Questo articolo è apparso sul numero 60 di Reset, attualmente in edicola e in libreria
La prima difficoltà con largomento è dordine definitorio.Si scrive molto di
personalizzazione della politica, tuttavia le definizioni, e perfino le pure e semplici
descrizioni, sono scarse e vaghe. Spesso non se ne dà alcuna; ma dal contesto è chiaro
che, sotto quelletichetta, ci si riferisce a fenomeni che converrebbe considerare
distintamente. In special modo conviene distinguere fra "personalizzazione della
politica" e "personalizzazione della leadership politica" (o "del
potere" come ancor oggi alcuni preferiscono scrivere). E anche opportuno
ricordare che questi sviluppi sono stati oggetto di rilevazione e studio soprattutto nelle
democrazie a lungo incentrate nei partiti di massa quali soggetti collettivi della
politica, come lItalia.
Lindebolimento dei partiti è accompagnato da una tendenza che è possibile
raffigurare in termini idealtipici (rifacendosi mentalmente anche a democrazie che
sembrano averci preceduto su questa strada), e a cui si può ragionevolmente dare il nome
di "personalizzazione della politica". Questo fenomeno concerne specificamente
il rapporto fra elettori, da un lato, parlamento e assemblee locali, dallaltro. E
può essere considerato tanto dal punto di vista dellelettore come da quello
delleletto, perché, in effetti, per entrambi la persona, anziché il soggetto
collettivo partito, diventa il principale riferimento. Il cittadino elettore compie scelte
di voto personali, sottraendosi ai condizionamenti di partito (spesso mediati da
comunità dappartenenza, per esempio nel quartiere), vota in base a fiducia
personale nel candidato, e poi cerca di mantenere un rapporto personale con
leletto, nel quadro di una visione pragmatica (non ideologica) della politica.
Luomo politico, daltra parte, è limprenditore di se stesso dalla
candidatura allelezione, vince come persona, gestisce autonomamente la
propria condotta di "rappresentante", avendo come vero riferimento non il
partito ma la sua persona (valori, interessi) e, quindi, il suo elettorato.
La tendenza, ripeto, è raffigurata in termini idealtipici, nella realtà
effettuale incontreremo percorsi non puri. Tuttavia si moltiplicano i fenomeni ad
essa riconducibili. Inoltre questa "personalizzazione" non sembra davvero
"senza radici", come alcuni politici ritengono; al contrario, è
fondamentalmente determinata da mutamenti nella società che, comè regola,
simpongono alla politica. Come noto, perché molto se ne è scritto, questi
mutamenti hanno eroso le condizioni di vario ordine che (come, ad esempio, la struttura di
classe) erano alla base del partito di massa, e del suo "regime", prima che
intervenissero traumatici eventi politici a distruggere il fondamento fideisti di alcuni
partiti - come la caduta del Muro -, o ad abbattere la credibilità stessa
dellistituzione partito - come Tangentopoli. È qui rilevante che tutto ciò ha
liberato molti cittadini da vincoli collettivi, e in particolare da motivanti
"appartenenze".
Il nuovo, prammatico individualismo corrisponde bene alla personalizzazione della
politica, e la nutre. E la favoriscono potentemente gli sviluppi tecnici e culturali nel
campo delle comunicazioni, della tv specialmente. Dunque una ricca convergenza di fattori
sospinge il trend della "personalizzazione della politica", e lo rende, rebus
sic stantibus, inarrestabile. Sembrerebbe quasi inutile parlarne, non fosse che
eminenti personalità dello Stato in ufficiali esternazioni dimenticano il cambiamento
della società e i grandi eventi occorsi, per rintracciare invece le cause della
personalizzazione nei suoi effetti (per giunta secondari): ad esempio, nella
perversa abitudine dei segretari dei partiti di "parlare in prima persona ",
quasi, appunto, essi impersonassero il partito. E sembrano credere in facili correzioni
(inversioni?) di rotta.
