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Vecchi partiti siete solo un intralcio

Incontro con Mauro Calise e Roberto Weber



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Questo articolo è apparso sul numero 60 di Reset, attualmente in edicola e in libreria

Reset - Nel libro Di Mauro Calise Il partito personale viene affrontato il tema della personalizzazione dell’attività di intermediazione partitica, fino al costituirsi di partiti che vengono appunto definiti personali, questa è soltanto una risposta ad un disagio dello specifico italiano, oppure è semplicemente un nuovo modo di essere, un’evoluzione delle modalità di conduzione dell’attività politica nelle società contemporanee?

Weber
- Il fenomeno della personalizzazione della politica è facilmente rilevabile e misurabile. I sondaggi d’opinione evidenziano un trend di costante crescita. Un curioso mix di populismo, di politica simbolica e di personalizzazione nei meccanismi di raccolta del consenso elettorale, e nella pratica dell’intermediazione politica. In quest’ultima tornata elettorale regionale ha avuto un peso molto elevato anche la capacità di innovare i moduli del campaigning utilizzando nuove tecniche di comunicazione. Inoltre la forte politicizzazione ha interessato più i leader degli schieramenti contrapposti che i singoli candidati alle presidenze delle regioni. Da questo punto di vista, la maggiore visibilità della leadership di Berlusconi, ha prodotto una rendita elettorale superiore a quella generata da una non altrettanto chiara preminenza di D’Alema nel centro sinistra. Questa coalizione ha perso soprattutto nelle regioni dove la transizione dal modello di struttura partitica tradizionale a quello maggiormente incentrato sulla leadership, non è ancora stato avviato. In sostanza, laddove il centrosinistra è riuscito a centralizzare e personalizzare la leadership, utilizzare consulenti e professionisti della comunicazione esterni, (vedi il caso della Campania ma anche quello della Basilicata e del Molise) è riuscito a vincere.

Calise
- Sono d’accordo, per il centro sinistra è molto più facile riuscire a competere laddove la transizione ad un nuovo modello di campaigning è stato avviato. Non dimentichiamoci che l’operazione Bassolino a Napoli nasce dopo la nomina a commissario della federazione del Pds. Bassolino azzera, sostanzialmente, tutti gli organismi dirigenti. La prima campagna elettorale del 1993 viene condotta per così dire all’americana, a partire dalla direzione centralizzata da parte di un pool di cinque professionisti esterni, di cui feci parte anch’io. Il dato fondamentale è stato, dunque, l’azzeramento organizzativo e la ricostruzione del partito su basi nuove.

Reset
- Ma non è la liquidazione del vecchio partito a creare le condizioni per la personalizzazione?

Calise
- Non è proprio così. In questo caso la continuità risiedeva nella persona di Bassolino, nella sua capacità di rivendicarla. Se ci fosse stata un organizzazione di partito "autonoma", non ci sarebbe stato quel mix di personalizzazione, centralizzazione e comunicazione che hanno consentito di trasformare una forza marginale all’8%, quale era il Pds napoletano nel 1993, ad essere centrale in una coalizione che nel 1997, al secondo mandato, ottiene il 73%.

Weber - Un esempio analogo si è verificato a Trieste. Si è riusciti a eleggere Riccardo Illy sindaco spostando l’elettorato di sinistra e di centrosinistra su un candidato non ortodosso e senza passato di militanza politica. Anche qui si è partiti dall’azzeramento organizzativo del partito più forte della coalizione. Nel 1993, infatti, il Pds di Trieste aveva vissuto un processo di ristrutturazione che aveva portato alla decapitazione del vecchio gruppo dirigente. La nuova federazione triestina, così come quella napoletana, si fondò su una nuova compagine aperta al contributo di consulenti e professionisti esterni. La lista guidata da Illy costituì uno dei primi esempi di utilizzo di quei nuovi moduli di attivismo politico e di campaigning di cui parla Calise nel suo libro. Dove invece vecchie strutture, gruppi dirigenti e antichi permangono il centrosinistra perde: il caso di Bologna è esemplare.

Reset -
Il " partito personale" rappresenta quindi uno dei modi possibili per affrontare il disagio crescente nei confronti del malfunzionamento del sistema politico italiano, che a causa di una frammentazione partitica elevata, vive un blocco del processo di policy making e del normale meccanismo di assunzione delle decisioni?

