Giuliano come Cavour?
Giancarlo
Bosetti e Luciano Cafagna
Articoli collegati
Giuliano come Cavour?
Se lanima è morta ridateci la politica
Che fare? Un direttorio
Vecchi partiti siete solo un intralcio
La personalizzazione? Una tendenza
inarrestabile
Budda disse: Chi non si accorge del pericolo merita
di morire
Letti per voi/"Così rilancio il centrosinistra"
Letti per voi/"Non posso accettare offerte
politiche"
Questo articolo è apparso sul numero 60 di Reset, attualmente in edicola e in libreria
Che fine ha fatto il "valore aggiunto della politica", il fascino della grande
politica, quel suo carattere di opera darte che richiede la mobilitazione delle
migliori risorse umane: intelligenza, coraggio, fantasia, spirito di iniziativa, visione,
dedizione, autonomia di giudizio? Vi ricordate quelle "gran cose" di cui parlava
il Machiavelli, riferendosi a quegli obiettivi di eccezionale importanza, di tale
importanza che si pone addirittura il problema di giustificare, se e quando giustificare,
limpiego di mezzi moralmente discutibili? Parole grosse, cose di altri tempi,
spropositi se avvicinati alla nostra politica di oggi, che di "valore aggiunto"
sembra averne poco.
Quasi sempre si vede bene, benissimo, il "valore aggiunto" che la politica ha
per chi la fa: essa produce comunque fama, visibilità, riconoscimento. Essa
gratifica anche i suoi eletti (in Parlamento, nei Consigli regionali, nei seggi europei)
con un miglioramento di status e di reddito (salvo quando non siano proprio ricchi di
famiglia), stimola abbellimenti sartoriali, regala frequenti comparizioni mediatiche. Ma
tutte queste cose insieme spesso non bastano a giustificare, agli occhi dei concittadini,
il costo elevato di un ceto politico e del suo cabotaggio. Da quando il centrosinistra ha
raggiunto la meta dellEuro, continuiamo a non vedere bene il senso di un compito, di
una missione, di un altro traguardo da conquistare, e che sia interessante per tutti noi.
Le élites politiche italiane sono notevolmente incarognite nelle risse che contrappongono
non solo destra e sinistra, ma anche i vari gruppi, partiti e correnti, lun contro
laltro armati, e i numerosi aspiranti leader; hanno laria molto indaffarata;
si commentano reciprocamente tutti i giorni, con accanimento.
Il deficit sta da unaltra parte: riguarda la mancata comunicazione del perché tutta
questa movimentata scacchiera dovrebbe essere interessante per noi. Non è una mancanza da
poco. Tenete presente poi che non si può dire che le cose vadano così splendidamente da
poter fare a meno della politica. Lidea che basti mollare le briglie del fisco e che
subito vedremo leconomia e la società italiana mettersi a volare è il cuore della
filosofia di Berlusconi. Riuscirà probabilmente a convincere una buona parte degli
italiani, perché non tutti sono tenuti a sapere che negli Stati Uniti si spende per la
ricerca una percentuale del reddito lordo doppia rispetto alla nostra, o che il livello di
formazione è spaventosamente più alto che da noi: quasi tutta la popolazione attiva ha
listruzione superiore, da noi solo un terzo. LItalia arriva nellera
digitale per il rotto della cuffia e con le toppe al sedere.
Fortunatamente per tutti nel 96 vinse le elezioni la formazione più credibile e
più europeista, quella dellUlivo. Così non siamo rimasti tagliati fuori. Poi
però, raggiunto il bersaglio, le cose sono andate come sappiamo. Per farla breve, la
destra recita la parte ormai classica dello spontaneismo socio-economico, di taglio
neoliberale (lasciamo stare adesso se il coro sia davvero intonato, allopposizione
le differenze si vedono meno, e mettiamo tra parentesi il conflitto di interesse e la
linea dura contro i giudici): rappresenta lantipolitica. Lala sinistra è
diventata il regno dei particolarismi, dei personalismi e delle eredità segmentate di una
storia complicatissima e, a quanto pare, impossibile da ricomporre. Dopo la caduta del
governo DAlema, chi potrebbe tentare limpresa di rimettere insieme i numerosi
cocci del centro-sinistra? E come?
