Dura madre
Francesco Roat
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Marcello Fois, Dura madre, Einaudi, pp.205,
L.22.000
Come capita con ogni noir ben riuscito, anche Dura madre di Marcello Fois
(Einaudi) non è soltanto un thriller, non può essere ricondotto banalmente allo
schema angusto del racconto macabro, del poliziesco allinsegna del nero.
Ovvio, la trama ha a che fare in primo luogo con lomicidio; con vari omicidi
assolutamente efferati. Cè - e a iosa - scialo di lutti, sangue,
"notturna" malvagità. Cè, intendo, un climax narrativo funereo
alla base di questo libro del quale la morte è la vera protagonista. Però, al di là di
ogni schematismo classificatorio di comodo, Dura madre mi sembra semplicemente un
romanzo ben scritto, coinvolgente, duro quanto si vuole, tuttavia mai incline a
compiacimenti raccapriccianti: alla retorica di genere, cioè.

Certo, la storia si apre con un cadavere. Ma, benché lucciso
giaccia in un lago di sangue e il suo abito sia crivellato di fori prodotti da un fucile a
canne mozze, il corpo non rivela ferite da proiettile. Siamo quindi subito di fronte ad un
enigma più che ad unatrocità. Ad un allestimento scenico da trompe-loeil
sin troppo palese; quasi lautore ci invitasse a badare ad altro, a seguire altro dai
particolari assai poco indiziari che Fois dissemina qua e là a sicuro sviamento di
lettore. Perché presto la vicenda si rivela collegata al passato remoto di una famiglia,
segnato sì da azioni nefande ma difficile da decifrare.
Insomma questa inchiesta - come afferma il commissario Sanuti della polizia di Nuoro, dove
viene ambientato il racconto - "ha laria di essere più complicata di quanto
sembra". E tale lo è per davvero, tra antiche faide, vendette e rancori che si
trascinano da decenni per questioni di guadagni più o meno illeciti e relazioni
sentimentali fallite. Così lo spaesamento è il tratto che accomuna il lettore a Sanuti,
poliziotto venuto dal continente a svolgere indagini in una Barbagia ostile ai ficcanaso,
specie se forestieri. Sanuti è una sorta di anti-Montalbano, che della Sardegna nulla
conosce (al contrario del siculo commissario di Camilleri, a proprio agio quanto pochi
altri in Trinacria) e non si raccapezza con la mentalità, col gergo e col mondo isolano,
in cui la gente è usa a "pensare per parabole".

Dunque niente è come appare. Luomo ucciso "non è morto
dovè stato ritrovato, non indossa abiti suoi, non è morto per un colpo di
fucile". Solo una cosa è chiara: la onnipresenza della morte che, si diceva, la fa
da padrona in questo eccentrico noir, dove non si contano gli assassinati, i
suicidi e persino i vecchi moribondi, magari aiutati a togliere il disturbo tramite
uneutanasia solo eufemisticamente tale. Ovunque aleggia un clima di tragedia
incombente e di ineluttabilità rispetto a quello che, con un vocabolo
dallintonazione metafisica, potremmo chiamare il male, o la "strana
creatura del caos", per dirla con Goethe.
Come raggelante appare la solitudine estrema che, ad onta di passionalità e gelosie,
contraddistingue quasi tutti i personaggi del libro, caratterizzati da unassoluta
incapacità damare. Così, quella descritta da Marcello Fois sarà pur gente
"dal cuore sanguinario e terribile", ma a me pare soprattutto presa da una
vertigine che è in primo luogo autodistruttiva. Lo testimonia a chiare lettere la
seguente dichiarazione del giudice istruttore: "il male che ci facciamo da soli è
peggiore del peggior male che ci può arrivare da fuori".
Che sia questa la chiave di lettura di Dura madre? La cifra di questo noir
tanto atipico quanto poco truculento? Di questo racconto che, a tratti, si fa lirico,
intenso e meditativo attraverso una serie di dolceamare considerazioni
sullesistenza? Tipo quella sulla vana ricerca di una spiegazione definitiva non solo
intorno ad un delitto sin troppo ingarbugliato, ma sugli enigmi irrisolvibili del senso di
ogni vita e di ogni morte. Tipo la bella similitudine su una verità che sempre
"ci inchimera, che si fa vedere a pezzi come una spogliarellista poco esperta, un
po goffa. Come una donna che, alla fine, cambia idea
".
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