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Letti per voi/"Così rilancio il centrosinistra"

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Questo articolo è stato pubblicato su la Repubblica   del 13 giugno

Presidente, è vero che sta maturando l'idea di dimettersi, adesso o subito dopo il varo della Finanziaria?

"Dimettermi? E perchè mai dovrei dimettermi? Sono qui, al mio posto, il centrosinistra sta governando, lo fa da cinque anni con risultati importanti".

Ma ha perso le regionali, è minoranza nel Paese, e soprattutto coltiva una pericolosa seduzione della disfatta in vista delle prossime elezioni.

"Io voglio vincere le prossime elezioni. Ma per vincere nel 2001 servono contenuti e programmi. E allora dico basta con i fiumi di parole sulla "squadra". La squadra verrà dopo. Adesso dobbiamo avere la forza di cambiare l'ordine del giorno: prima viene il progetto politico, poi vengono i nomi...".

Giuliano Amato è seduto dietro alla sua scrivania. Sta finendo di inviare un paio di e-mail: "Quando posso devo pur rispondere alla gente che mi scrive...". Il presidente del Consiglio non è in una delle sue giornate migliori. Parla lentamente, a bassa voce, e pesa le parole. Ci tiene a lanciare la sua "ricetta per il centrosinistra". Non lo dice, ma con questo conferma, replicando implicitamente ai leader della maggioranza tuttora titubanti sul suo nome, che ne può e ne vuole essere il leader. E dunque il candidato premier.

Non si dimette, d'accordo. Ma non è un buon momento per lei...

"Come? L'altro ieri ho anche fatto un buon match a tennis. Poi sono andato a vedere l'ultimo film di Woody Allen, "Accordi e disaccordi", che è una vera delizia...".

Piccoli piaceri extrapolitici. La politica è più avara con lei. Ha posto il problema: la sua premiership attuale sarebbe incompatibile con la scelta di un candidato premier diverso per le elezioni del 2001. Dica la verità: dagli alleati di centrosinistra si aspettava risposte più rassicuranti.

"Sono parole. Parole che si sono aggiunte alle parole. Non intendo aggiungerne altre. L'ho già detto a Napoli e lo ripeto adesso: ho posto alcune questioni, sono questioni serie sulle quali riflettere. E allora riflettiamo, invece di parlare di nomi: in questo momento fa solo del male".

Ma è in questo momento che Veltroni dice che il candidato premier dovrà essere un Ds, con ciò dicendo implicitamente che lei non lo sarà...

"E' un tema fuori dall'ordine del giorno".

... Ed è in questo momento che Parisi aggiunge che lei non rappresenta "il nuovo"...

"E' un altro tema fuori dall'ordine del giorno".

Lo sa anche lei che la squadra è un tema importante, nell'impostare la battaglia contro la destra.

"Certo. La squadra è un tema importante. Ma viene dopo. Prima viene il vero, grande tema di questo momento: cosa serve al centrosinistra per vincere le elezioni".

La squadra non serve?

"La squadra, come ha scritto giustamente D'Alema sul suo giornale, è al terzo ed ultimo punto dell'ordine del giorno. E lo è in senso logico e in senso temporale. Prima di quello, ce ne sono altri due, molto più rilevanti. Il primo: la voglia, cioè un atteggiamento di tutti rivolto a valorizzare la coalizione più che a preservare le rispettive identità, in vista di una sconfitta futura. Il secondo: tirare a lucido e far emergere davanti agli italiani le ragioni comuni della coalizione, e quindi il progetto del centrosinistra".

Anche di questi due punti, però, nel centrosinistra si parla molto ma nessuno riesce a tradurre in pratica nè la "voglia" nè il "progetto".

"Vede, il paradosso della situazione è che oggi le ragioni comuni del centrosinistra superano quelle che stanno tenendo insieme il centrodestra. Lì vi sono differenze profonde, per esempio sull'economia, che attraversano i due partiti maggiori, per non parlare poi della Lega. Eppure va riconosciuto alla leadership del centrodestra la capacità di mettere in luce ciò che c'è di comune tra loro. Certo, lì c'è anche la maggiore capacità del leader del Polo di impastare in chiave mediatica gli ingredienti di cui dispone. Ma secondo me c'è anche qualcosa di più".