Tale appariva la difficoltà dellimpresa che Giuliano Amato, che la buona sorte e il
presidente Ciampi hanno portato a Palazzo Chigi, aveva cominciato a invocare un nuovo
Cavour fin dallo scorso gennaio. "Combinare i particolarismi con una grande azione di
leadership", questo il compito che descriveva in una intervista a Dario Di Vico per
il "Corriere della Sera". Che aveva saputo fare il conte centocinquantanni
fa? "Far funzionare come oro i materiali più vili, esaltando le caratteristiche del
paese". Ecco dove sta il "valore aggiunto" della politica. E se tutta la
vita consiste nel risolvere problemi, come sosteneva paradigmaticamente Karl Popper,
risolvere problemi consiste quasi sempre nel "fare di necessità virtù". Eccola
lì la funzione dei grandi politici: De Gasperi nel dopoguerra non aveva a disposizione i
capitalisti dellOlanda calvinista, ma il generone romano e la borghesia nera che
stava dietro alla Dc. Eppure li fece entrare nel sistema democratico. E anche Togliatti -
è sempre Amato che parla - non realizzò unimpresa da poco, "portò nell'alveo
della democrazia rappresentativa gente che aspettava il potere proletario". Anche lì
"valore aggiunto della politica", altro che spontaneismi.
Lo stesso dicasi per lingresso in Europa: la marcia forzata di Maastricht, con la
catena delle grandi manovre finanziarie ha avuto quasi un ritmo giacobino. Labilità
con cui gli italiani hanno utilizzato lEuropa per emendarsi da alcuni propri
inguaribili vizi ricorda gli stratagemmi del primo ministro di Vittorio Emanuele II. E
dobbiamo limpresa a una leadership multipla: Prodi, Scalfaro, Dini, Ciampi,
DAlema, Veltroni e lo stesso Amato. E adesso a che ci servirebbe Cavour? E chi
candidiamo al ruolo? A colpo docchio si vedono tre giganteschi obiettivi collegati
tra loro: a) entrare nel mondo della nuova economia come attori di qualche rilievo e non
come una colonia dei paesi più potenti, b) riordinare e semplificare il paesaggio
politico italiano unificando il centrosinistra, c) impedire ancora per qualche anno che il
governo finisca nelle mani di un gruppo di scarsa affidabilità come quello di Berlusconi.
Amato in quella intervista pensava ai nuovi "miracoli" di cui lItalia
avrebbe bisogno, anche perchè aveva sotto gli occhi il "Cavour" di Luciano
Cafagna (il libro che era appena uscito da Il Mulino), ovvero "lartefice del
primo miracolo italiano", che fu la creazione politica dellItalia stessa.
Nella sua breve stagione politica (dal 1848 al 1860, anno della sua prematura morte),
brevissima se paragonata a quella di tanti politici italiani del dopoguerra, in dodici
anni Camillo Benso conte di Cavour riuscì a cogliere un "varco" che era offerto
dalla transizione europea verso nuovi equilibri. Pur senza disporre di un suo movimento, a
differenza di Garibaldi e di Mazzini, e tenendo in equilibrio le aspirazioni della
monarchia sabauda con la popolarità delle camicie rosse, egli riuscì a usare le forze a
disposizione, giocando la sua partita in una specie di soliloquio. Vedeva chiaro un
disegno, lItalia, nel quale non credeva nessuno in Europa e giocò la sua
"grande partita" usando la risorsa della "mediazione", che ebbe una
funzione determinante e superiore. Se oggi si trovi o no un "varco" per uscire
dalla strettoia, se abbiamo a disposizione qualche Cavour o soltanto dei Solaro della
Margherita è questione che abbiamo voluto approfondire con lo stesso autore del "Cavour".
Bosetti - Non so se abbiamo problemi difficili come quelli che aveva davanti Cavour.
Comunque anche noi abbiamo da risolvere la questione di "convertire il mondo moderno
in mondo nostro", secondo la espressione di Carlo Cattaneo, che tu citi nel tuo
libro. Si può certo discutere e molto circa quel che vuol dire oggi "moderno",
ma qui contentiamoci di indagare se esiste un "varco" come quello che Cavour
trovò nella transizione europea. E se esiste un candidato Cavour. Si capisce che il primo
indiziato per questa parte è il primo ministro in carica, Amato. Non ha un movimento che
lo sostenga, non è né Ds, né popolare, e nemmeno con lAsinelllo, così come
Cavour non era né un garibaldino, né un mazziniano (e certo non stava neanche con Pio
IX). Vuoi vedere che questo lo mette in una posizione virtuosamente più favorevole per
radunare la quindicina di pezzi sparsi del centrosinistra?
