarca
        salvandogli la vita. A Brescia, alla fine degli anni Cinquanta, riunì intellettuali di
        diversa estrazione, da Jemolo a Bo, da Garin a Valsecchi e Trombadori. Oggi sono turbato
        nel considerare la povertà di ideali nella borghesia lombarda. Una società legata più
        agli interessi che alle idee". 
         
        Il cittadino Bazoli sembra esprimere preoccupazione sullo stato di salute della nostra
        democrazia e sulla modernità della sua classe dirigente.  
         
        "La mia prima preoccupazione è quella che si possa perdere la sfida europea.
        Qualunque sia il governo che si formerà nel 2001, la priorità dovrà essere quella di
        realizzare le riforme che ci consentano di rimanere in Europa e di concorrere a costruire
        quell'unità politica senza la quale l'Unione correrebbe il rischio di scadere in un
        organismo centralistico e burocratico".  
         
        E la seconda preoccupazione?  
         
        "Il rischio che si riproponga un clima che in Italia abbiamo già conosciuto in
        passato. Se la società civile si dividesse sulla base degli schieramenti politici, ciò
        porterebbe a situazioni di intolleranze e discriminazioni pericolose per la convivenza
        civile e per la stessa sorte dei diritti di libertà dei cittadini". 
         
        Andreatta forse userebbe questo argomento per convincerla a impegnarsi direttamente in
        politica?  
         
        "Forse. Ma la mia decisione oggi non potrebbe essere modificata".  
         
         
        Articoli collegati 
        Giuliano come Cavour? 
        Se lanima è morta ridateci la politica  
        Che fare? Un direttorio  
        Vecchi partiti siete solo un intralcio  
        La personalizzazione? Una tendenza
        inarrestabile  
        Budda disse: Chi non si accorge del pericolo merita
        di morire  
        Letti per voi/"Così rilancio il centrosinistra"  
        Letti per voi/"Non posso accettare offerte
        politiche"  
          
        Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
        da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui 
        Archivio
        Attualita'  |