Calise
- La cultura politica italiana dovrebbe riflettere in primo luogo sul sistema elettorale: l’introduzione del maggioritario non può risolvere i problemi e le contraddizioni. Sarebbe stato sufficiente rileggersi un prezioso saggio di Giovanni Sartori, di ormai venti anni fa, Elementi di teoria politica, dove viene spiegato molto chiaramente come non sia possibile creare un sistema bipartitico attraverso la semplice introduzione di una legge elettorale maggioritaria, a meno che il sistema nel quale si interviene non presenti già condizioni favorevoli a tale tipo di sviluppo. Il problema maggiore, la frammentazione partitica, è anche, nello stesso tempo, la ragione principale delle difficoltà a risolverlo. La chiave di lettura principale del mio libro risiede nello sforzo di tenere insieme la categoria della personalizzazione con quella del partito. Un processo di personalizzazione della politica, lo ricordava Roberto Weber, è un dato ormai acquisito. Però, salvo casi particolari non ha poi molto a che vedere con quella di cui parlava il grande sociologo e pensatore tedesco Max Weber in Economia e società: quella odierna è, sostanzialmente, senza carisma, e, nel migliore dei casi, si fonda su un grande patrimonio e un’ingente quantità di risorse da investire. Questo deve essere l’angolo visuale, anche in relazione agli strumenti necessari al rilancio della passione politica nel nostro paese. Bisogna essere consapevoli che non si è ancora in grado di dispiegare capacità di mobilitazione completa e accattivante. A questo punto la questione è: che rapporto si è instaurato fra personalizzazione politica e partiti: questi ultimi in sostanza, che fanno? Negli Stati Uniti il problema è stato affrontato e risolto cinquanta anni fa, quando i partiti erano ormai allo stremo. Si è optato per una politica candidate-centered, cioè supportata da partiti divenuti mere macchine elettorali, i candidate-parties. Sono praticabili, in Italia, percorsi alternativi rispetto a quello statunitense?

Reset - Parlando delle disfunzioni principali del funzionamento del sistema politico italiano, vogliamo considerare come prioritarie l’instabilità e la relativa inefficienza degli esecutivi o, piuttosto, la scarsa partecipazione al voto e l’allontanamento dalla politica in generale?

Weber - I tassi di non partecipazione sinora registrati sono fisiologici e comunque inferiori a quelli espressi dagli altri paesi dell’occidente industriale avanzato. Alle elezioni europee in Italia ha votato una percentuale più significativa della media dell’Unione Europea. E anche alle regionali nonostante il calo rispetto alle precedenti. Per me l’astensionismo non è ancora un fenomeno di prioritaria gravità.

Calise - Il problema prioritario è il provincialismo culturale sul tema delle riforme. Come mai, avendo comunque alle spalle strutture partitiche ancora degne di questo nome, non si è lavorato per portarle in sintonia con le dinamiche di personalizzazione, centralizzazione e medializzazione che tendono ad essere dominanti?. Oppure, per passare all'altro nodo istituzionale su cui si sono affollate le inutili ricette degli apologeti del maggioritario, come è possibile che nessuno si sia accorto che i governi in Italia, oggi, funzionano molto meglio rispetto a quindici anni fa? Vi è stato un importante processo di rafforzamento dell’esecutivo di cui, d’altra parte, Sabino Cassese si era accorto sin dagli anni ottanta. Certo, c'è ancora poca stabilità. Ma stabilità, anche in questo Sartori è molto chiaro, è altra cosa rispetto a efficienza. La Dc, nonostante le innumerevoli crisi, è stata stabilissima al governo, ma non si può certo dire che abbia fornito un esempio di efficienza. Ciò che hanno fatto governi tecnici come quelli di Amato e Ciampi, in pochi mesi di vita e senza una reale maggioranza politica alle spalle, non sono riusciti a realizzarlo i precedenti esecutivi in trent’anni. Allo stesso modo, quanto a efficienza, Prodi ha governato molto bene, così come D’Alema.

Reset - Ad un certo punto, però, Prodi è caduto. E D’Alema si è dimesso due volte

Calise - Questo è vero, ma è altrettanto vero che la caduta del governo Prodi non ha inficiato l’attività di policy making del governo D’Alema. Certo, resta il problema della legittimazione di un esecutivo forte che prescinda dall’intermediazione partitica e dal rapporto diretto che tale governo può instaurare con la cittadinanza. La formazione di un esecutivo forte è diventata incompatibile con la spartizione "cencelliana" della vecchia partitocrazia. Vedremo anche cosa succederà con il nuovo governo Amato. Ricordate la staffetta Craxi-De Mita? Fu l’implosione di una coalizione incapace di lottizzare posti di governo fra i partiti della maggioranza: ormai Palazzo Chigi valeva troppo, era fuori dai giochi. Da quel momento si è finalmente aperto un nuovo gioco, avente per oggetto la competizione per una struttura efficiente e forte. Che la transizione a questo nuovo scenario non potesse avvenire in maniera indolore e in poco tempo era abbastanza prevedibile. Anche per questo, non mi sembra il caso di stracciarsi le vesti per le condizioni della partecipazione politica in questo paese, che non è in condizioni disastrose. Il rebus da risolvere resta questo: come continuare a utilizzare ciò che resta delle strutture di partito per garantire un maggior grado di legittimità democratica a governi che tendono sempre più a personalizzarsi e a prescindere dal circuito tradizionale della rappresentanza politica? Per tenere insieme tutti questi aspetti, c’è bisogno di più di consapevolezza critica e cultura politica ed un po’ meno di fiducia in ricette risolutive "chiavi in mano" tipo la riforma del sistema elettorale. Sono circa dieci anni che sostengo di non farsi illusioni sulle capacità terapeutiche del maggioritario: da solo, con il sistema partitico in queste condizioni, non può bastare. Se mi chiedono: vuoi o no un sistema bipartitico?, la risposta è "sì". Ma la ricetta non sta in una semplice legge elettorale.