Il principio monocratico
La "personalizzazione della leadership politica"rientra, in senso lato,nella
"personalizzazione della politica", ma investe anche, e principalmente, la
dimensione del potere di governo. Il concetto -sempre in termini idealtipici -
implica due cose. Primo, che detto potere nelle istituzioni pubbliche si concentri per
regola o di fatto nel leader preposto al loro governo. Secondo, che il leader sia preposto
al governo in base alla fiducia popolare . Potere monocratico e fiducia popolare sono
dunque i due volti della "personalizzazione della leadership". Ciò ci rende
anche avvertiti che essa si contrappone in modo diretto non al soggetto collettivo
partito, come nel caso precedentemente discusso , ma ad ogni forma di governo incentrata
in organi collegiali: tanto nelle istituzioni pubbliche quanto nel partito stesso, che
diventa il "partito del leader".
Per un aspetto importante, la "personalizzazione della leadership" rappresenta
dunque sulla scena politica un momento di prevalenza del principio monocratico
nella plurisecolare competizione con il principio collegiale: soprattutto nel
rapporto fra il leader di governo e il parlamento, da un lato, e in quello fra il leader e
i restanti membri del governo, dallaltro . Prevalenza prevista e spiegata dal più
alto pensiero sociologico( e quindi anche politologico ) fin dallinizio del secolo
scorso, con considerazioni relative sia alle pressanti complesse esigenze della società
moderna, sia alla corrispondente necessità di governare con lungimiranza e coerenza e
tempestività e responsabilità . "Governo del leader assistito da consiglieri",
appariva - già in Weber - come la formula del futuro, in luogo del governo collegiale
ormai superato dalla modernità e destinato a sparire.
Qui meritano rilievo tre punti. Il primo: che il principio monocratico in democrazia ha
ricevuto congruo spazio dove lambiente culturale era più propizio, ad esempio per
il prevalere di orientamenti individualistici e prammatici, e dove le circostanze storiche
ne favorivano laffermazione. Gli Usa sono un buon esempio, e su questo non cè
forse da insistere . Il secondo :che esso può diventare un principio strutturale
nellorganizzazione dello stato democratico, come appunto è accaduto negli Usa:
dallo stato federale ai singoli stati della federazione e alle municipalità. Il terzo:
che la democrazia, per esser tale, non può fare a meno dellopposto principio
(collegiale). I due riferimenti idealtipici servono , forse in primo luogo, a
misurare gli equilibri in paesi e tempi diversi: e suggeriscono la conclusione che oggi il
principio monocratico tenda a prevalere sullaltro. E, a questo proposito, bisogna
anche dire che il trend sembra da tempo in atto.
Già nei primi anni venti Bryce concludeva la sua grande ricerca comparata sulle
democrazie rilevando la tendenza ad affidare il governo ad uno solo, o assistito da pochi.
Sembrava che ciò assicurasse quei vantaggi di cui sopra si è detto, specialmente
importanti in tempi critici. Dopo la seconda guerra, Calamandrei ed altri facevano notare
che le democrazie che avevano resistito ai fascismi, e li avevano vinti, erano incentrate
in ruoli monocratici di leadership istituzionale ( e per questo raccomandava agli italiani
di darsi una repubblica presidenziale). Il trend ha operato, in modo discontinuo e
disuguale, anche nei decenni successivi . In alcuni casi, sono riuscite determinanti
condizioni particolari di crisi (così gli obblighi della guerra fredda e
dellegemonia mondiale hanno da decenni provocato la preminenza del presidente Usa
sul congresso). Ma in generale la mole crescente degli impegni, lesigenza di un
agire coerente lurgenza di decisioni efficaci - insomma la necessità dun
governo che governi - hanno condotto quasi tutti i paesi occidentali al rafforzamento
dellesecutivo e della posizione del suo capo particolarmente, sia pure con
elaborazioni diverse della costituzione, dei regolamenti, delle leggi elettorali.