Cafagna - Accetto il gioco, con qualche comprensibile riserva. Ma devo intanto
realisticamente prendere atto che lindiziato Cavour, alla ricerca del
"varco", ha preso, sì, possesso della carica di primo ministro, ma ha perso il
primo round, facendo troppe concessioni ai vari pezzi della coalizione nella composizione
del governo. Avrei sperato che potesse porre condizioni più ultimative, che avesse un
maggiore potere del tipo "aut-aut" sui partiti, parlando come un incaricato del
quale si sapesse che, se non fosse riuscito lui, sarebbero state inevitabili le elezioni.
A meno che non ci fosse in realtà qualche margine effettivo per una candidatura
alternativa, nel caso lui fosse fallito nellincarico. In questi casi conta molto
quello che dice il presidente della Repubblica: se questi fa capire o no che quella è
lultima possibilità prima del ricorso alle elezioni.
Bosetti - Ora stiamo parlando della ricerca di un "varco" attraverso il quale
risolvere alcuni problemi cronici del sistema politico italiano e di dare risposte nei
fatti ad alcuni grandi enigmi italiani: perché il composito aggregato dellUlivo non
riesce a diventare veramente una federazione, anche se se ne parla, se ne parla? Perché i
Ds non riescono a prendere le dimensioni elettorali di un grande partito socialista?
Perché non si riesce a fare una legge elettorale un po meglio di quella attuale? Ma
poi mi chiedo se non stiamo esagerando con i paragoni storici. Dopo tutto forse non è il
caso di fare tragedie. Cavour si trovò di fronte problemi di molto maggiore momento.
Pensiamo che lItalia avrebbe facilmente potuto non nascere.
Cafagna - E Cavour invece riuscì a compiere il miracolo. La ispirazione del mio libro
nasce dal desiderio di rivendicare le ragioni della politica in un clima culturale come
quello italiano nel quale sta montando da anni una svalutazione radicale della politica.
Di mostrare invece quali potenzialità abbia larte della politica, quando è arte,
il che, certo, non è sempre, ma neanche mai! Se ben manovrata una grande quantità di
fattori particolari ed eterogenei può essere volta in una cospirazione che può portare a
risultati altrimenti impossibili e purtuttavia importanti, necessari, desiderati. Lo si
può chiamare "valore aggiunto" della politica, con metafora un po gelida,
benché efficace, tratta da una categoria economica: io preferisco parlare di creatività
della politica.
Bosetti - Un risultato, nel caso di Cavour, che Bossi e i leghisti avrebbero per altro
voluto non avvenisse. Cè una robusta tradizione al nord: Garibaldi, Vittorio
Emanuele, Cavour, i Mille, tutto sbagliato. Era meglio, in sostanza, che non si fosse
fatta lItalia. E così oggi, con lEuropa monetaria, potrebbe anche
sciogliersi.
Cafagna - È superficiale qualunquismo retroattivo. Non è chiaro in che ottica si muovano
oggi Bossi e coloro che pensano in questo modo. Io penso che si illudano se pensano a un
regionalismo europeo e se immaginano un futuro politico del settentrione italiano basato
sulla unione con altre aree forti del continente e separato dal resto del paese. Non si
devono confondere i prevalenti legami economici europei del Nord Italia con la realtà e
le esigenze della politica, con la forza nazionale della cultura. Un disegno politico di
questo genere non avrebbe funzionato nellOttocento e non può funzionare neppure
oggi. Allora era evidentemente impossibile per il Nord procedere da solo. Quella di
realizzare lunità nazionale, anche se per molti aspetti non era ancora maturata a
sufficienza, fu una necessità che derivava prima di tutto da ragioni internazionali e che
si rese evidente proprio in corso dopera. Senza lItalia unita ci sarebbe stata
una Italia del nord circondata, e subordinata allo straniero. Uno Stato del nord non
avrebbe avuto la forza sufficiente per essere davvero indipendente e la presenza straniera
- non solo austriaca, ma francese, inglese... - sarebbe stata molto pesante anche se più
concorrenziale: vecchia storia di "franza o spagna..." del resto, almeno dai
tempi del Machiavelli... Il regno di Napoli non aveva forza alcuna per esistere come
realtà autonoma e sarebbe diventato una pedina in questo gioco. La costruzione
dellunità italiana rispondeva dunque alla necessità di una dimensione minima per
lesistenza internazionale, assai più che alla necessità della formazione di un
mercato nazionale. Anche gli statisti successivi a Cavour se ne resero sempre conto. E la
validità di quel ragionamento non è venuta meno neppure oggi. Nel momento in cui
lItalia fosse fatta a pezzi, non è detto che non si riprodurrebbe una
subordinazione, in forme certo nuove, delle regioni italiane ad altri paesi europei. Siamo
sempre in una Europa delle nazioni, in cui sono sempre i grandi soggetti nazionali a
condurre il dialogo. Si modificano profondamente natura e contenuti di questo - grazie a
Dio - ma non i soggetti. E lItalia deve potere accrescere la sua presenza in tale
dialogo, non ridurla.