Cosa c'è, di più?

"Il centrodestra sta forse costruendo un blocco sociale. Imperniato sulle ambizioni immediate di una borghesia imprenditoriale insofferente dei vincoli e desiderosa di arricchirsi, e sulle aspirazioni a medio termine di una piccola borghesia che guarda alla prima come gli albanesi guardano agli spot della Tv italiana e pensano: "Se vado di là, quel Chivas Regal sarà mio". Questo dà sostanza, oltre che apparenza mediatica".

Allora per il centrosinistra il limite è: non riuscire a catturare il consenso di quella borghesia imprenditoriale, e "vendere" all'altra un Chivas Regal che sa di tappo, di ideologismo e di pauperismo. E' così?

"La questione è che al centrodestra non basta contrapporre miglior comunicazione, ma bisogna cominciare a contrapporre anche una migliore capacità di aggregazione sociale. Ed è qui che il progetto del centrosinistra può essere migliore e vincente, perchè può essere meglio in grado di collegarsi a ciò che di più innovativo comincia a manifestarsi nella società italiana. Perchè stiamo attenti: non è nei termini in cui la destra lo presenta, annodato attorno ai ceti davvero innovativi, il blocco sociale che essa sta costruendo. L'Italia del futuro non è solo a Santa Margherita Ligure. Nè la si incontra se le figure sociali a cui si fa riferimento sono soltanto quelle del tradizionale lavoratore dipendente, del pensionato d' anzianità...".

Questo è lo scoglio vero del riformismo, sul quale però la sinistra ha finora naufragato, a partire da D'Alema.

"In fondo il nodo vero è l'idea, non nuova ma da aggiornare, che un tempo si esprimeva con la formula del "patto tra i produttori". Le aggregazioni sociali vincenti sono quelle che mettono insieme le figure sociali che ha senso rappresentare e tutelare, quindi anche pensionati e lavoratori dipendenti, con quelle che più sono in grado di apparentarsi con esse in una chiave di progresso. Curiosamente, la sinistra e il centrosinistra sono molto attenti all'innovazione, alle tecnologie, ai ponti veri verso il futuro. Però lo sono nei progetti di azione, più che nei messaggi ai soggetti sociali che si indentificano con quegli obiettivi".

La difficoltà è proprio individuarli, quei soggetti sociali, no?

"Prendiamo le tecnologie dell'informazione: di solito vi troviamo persone relativamente giovani, di ambo i sessi, non direttamente interessate alla politica, ma con dentro i valori e la sofisticazione culturale di chi ha alle spalle il '68, ha un'esperienza di formazione nei maggiori Paesi dell'occidente. In fondo, basta che i leader della sinistra pensino ai loro figli. Si tratta di persone che magari lavorano dentro imprese ma si sentono creativi e non burocrati; che aspirano alla ricchezza ma che si preoccupano se il gap tra i salari diventa troppo elevato. Persone che mettono su le loro piccole imprese, ma hanno imparato la cultura della trasparenza e quindi non vivono col dilemma del falso in bilancio. Magari mandano i figli alla scuola privata, ma sono pronti a battersi per l'efficienza della scuola pubblica. Io non so quale sia la dimensione di questo aggregato. Quello che evinco dall'esperienza degli Stati Uniti, che in questo anticipano sempre il futuro, è che lì questo "tipo umano" è già identificato in una nuova classe di comando. Una classe che guarda a Seattle, più che a Dallas".

E quindi?

"C'è tutto lo spazio per costruire un progetto sociale che impasti i tradizionali referenti sociali del centrosinistra con questa nuova classe. Ci si accorgerebbe allora che il futuro del centrodestra è più texano, è meno capace di far convergere la società dei prossimi anni verso riforme che siano riformiste e non di restaurazione nè di squilibrio collettivo. Il problema del centrosinistra è di riuscire a cogliere questa realtà e di lanciarle messaggi non opachi nè contraddittori. Che abbiano a cuore l'eguaglianza ma che non siano ostili alle stock option; che tutelino i deboli ma che non abbiano una pregiudiziale chiusura verso le pensioni più alte; che favoriscano la previdenza integrativa ma non solo quella di origine sindacale; che tutelino il lavoratore subordinato precario ma non mettano la briglia a qualunque forma di lavoro atipico. Questo è tutto possibile. Occorre soltanto farlo emergere".