De Gaulle, che ha compiuto la più radicale riforma in questo senso, con la V repubblica unicipite
in lui presidente incentrata, riassumeva il senso storico delloperazione
affermando che il nuovo regime era alfine adeguato alle richieste "que la vie rude
et rapide du monde moderne impose à un grand Etat"; un mondo ostico e pericoloso
in cui la Francia sotto il "regime dei partiti" semplicemente "ne
pourrait survivre". Credo che esprimesse in sintesi la convinzione profonda di
coloro che, oggi, vogliono una "repubblica unicipite", con un presidente
o premier eletto dal popolo e con incisivi poteri di governo. Tuttavia quelle parole
accentrate sui vantaggi strutturali del regime lasciano in ombra la "componente
soggettiva" della personalizzazione della leadership, di cui pure il generale era
acutamente conscio - e su cui proprio studiosi del suo potere hanno insistito. La scelta
diretta in base a fiducia personale di chi governerà rappresenta per i cittadini
una riappropriazione della politica che la delega ai partiti aveva loro sottratto;
pertanto conferisce legittimità al leader eletto, da un lato, e, dallaltro,
ridetermina la identificazione del cittadino con la cosa pubblica. Qui, di nuovo, ha
contato il progresso tecnologico delle comunicazioni e della tv specialmente: ha reso
possibile quel rapporto diretto, personale con il leader nazionale - sopra la testa degli
"intermediari", come diceva Ostrogorski - che esalta lelemento soggettivo
della personalizzazione.
Il partito del leader
Il trend in atto e la scelta consapevole di coerenti riformatori sembrano dunque mirare ad
un equilibrio democratico caratterizzato da una posizione più forte del leader di
governo, sulla base del rapporto con il popolo che lo elegge e su di lui esercita il
decisivo controllo politico nelle elezioni generali. Si parla specificamente della
posizione del leader rispetto al suo partito (come partito di maggioranza in un sistema
bipartitico), al parlamento, al governo, allopinione pubblica, per poter governare
inimpedito in conformità agli impegni assunti con lelettorato e ai dettami della
sua coscienza politica. È da rilevare qui che anche il paese più restio, per
lovvia resistenza dei molti partiti e dei loro parlamentari, lItalia, con
leggi sulla presidenza del consiglio e il governo, revisione dei regolamenti parlamentari
e innovative pratiche di comunicazione pubblica sviluppate dal presidente del consiglio
(di tutto ciò tratta anche Calise nellultimo capitolo del suo libro) abbia mirato a
rafforzare lesecutivo e soprattutto il suo capo al crocevia dei rapporti
politici principali: con il parlamento, il governo, lopinione pubblica. Mentre, per
oggettive difficoltà, resta da costruire il "partito del leader". Ma è
significativo che, in occasione dellultima crisi di governo, i principali giornali
(" Il Corriere della Sera, La Repubblica" ) scrivessero di sforzi intensi per
costruirlo - forse tardivi o immaturi a quel punto.
Un governo forte
Naturalmente la personalizzazione della leadership pone interrogativi di varia natura .Qui
sarà soltanto possibile accennarne alcuni forse più pertinenti al caso italiano ,con
qualche elemento per una risposta positiva. Il primo mi sembra anche centrale. E
opportuno che questa tendenza abbia successo, dando luogo - in Italia - a quella che, per
comodità, chiamerò ormai la "repubblica unicipite"? Credo vi siano
alcuni elementi per una risposta affermativa . Innanzitutto, nei cinquantanni
trascorsi si sono accumulati problemi (si veda, come esempio, il campo decisivo della
formazione e della ricerca) che attardano la marcia del Paese: non riusciamo a tenere il
passo degli altri. Nessuno potrebbe negare le responsabilità, in opere ed omissioni, dei
governi, dei parlamenti, e dei partiti che li hanno espressi. Che la soluzione debba
partire da una riforma politico-costituzionale e implichi un ulteriore rafforzamento
dellesecutivo e del suo capo in particolare è generalmente ammesso, anche se non
pochi (leader dei partiti minori in primo luogo)vorrebbero che la medicina fosse quanto
più blanda gli riesce.