Bosetti - Per restare nel nostro tentativo di analogia storica, si può intravedere oggi
un varco paragonabile a quello che si aprì negli anni in cui venne realizzata
lunificazione?
Cafagna - Prima di vedere se cè o no effettivamente un varco sarà bene chiedersi
se cercarlo sia necessario o no. Bene, noi stiamo vivendo una situazione che, ancora una
volta, e nonostante tutto quello che si dice sulla maturazione della società civile, non
ha la forza di autorisolversi con le sole forze di questa. Ed è questo che pone un
problema di necessità della politica. Se non cè uninvenzione politica da
questa situazione non usciamo. Così, dopo la "obiezione Bossi" - che tu mi hai
voluto ricordare - vediamo quella che potremmo chiamare la "obiezione
Berlusconi". E che è un po questa: la società civile ce la fa da sola. Il
senso del berlusconismo è proprio questo: la politica è solo una palla di piombo al
piede della società. In questo - se vuoi paradossalmente, ma neanche tanto - è
Berlusconi, non Di Pietro il vero erede e beneficiario dellondata qualunquistica
prodotta dal giacobinismo giudiziario. Si è formata e consolidata una pregiudiziale
antipolitica, che fa affidamento sulle sole risorse della società civile. Ed è pur
logico che lo sbocco, per una opinione pubblica di gente che lavora, sia questo: non può
certo desiderare un regime permanente di tricoteuses o di frati
savonaroliani...
Bosetti - Ma è anche il frutto di una cattiva politica.
Cafagna - Certo, una cattiva politica produce cattivi effetti, e non è quella che bisogna
difendere. Ma io credo che si sia perso di vista che molta "cattiva politica" è
stata il residuo, la scoria, di una politica difficile, difficilissima, che, però ha
svolto la sua parte. Questi signori della "società civile" dimenticano il
livello che avevano raggiunto le tensioni sociali negli anni sessanta e settanta, come
effetto di una crescita enorme e "tumultuosa", come allora la si definiva. Fu la
politica a governarle: la "società civile" - che quella crescita aveva
prodotto, ma anche i suoi guasti - non ce la avrebbe fatta davvero da sola. Fu una
politica in parte felice e in parte infelice. Una politica che dovette lavorare molto
spesso "a credito" facendo, come si dice, molti "buffi", non solo
strettamente finanziari. E il debito che si contrasse allora non é ancora completamente
saldato. Abbiamo ancora una eredità negativa, un debito da sistemare, per il modo in cui
furono risolte - ma lo furono! - le terribili tensioni sociali di quei due decenni. È
questo che richiede ancora un ricorso eccezionale alle energie della politica.

Bosetti - Alludi al debito pubblico?
Cafagna - Alludo al debito pubblico, ma non solo. Ci sono gli strascichi di una lunga
inflazione. Cè la pesantissima pressione fiscale. Ci sono tutti gli altri prezzi
pagati per mantenere la pace sociale, creando o conservando centinaia di migliaia di posti
di lavoro al di sopra delle necessità produttive: ferrovieri, postini, statali,
parastatali, siderurgici e altri settori delle partecipazioni statali. Cè stata la
proliferazione patologica di forme di stato sociale che non erano certo le più
universalistiche, le più razionali o le più eque, come le pensioni di invalidità
improprie, i diritti al pensionamento in età relativamente giovane, i modi di calcolo non
rapportati alla contribuzione effettiva. Ci sono state le concessioni straripanti a
piattaforme sindacali anchesse non certo universalistiche, nonostante la demagogia
egualitaria di quei tempi: quando è calato il sipario, infatti, ci si è accorti di
quante ineguaglianze nuove si erano create. Ma quando noi oggi cerchiamo di guardare
lucidamente a queste cose e al debito verso noi stessi e verso le generazioni future che
allora abbiamo contratto (e ancora non lo facciamo abbastanza) ci fermiamo a guardare solo
metà della realtà di cui esse furono parte. Laltra metà è il risultato -
politico - che comunque venne raggiunto: il controllo delle tensioni sociali, il
ripristino di una governabilità senza la quale neanche la "società civile"
può sopravvivere.
Bosetti - Fu una vincita in rosso, per usare la tua metafora in Cavour?