Non è esattamente quello che finora i partiti della maggioranza non sono riusciti a fare?

"Io non credo che i partiti ce la facciano, da soli. Le ragioni di un "Nuovo Ulivo" sono tutte qua. Sono convinto che buona parte della realtà da rappresentare e alla quale collegarsi è fuori dai partiti. E questo richiede uno sforzo di sintonizzazione e di reclutamento che va presentato non "in partiti", ma in "avventura comune". Anche nelle società evolute fa differenza essere governati da un centrodestra o da un centrosinistra".

Il dubbio di certa sinistra è che la differenza non si veda ormai quasi più.

"Non è e non deve essere così. E' importante che quella parte dei ceti sociali più solidi che concorre a una maggioranza abbia dentro di sè le ragioni, oltre che della libertà, anche dell'uguaglianza; oltre che del proprio successo, delle prospettive di successo per gli altri; oltre che del proprio PHD, della formazione ai nuovi lavori di quelli che il PHD non lo avranno mai".

Insisto. I governi di centrosinistra, dal '96 ad oggi, non hanno mancato proprio in questo, cioè nell'incapacità di una sintesi tra queste esigenze?

"In parte è così. Perchè è chiaro che per riuscirci bisogna che alcune delle posizioni tradizionali debbano diventare flessibili, per trovare un punto di incontro. I messaggi non si possono giustapporre, debbono apparire nitidi".

Lei vuol dire che finora non lo sono stati?

"Fino ad oggi il messaggio del nostro centrosinistra è stato opaco, ispirato più a una logica "da una parte e dall'altra" che non a quello di un'effettiva fusione di orientamenti. Ma è davvero giunta l'ora di tentare un impasto vero. La strada è lunga e difficile. Bisognerà capire se i partiti della coalizione pensano che ne valga la pena, o se invece la loro principale preoccupazione sia quella di sapere quanti parlamentari potrà salvare ciascuno nella prossima legislatura...".

Oppure (e torniamo al punto dal quale siamo partiti) se invece sia quella di sapere chi sarà lo sfidante da contrapporre a Berlusconi...

"Adesso bisogna adoperarsi per l'identità e per la vittoria comune. Il tempo c'è. Ma ogni giorno che perdiamo in discussioni fuori luogo e fuori orario, è un giorno perduto".

Ma ponendo il "problema reale della premiership", ha voluto dire che quello sfidante deve essere lei, e che in caso contrario se ne andrà oppure no?

"Non mi strapperà nient'altro, su questo punto. Io mi sento personalmente disponibilissimo per il progetto politico che ho tracciato, e vorrei che questo progetto venisse messo in campo. Ma voglio combattere una battaglia in positivo, e non per aggiungere le mie lamentazioni alle lamentazioni altrui: tutto questo serve ad altro, non a costruire una coalizione vincente".

Lei corre un rischio: quello di sembrare un politico in difficoltà che, invece di chiarire la sua posizione, preferisce cambiare discorso.

"Ma il mio non è certo un parlare d'altro! Il senso di questa mia uscita è questo: cambiamo con forza l'ordine del giorno, e rispettiamolo. Finiamola con le chiacchiere, e pensiamo ai fatti. Dal confronto sui contenuti e sui programmi, da quanto saprà fare il governo in questi mesi, nasceranno la squadra e gli uomini per il 2001. In fondo stiamo governando, e lo stiamo facendo con risultati importanti dei quali la gente si renderà conto. Dobbiamo smetterla di viaggiare "in folle", con una maggioranza che litiga, separata dal cammino del governo. Vivaddio: è ora di ingranare la marcia, e di rimettere in sintonia una macchina sulla quale viaggiamo tutti insieme!".

Il "pilota" quando lo si sceglie? Dopo la Finanziaria?

"Il pilota lo sceglieremo poi. Ma se ora litighiamo solo sulle persone, e se prima non riassestiamo la macchina, allora il mio candidato ideale resta sempre lo stesso: Michael Schumacher".



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