Laltro e concomitante argomento è offerto dalla mondializzazione con i suoi nuovi
problemi: da quello della competitività a quello delle immigrazioni di massa, peraltro
connessi strettamente . LItalia è parte dellEuropa: però, se non riuscisse a
fare bene la propria parte, pagherebbe salato di suo, in termini di benessere, ma con
conseguenze assai estese. La sfida della mondializzazione richiederà una riorganizzazione
onnilaterale del sistema-paese; e poi quella guida coerente e decisa, in base a una
visione dassieme, cui si accennava poco sopra. La risposta alla mondializzazione
implicherà anche un mutamento di clima culturale interno , con un ritorno forte ai valori
della lotta (competitività) e delleccellenza. Ebbene, i dati dellesperienza
(non solo italiani) fanno ritenere che, in unimpresa di quella mole e complessità,
la repubblica unicipite avrebbe maggiori chances di successo rispetto a
questa repubblica parlamentare e multipartitica. Perché non darsi tempestivamente lo
strumento migliore, fondato sulla personalizzazione?
Per i democratici più timorosi aggiungo unosservazione: al di là dei costi già
previsti, lincapacità politica di far fronte significherebbe da ultimo la vittoria
del Mercato e del pensiero unico che predica il mercato, non la democrazia, come
"condizione sociale naturale". Il secondo interrogativo è anche il più
discusso. Non cè il rischio che uno stato democratico fondato sulla
personalizzazione (della leadership) diventi autoritario, o comunque non democratico per
qualche aspetto? Lesempio degli Usa e, ora, anche della V repubblica francese viene
addotto per dimostrare il contrario; e, sotto un certo profilo, anche il caso inglese. La
tenuta democratica complessiva di quei paesi sembra innegabile. Vero é però che
lesempio vale fino a un certo punto. Là si è sviluppato un equilibrio
istituzionale rassicurante e, soprattutto, una forte cultura democratica. Oggi, ad
esempio, sembra impensabile che un premier inglese possa violare certe regole. Ma bisogna
ammettere che il passaggio dalla nostra repubblica dei partiti alla "repubblica unicipite"
sarebbe in qualche misura problematico.
Credo si debba qui riprendere una riflessione già più volte formulata. Per la sicurezza
democratica è fondamentale che, nella "repubblica unicipite", il
ruolo del leader di vertice sia istituzionalizzato, con forza e chiarezza: nella forma
della repubblica presidenziale o del premierato elettivo. Il pericolo sta nelle soluzioni
a mezza via (tipo la semplice indicazione del premier, o anche il cancellierato in
presenza dun multipartitismo come il nostro): per cui il leader riceve dalle leggi
parte delle attribuzioni necessarie, e in parte se le deve procurare da sé, magari
pressato dalla situazione e dallopinione pubblica che urgentemente reclamano
effettivo governo. In quellambigua situazione, quasi si impone il ricorso agli
strumenti surrettizi della corruzione, dellintimidazione, dei compromessi, che
ledono la democrazia. E tanto peggio se il paese non ha una forte tradizione o, comunque,
una cultura democratica.