Cafagna - Proprio così. Si sarebbe potuto fare meglio? Certamente. Lanomalo
contesto italiano - tema sul quale non è necessario ripetere cose mille volte dette -
consentiva però pochi margini. Entro quei margini una certa capacità creativa della
politica, però, non perdiamolo di vista, ci fu. Senza quella - compromesso storico,
consociativismo, governabilità craxiana: se ne dica pure tutto il male che si vuole -
dove saremmo? Non certo in Europa. Ma proprio per allargare quei margini si pose il
problema di una riforma politica, di una riforma istituzionale. (Giuliano Amato fu tra i
primissimi a enunciare lucidamente questo problema, già negli anni settanta). Ma questo
secondo tempo non venne mai. Abbiamo avuto la crisi del sistema politico
"anomalo", non la sua riforma.
Bosetti - Bene, ma allora , in questa situazione cè, secondo te un
"varco", uno spiraglio attraverso cui passare, un appiglio oggettivo sul quale
costruire una politica che ci tiri fuori dal pantano?
Cafagna - Credo che un "varco" importante ci sia, e sia offerto dallEuropa
comunitaria. Negli ultimi quindici anni, soprattutto dal tempo di Delors la
modernizzazione italiana ha fatto dei passi avanti proprio sotto la spinta delle
sollecitazioni comunitarie che hanno costretto ad abbattere molte vecchie impalcature. Uno
dei primi a rendersene conto lucidamente in Italia è stato proprio Giuliano Amato.
Ricordo una sua relazione al congresso dei costituzionalisti di Ferrara, nel 1990, mi
pare, e che fu poi pubblicata sulla "Rivista trimestrale, in cui si descriveva come
stesse cambiando la nostra costituzione materiale economica per effetto della spinta
europea. Tante cose che stiamo facendo vengono di lì, a cominciare dal risanamento
finanziario. Di lì ci viene la sollecitazione, lautorità stessa ad agire nei
confronti della nostra opinione pubblica interna, e, infine, con lunificazione
monetaria, addirittura, un abbattimento del debito alimentato dalla necessità di pagare
alti interessi.
Bosetti - Proprio come quando, nel Risorgimento, con laiuto esterno della Francia,
fu possibile vincere lesercito austriaco?
Cafagna - Se proprio vuoi insistere su queste analogie, sì. Con le magre forze dei
piemontesi o dei garibaldini non si poteva certo farcela. I garibaldini potevano far fuori
lesercito borbonico, non quello austriaco. La strategia europea di Cavour permise il
successo. Poi, però, restano sempre i problemi della gestione interna di successi del
genere. Garibaldi poteva sconfiggere i Borboni, non dominare il brigantaggio.
Bosetti - Ricordo un libro di Gianfranco Pasquino in cui si sottolineava come il sistema
politico italiano si muove solo sotto spinte esterne: lEuropa e i referendum.
Cafagna - Beh, sì, i referendum sono un po come i garibaldini...Pannella e la
Bonino sono i garibaldini dei nostri anni. Poi, però, ci vuole qualcuno che ne raccolga
il successo e lo renda istituzionale...E finora non si è ancora trovato, da noi, il
Cavour che, usando strategicamente, aggressivamente e unitariamente tutte queste diverse
sollecitazioni, esterne e interne, crei il nuovo miracolo. Il guaio è che invece si rema
controcorrente e, per esempio, al referendum Segni , segue una specie di controriforma
parlamentare. Giorgio Napolitano su "LUnità" del 4 maggio, ha ricordato
come, in sede parlamentare, i partiti, in controtendenza rispetto allesito di quel
referendum, si siano assegnati risorse, si siano dati regole per accedere ai
finanziamenti, con le quali la frammentazione, che dovrebbe essere disincentivata, viene
invece incentivata.
Bosetti - Come può essere forzata allora questa situazione?
Cafagna - Nel 92-93, che cosa diede ad Amato il potere di prendere certe
decisioni di cui il Parlamento, in condizioni normali, non sarebbe stato capace? Lo stato
di necessità e lo stato confusionale politico-parlamentare di quei mesi. È cosa non
gradevole a dirsi, e certamente non se ne deve parlare con intenti e spirito
antidemocratico: ma è un fatto che noi abbiamo avuto i nostri migliori governanti - gli
Amato, i Ciampi, i Prodi - quando la classe politica rappresentativa tradizionale era in
difficoltà. Abbiamo avuto i migliori statisti quando cera la paralisi del
parlamento. Questo rivela la insostenibile patologia della nostra democrazia e spiega la
necessità di una riforma politica istituzionale. Finché non si riuscirà a produrre
questa non possiamo fare altro che sperare paradossalmente che le difficoltà decisionali
del Parlamento producano spazi di manovra per statisti capaci, con il sostegno del
presidente della Repubblica, di affrontare i problemi di sostanza, con ampie deleghe di
fatto. Oggi, per esempio, si sta creando una nuova emergenza. Stiamo andando verso uno
stato federalista, sia pure alla tedesca, è un momento di innovazione enorme, ma chi
gestirà al centro questa transizione? Può davvero finire a sfascio.