Reset - Non potrebbe essere che questo è accaduto perché la ricetta maggioritaria applicata nel nostro paese, ossia il Mattarellum, non è quella giusta? Non sarebbe preferibile un sistema a doppio turno?

Calise - Il doppio turno è preferibile. Ma se passiamo i prossimi dieci anni a tentare di migliorare un tantino il sistema elettorale, nel frattempo il malato, che è ora agonizzante, e mi riferisco ai partiti, muore. La domanda vera è perché non si è cominciato a lavorare sui partiti e sulla loro organizzazione otto o nove anni fa. È su questo aspetto che bisogna intervenire con una strategia ad hoc. Tornando alla cultura e alla responsabilità o, se preferiamo, alla cultura della responsabilità.


Reset - Tony Blair è un esempio di personalizzazione ma anche di un partito che ha seguito questo cammino.

Calise - Un percorso costruito in quindici anni e con una strategia precisa, sorretto in modo sostanziale dal lavoro professionale della Shadow Communication Agency guidata da Mandelson. Abbiamo parlato molto di personalizzazione, un po’ di meno di centralizzazione, e prima o poi bisognerà parlare anche di professionalizzazione: questi sono i tre aspetti critici, le tre chiavi del successo. Per quanto mi riguarda, sono un alfiere della personalizzazione al servizio dei partiti, anche se so che l’esperienza del Labour non è ripercorribile nelle stesse forme.



Weber - Si è trattato di una rivoluzione pianificata. Hanno rivoltato il partito laburista come un guanto e annientato il sindacato come azionista di maggioranza del partito. Certo le Trade Unions rimangono un soggetto importante che interviene nella società politica e civile, ma che è, in modo chiaro, altra cosa rispetto al Labour.

Reset - Ma una specie di "operazione Bassolino" non si poteva tentare anche su D’Alema?

Calise - Se D’Alema ha una colpa è quella di non aver spinto sull’acceleratore quando divenne segretario del Pds, vincendo su Veltroni, nel luglio del 1994. Se in quel momento avesse avuto un po’ più di consapevolezza di queste dinamiche di personalizzazione, centralizzazione e comunicazione, con la sua conoscenza e il suo carisma, avrebbe potuto tentare di riformare il partito in senso moderno. Lui ha fatto una diagnosi giusta sul breve periodo, riuscendo a prendere Palazzo Chigi. Ma, in prospettiva, si è chiusa per la sinistra una finestra di opportunità storica.

Weber - Si sarebbe aperto uno scontro micidiale all’interno. Non sono convinto che un tentativo del genere avrebbe potuto aver successo.

Calise - Ma anche la riforma del Labour è avvenuta con scontri violentissimi e la leadership si è assunta i rischi. Qui invece si ha l’impressione che si voglia cambiare il sistema politico, mantenere o anche aumentare la partecipazione, rendere più efficiente il sistema, dare risposte a tutto in sei mesi e magari anche con qualcuno che firma una garanzia. C’è un elemento di rischio che va accettato. Si potrebbe parlare di imprenditorialità politica, per dirla all’americana con Schumpeter, con Downs.

Reset
- Al punto in cui siamo, dove è il possibile centro di rigenerazione?

Calise - Uno snodo vitale resta Palazzo Chigi. Ma, da solo, non basta. Mi auguro che si apra a sinistra una discussione senza alibi. Vi è un’esigenza di centralizzazione sulla quale la politica oggi non fa sconti. Allo stesso modo, sono necessarie forti dosi di nuova professionalizzazione. Le regole del gioco sono cambiate, restano ormai pochi mesi per rimboccarsi le maniche.

Mauro Calise insegna Scienza Politica all’Università di Napoli Federico II. Editorialista del "Mattino" oltre al libro Il partito personale ha pubblicato di recente Dopo la partitocrazia. L’Italia tra modelli e realtà e La Costituzione silenziosa
Roberto Weber è amministratore delegato della Swg di Trieste, società di marketing, analisi e studio sull’opinione.

(a cura di Stella Bianchi e David Bogi)





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