La fiducia dellelettorato
Da ultimo occorre chiedersi quale modello di relazione fra leader ed elettorato possa
attuarsi con il crescendo della personalizzazione e la sua probabile
istituzionalizzazione, tenendo conto di esperienze altrui e di intenti già noti. Molti
dati sembrano indicare una diffusa depoliticizzazione dellelettorato italiano. La
caduta della partecipazione al voto ne è forse la manifestazione più concreta . Ma polls
e ricerche mostrano anche una fiducia assai bassa nelle istituzioni, nei partiti e nel
parlamento in specie . Inoltre il cittadino che non ha ancora abbandonato il suo ruolo
politico, tende a rifiutare i programmi generali dantan (che daltronde
avevano un significato eminentemente rituale ), per rifugiarsi o in valori extra-politici
(come lambiente) o negli interessi che lo toccano personalmente. Anche per questo i
partiti gli appaiono come strumenti politici inadeguati e inadattabili (considerando sia
le strategie di voto pigliatutto sia le strategie parlamentari sciolte dallimpegno
elettorale ). Perciò due diffusi pronostici sembrano doversi attuare. Primo: il
rafforzamento della personalizzazione di vertice, come unico rifugio possibile
della fiducia. Secondo: lo sviluppo di associazioni, lobbies e movimenti (single-issue
movements) per la difesa di ben precisati interessi.
Anche gli sviluppi nel campo delle comunicazioni potranno facilitare considerevolmente
questi sviluppi, a partire dalla formazione di gruppi autoselezionati dinteresse. Se
la spinta della personalizzazione avrà prodotto un adeguamento del sistema politico, il
candidato presidente o premier, per essere eletto, dovrà farsi riferimento privilegiato
di interessi compatibili e di organizzazioni (lobbies, movimenti, o che altro) che
già li rappresentano, ma elevando quella pluralità di interessi ad una sintesi
superiore, che costituisca un progetto nazionale. Deve cioè creare unarea
politico-culturale, definita in ultima analisi da valori che trascendono gli interessi.
Quanto ai (residui dei) principali partiti, contribuirebbero certamente ad innervare
larea politico-culturale. Ma il candidato presidente o premier ne è lautore,
e il garante. E' il portatore della fiducia collettiva.
Naturalmente questo schema richiama anche il meglio dellesperienza americana . Ma è
da dire che sembra pure aver ispirato qualche progetto politico in Italia, a testimonianza
di una realtà in movimento. Il superamento dei partiti con "perdita graduale di
sovranità" ipotizzato dai Democratici ,per esempio, avrebbe luogo a favore di
unentità nuova mal precisata, che però sembra identificarsi con larea
politico-culturale di cui parlavo. Al centro di quella trasformazione starebbe il leader
nazionale portatore attivo del progetto, e soprattutto della fiducia del seguito. La sua
posizione di vertice, infatti, sarebbe legittimata da un sistema di primarie ( di
"riconoscimento"), come premessa dellelezione diretta a capo del governo
in forme non ancora definite. Infine, il processo di selezione verso i vertici monocratici
sembra specialmente "su misura" nella società di massa, anche per il
coessenziale bipartitismo.
Questo è vero soprattutto al livello nazionale. Con decine di partiti che presentano
frotte di candidati al parlamento italiano, il comune elettore, che non ha tempo e modo
per indagini approfondite, vota in pratica per degli sconosciuti; e gli effetti si vedono.
Dovendo invece scegliere fra appena due (o forse tre) candidati alla presidenza della
repubblica o alla premiership , come accade in una "repubblica unicipite",
tutto cambia . Per mesi lattenzione dei media e dellopinione pubblica si
concentra sui due antagonisti , considerati sotto ogni aspetto; e la campagna stessa si
organizza inevitabilmente in una serie di prove atte a vagliare il possesso delle qualità
di leadership che la carica richiede. E' vero che team di consiglieri lavorano per
costruire una immagine pubblica del candidato sulla misura del suo elettorato, e che il
pericolo dinganno sussiste .Ma è anche vero che - come anchio ho cercato
altrove di mostrare - le risorse della società moderna, dalle università ai media ,
consentono di rendere molto puntuali e stringenti gli scrutini dei candidati alle cariche
monocratiche di vertice . Scrutini seri per le cariche pubbliche non potranno mai aversi
nel sistema politico che ci è più familiare, per quanto lo si possa correggere.