Bosetti - Sei di quelli che pensano che i piemontesi ci vogliono sempre?
Cafagna - No, ma se i piemontesi si devono ritirare si devono ritirare in ordine. Se no è
il disastro
Sotto la spinta della doppia frammentazione, verticale e orizzontale,
può andare in pezzi tutto.
Bosetti - Ma allora avrebbe ragione Berlusconi che vuole nuove elezioni, governanti
autorevoli perché legittimati, freschi, "di giornata", dagli elettori.
Cafagna - Ci vogliono soprattutto dei governanti che sappiano governare. La paura che mi
mette Berlusconi è proprio questa, la mancanza di professionalità nel governare. Gran
parte dellelettorato del centro-destra è vittima di un tragico equivoco. Il primo
miracolo in cui bisogna sperare per il futuro è che se ne accorga in tempo. In che
consiste questo equivoco? Nel credere che il paese abbia bisogno di meno politica. Perciò
si vuole Berlusconi che rappresenta lantipolitica. E invece è vero il contrario:
mai come oggi il paese ha bisogno di politica, ma di quella vera, non della politique
politicienne, non della politica di chi non ha idee e visuale ma solo interessi o,
dallaltra parte, residui di droghe ideologiche rottamate. Non sono tempi nei quali
per governare possa bastare la faccia sorridente e tonda di uno che ha altre vocazioni,
altri interessi, altri crucci. Questa è la prima ragione per cui considero Berlusconi un
pericolo grave. E visto che siamo in argomento, ti dirò la seconda, di queste ragioni, e
che va al di là di Berlusconi. Il rospo che si deve inghiottire per recuperare le perdite
della "vincita in rosso" di cui parlavamo prima non lo può gestire la destra:
deve farlo un centrosinistra. Se non ci fossero le - non sempre in buona fede - demagogie
di una parte della sinistra e una certa impreparazione culturale della stessa sinistra
semiriformista, lo si capirebbe meglio. Ma un buon governo di centrosinistra potrebbe in
qualche anno realizzare una riforma del malconcio "Welfare allitaliana" di
cui alla fine sarebbe contenta la stragrande maggioranza dei lavoratori, dei disoccupati e
dei pensionati. La destra non può farlo, perché non avrà mai la sensibilità giusta e
non avrà mai il consenso sociale che occorre. Cè una sinistra, in Italia, che non
vede lora di tornare alla opposizione e di riprendere il comodo ruolo di impedire
agli altri di governare...Ha esperienza e mestiere, in questo, lo sa fare con abilità.
Bosetti - Berlusconi potrebbe farcela solo cedendo il potere ad Andreotti...
Cafagna - La nostra è una situazione rovesciata rispetto a quella inglese. In Inghilterra
la sinistra può governare perché la destra ha sgomberato il campo dalle difficoltà. In
Italia, paradossalmente, la destra potrà farlo solamente quando la sinistra avrà fatto
altrettanto.
Bosetti - Stai dicendo che la sinistra serve ad aprire la strada alla destra?
Cafagna - No, non questa sciocchezza. Sto dicendo che tocca al centrosinistra, in Italia,
il compito storico di aprire le condizioni di un funzionamento normale di un sistema
bipolare di alternanza. Del resto DAlema aveva ben mostrato di capirlo con
lidea della Bicamerale. Solo che non ci è riuscito e, comunque, quella era solo
metà dellopera necessaria allo scopo: laltra metà è la creazione di una
finanza sociale sostenibile, compito che non può essere lasciato alla destra. I sindacati
non possono non capirlo. Purtroppo le tentazioni di tornare a situazioni con ridotta
responsabilità (non sarebbe giusto dire di "irresponsabilità") sindacale
possono essere fortissime. Il potere dei sindacati era maggiore quando la sinistra stava
alla opposizione. Ma come si può pensare che i sindacati possano preferire un governo di
destra? Pure, temo che a pensare questo non siano solo gli intellettuali come Asor Rosa,
che trarrebbero un sospiro di sollievo nel vedersi liberati dal disagio ideologico che
avvertono, ma anche operatori sociali come certi sindacalisti, affaticati da situazioni
troppo nuove e troppo impegnative
Oggi, se ti vogliono fare una manifestazione di
piazza ci devono pensare due volte; con un governo di destra ne farebbero una al mese. È
questa la tradizione massimalistica: offre la valvola di sfogo della gratificazione di un
impegno di massa: una grande "journée" di passione, la verifica dei muscoli di
un qualche potere di veto "tengono insieme" più del difficile lavoro per aprire
vie nuove.
Bosetti - Tornare alla opposizione sarebbe una liberazione
Cafagna - Sarebbe una iattura, per la sinistra e, in questa fase storica, per il paese,
vista la perdurante immaturità della destra. È una tentazione che deve essere evitata.
Ma al tempo stesso la sinistra deve essere unita su posizioni di maggioranza.
Bosetti - Nel modo in cui la presenti sembra la quadratura del cerchio.
Cafagna - Mi chiedo se non si debba lavorare per una maggiore articolazione del
centrosinistra. Lambizione di DAlema era egemonica, era una bella ambizione,
ma non ce la ha fatta. Ci voleva un grande carisma, una grande capacità di attrazione, ma
lui non è riuscito a costruirseli. È risultato che avevano più ragione gli ulivisti e
che sostituire Prodi era stato un errore. Si può ricominciare da capo con Amato? È una
impresa certamente eroica. Ci vuole virtù ma anche molta, molta fortuna. Lui ha
certamente le qualità per intessere un nuovo rapporto con la parte migliore del mondo
produttivo del Nord Italia e con lelettorato cattolico oggi spaccato in due. Ma il
tempo da tessitura è poco, e il tempo quotidiano é cosparso di ostacoli e di insidie.
Bosetti - Cosa intendi per "una maggiore articolazione del centrosinistra" ?
Cafagna - Un diverso rapporto, senza egemonie, con molto rispetto delle varietà, ma
varietà che si intreccino in un crogiuolo costruttivo in cui il dialogo si nutra di
futuro, nel presente si collabori con fiducia e senza distruttive litigiosità e il
passato possa essere sistemato pian piano con calma e comprensione, nel processo stesso di
costruzione di una nuova cultura della sinistra. Il leader dovrebbe potersi conquistare un
rapporto personale con tutte le componenti della coalizione, aiutandole a valorizzare
ciascuna le proprie vocazioni. I Ds devono dedicare più attenzione alla loro sinistra,
sia esterna che interna, non possono abbandonarla per strada, pensando che
lintendenza seguirà. Il maggiore dei grandi problemi del nostro futuro è quello di
ospitare alcuni milioni di immigrati e dare loro, a tutti gli effetti, una piena
cittadinanza. Sono loro i "più deboli" della nostra società. Cè di che
dire, su una materia simile, talmente tante "cose di sinistra" che Nanni Moretti
potrebbe doversi turare le orecchie per non diventare sordo. Ma sono cose da costruire sul
serio, con scelte fra obiettivi diversi e anche con sacrifici, misurandosi ogni giorno,
per molti lustri, con difficoltà e drammi di ogni genere. Il secondo grande problema del
futuro è quello di gettarsi a corpo morto per modificare profondamente quantità,
intensità, orientamenti, oggetti e metodi della formazione di giovani e anche meno
giovani perché possano inserirsi o reinserirsi nelle prospettive della nuova crescita, di
questa crescita che si nutre e si nutrirà di nuove tecnologie. Verso queste, del resto, i
giovani provano un interesse e un entusiasmo che è una forza della natura, da valorizzare
al massimo. Non è di sinistra questo? Se i più vecchi non capiscono queste cose, ebbene,
è di sinistra anche andare a cercarli e fare lo sforzo di spiegarglielo pazientemente.
Bosetti - Ma che rapporto hanno queste cose con larticolazione del centrosinistra?
Cafagna - Penso che lo abbiano, perché forse per la prima volta nella storia i problemi
della sinistra si presentano in modo tale da richiedere un vero pluralismo di vocazioni. I
verdi, per esempio, sono insostituibili: siamo in molti, anche non verdi, a capire e
sentire quelle loro ragioni, ma solo loro sanno suonare la campana dallarme in ogni
istante, come il problema ambientale richiede, anche se a volte, erroneamente, può
parerci ossessivo. Ma pensa soprattutto al mondo cattolico e alle enormi risorse, di cui
nessun altro dispone, per affrontare psicologicamente e materialmente i problemi della
immigrazione e anche, in parte, quelli formativi. Oggi cè una notevole sproporzione
tra la ripresa "sociale" della Chiesa cattolica e la capacità di iniziativa e
di presa politica dei cattolici italiani di sinistra. È un fatto che il passaggio dalla
prima alla seconda repubblica dal punto di vista politica comporta la sistemazione del
lascito democristiano che non è ancora completamente regolata fra centrosinistra e
centro-destra. Certo, facendo cadere Prodi si è fatto cadere un luogo di aggregazione che
permettesse di sviluppare questa forza cattolica di sinistra. Ma il problema resta. E per
quanto riguarda il mondo laico e socialista pensa alla elasticità culturale diffusa che
si richiede per affrontare i problemi di un riformismo moderno. Non ho bisogno di
continuare.
Bosetti - Potrebbe farlo Amato, potrebbe lavorare per ricucire la pezza rotta, ridare
respiro alla prospettiva di un cattolicesimo sociale di sinistra? Non sarebbe un po
curioso che a farlo sia un socialista?
Cafagna - No, ognuno deve fare la sua parte. Amato può assecondare e coordinare questa
convergenza di forse e può farlo con senso politico più empirico e meno astrattamente
strategico di un ex-comunista...
Bosetti - E i democratici di sinistra in tutto questo?
Cafagna - Sono la sinistra del centro-sinistra e non possono dimenticarlo. Ma, attenzione!
Non possiamo considerare più i partiti con la rigidità di una volta. Dobbiamo
considerarli, se mi consenti, questa metafora, in unottica cubista, come realtà
capaci di contenere anche più prospettive diverse in un mondo in complessa evoluzione.
Nei Ds cè molto vecchio massimalismo attendista ("aspettando la
rivoluzione"...) che deve ammodernarsi, ma cè anche una cultura originale che
si è costruita in una lunga e faticata esperienza un proprio approdo al riformismo: gran
parte del travaglio di questo neo-riformismo era dovuto proprio al desiderio di non
rompere il patrimonio unitario del coacervo togliattiano. In modo diverso e molto mutato
questo tipo di problema esiste ancora: ci sono gli scissionisti, ci sono gli
astensionisti, ci sono i mugugnatori interni. Il successo del centro sinistra dipende
anche dalla capacità di far attraversare il Mar Rosso a tutto questo esercito. E qui si
pone un problema. Il popolo comunista, in fondo, è forse più disposto ad accettare una
collaborazione con un governo di uomini di centro che non vedere i suoi uomini prendersi
una responsabilità in proprio. Può, in tal modo, riservarsi come alibi che i suoi uomini
farebbero diversamente, ma non hanno il manico in mano, il manico ce lhanno altri -
che magari sono i meno peggio del momento - e così possono trovare il modo per
giustificare il compromesso, La cultura del popolo di sinistra é disposta ad accettare il
compromesso imposto da condizione di rapporti di forza non il compromesso imposto da un
realismo economico-sociale ancora in gran parte estraneo a quella cultura. Realismo
politico sì - Togliatti riuscì a introdurre questo tipo di lezione - ma realismo sociale
no, realismo economico no.
Bosetti - Già. La compatibilità per la sinistra ingraiana era la retorica degli
avversari...
Cafagna - Forse la trasformazione di questo maggiore partito della sinistra italiana, di
origine comunista, sia pure, per qualche aspetto anomalmente comunista, vuole un processo
più lungo del previsto, e ci si può chiedere se non sia obbligato il passaggio per una
anticamera che sia di collaborazione a un governo di centro-centrosinistra e non di guida
diretta di questo. Un Veltroni dovrà inevitabilmente portare una maggiore attenzione alla
sua sinistra. Ed è bene che lo faccia un leader profondamente laicizzato come lui, capace
di capire come si devono trasferire , con pazienza, nuovi contenuti di sinistra in
orecchie spesso vecchie e troppo abituate, in perfetta buonafede, a refrain arcaici per
suonare i quali non esistono più nemmeno gli strumenti. Di qui, dunque, quella logica di
maggiore articolazione del centrosinistra, di cui dicevo. Che, però, ripeto, dovrebbe
essere articolazione di funzioni, in un ottica cubista che veda la compresenza di molte
prospettive, non una rigida divisione del lavoro fra partiti che, in tal caso,
correrebbero rischio di collisione, di scontro.
Articoli collegati
Giuliano come Cavour?
Se lanima è morta ridateci la politica
Che fare? Un direttorio
Vecchi partiti siete solo un intralcio
La personalizzazione? Una tendenza
inarrestabile
Budda disse: Chi non si accorge del pericolo merita
di morire
Letti per voi/"Così rilancio il centrosinistra"
Letti per voi/"Non posso accettare offerte
politiche"
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui
Archivio
Attualita' |