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Alessandro Lanni
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Questa e' la cronaca di una manifestazione nata sotto una cattiva,
anzi nefasta, stella e conclusasi con un travolgente successo. A
Modena, Carpi e Sassuolo, dal 21 al 23 settembre, si sono riuniti
filosofi - ma anche letterati e teologi, sociologi, antropologi e
attori - per celebrare la prima edizione del "Festival della
filosofia". Il tema scelto quest'anno era la felicita'. Un tema
che avrebbe potuto far storcere il naso, soprattutto in un momento
come questo. Ce n'era abbastanza perché i censori di diversi
partiti se la prendessero con gli organizzatori della Fondazione San
Carlo. La tre giorni emiliana sembrava, anche ai piu' entusiasti,
stretta tra l'incudine dell'accademia e il martello della
divulgazione, in stridente contrasto con gli eventi di questo
settembre nero.
La filosofia al supermercato, temevano gli uni,
gli accademici. Come a Sanremo: niente piu' che canzonette
filosofiche, nello spirito dello slogan dello Zarathustra nicciano.
Gli altri, coloro che sanno stare al mondo, che conoscono le leggi
della comunicazione e della divulgazione, gia' irridevano sarcastici
i promotori della coraggiosa iniziativa. I filosofi senza
sensibilita', si ascoltava da piu' parti: per spezzare il pane della
verita' hanno scelto il tema meno adatto. Come si fa a riflettere e
discutere di felicita' in un momento in cui si rischia la terza
guerra mondiale?
Eppure. Quando di domenica mattina, alle 11, in un giorno grigio e
piovoso, un migliaio di persone si e' ritrovato ad ascoltare assorto
le parole di uno dei filosofi italiani meno inclini al divertissment
intellettuale, Emanuele Severino, in molti hanno iniziato a dire
sottovoce quello che si sospettava nelle giornate precedenti. E
quando, al termine, di un'ora fitta di pensieri e di ragionamenti,
il pubblico e' esploso in un'ovazione di qualche minuto per il
pensatore che a suo tempo fu espulso dall'Universita' Cattolica per
le sue tesi "eretiche", la riuscita della manifestazione
e' stata chiara a tutti. Un successo tale che ha spinto gli
organizzatori ad annunciare gia' ora il tema del Festival 2002: la
bellezza.
Dar conto dei circa cento appuntamenti sarebbe
impresa titanica. Ci limitiamo a passarne in rassegna alcuni, fra
quelli ai quali abbiamo assistito, che rispecchiano la varieta' di
taglio, impostazione e contenuti degli incontri modenesi. "Non
bisogna aver paura" ha esordito Severino "di mettere in
relazione la parola 'festival' con la parola 'felicita''. Entrambe
hanno la stessa origine nell'antico indoeuropeo. Hanno una storia in
comune." E' anche l'etimologia dunque la chiave per trattare
filosoficamente la felicita'.
Attraverso i secoli, Severino ricostruisce il destino di un concetto
(la felicita'), saltando da Eschilo a Platone e Aristotele,
nominando Avicenna (che ha avvicinato molto di piu' di quanto si
dica l'islamismo all'Occidente), Tommaso d'Aquino, arrivando ad
Heidegger e alla filosofia contemporanea, in cui la crisi della
civilta' della tecnica e' manifesta e coinvolge lo stesso sistema di
valori del Cristianesimo. Con la morte di Dio, affermata da buona
parte del pensiero contemporaneo, e la fine di una nozione forte di
verita', conclude Severino, la felicita' va cercata altrove.
Venerdi' pomeriggio, sole, sei o settecento
intervenuti, molti liceali. Nel bel cortile del melograno, a pochi
passi dalla cattedrale medievale di Modena, il semiologo bolognese
Paolo Fabbri si e' cimentato da filosofo dilettante, come si
definisce, in quella che noi chiameremmo una "fenomenologia
della felicita'". Perche' la felicita' e' diversa da altri
sentimenti di piacere? Quali sono i suoi tratti peculiari?
In un discorso che a volte si è avvicinato al Kant della Critica
del Giudizio, Fabbri ha collocato la dimensione dell'esser
felici a meta' strada tra la ragione e l'istinto. E tra una
citazione di Husserl e una di Patty Pravo ("fammi sognare,
portami al mare…"), si e' rivolto direttamente ad Heidegger.
Bisognerebbe chiedere all'autore di Essere e tempo, ha
sostenuto il professore bolognese, perche' il destino ineluttabile
del Dasein, dell'uomo, dev'essere l'angoscia e non, per
esempio, il godimento e la felicita'.
Altro luogo, altro incontro. Sabato, ore 15.30, cielo padano,
seicento spettatori. Nella Cavallerizza ducale di Sassuolo, Marc
Auge' ha raccontato la storia di Mr. e Mrs. Dupond (il signore e la
signora Rossi, per noi italiani), apologo che mostrerebbe come il
nostro mondo occidentale, con l'orizzonte "cosmotecnologico"
che lo governa, renda se non impossibile, almeno molto difficile una
esperienza autentica della felicita'.
I protagonisti della storia dell'etnologo francese
dei non luoghi sono personaggi a pieno titolo del primo mondo.
Mediamente borghesi, mediamente intellettuali, post sessantottini,
oggi passivamente impegnati a sinistra, i signori Dupond sono,
ciononostante, infelici. Questa infelicita', secondo Auge', e' un
tratto distintivo del nostro tempo e cio' dipende dalla difficolta'
a relazionarsi con gli altri che e' un prodotto della nostra
cosmologia tecnologica.
Purtroppo non è possibile render conto in maniera piu' esaustiva
dei molti altri incontri di livello. Tuttavia bisogna ricordare
almeno come i ventimila partecipanti al Festival siano stati colpiti
dalle parole piene di saggezza e di buon senso orientale di Raimon
Pannikar, filosofo e teologo che si occupa dello scambio
interculturale tra Oriente e Occidente; dalla mappa storica
tracciata da Remo Bodei sui rapporti tra felicita' e politica; dalle
vicende dell'ipotesi millenaristica di felicita' raccontate dallo
storico francese Jean Delumeau. E dagli incontri/scontri filosofici
come quelli tra Luce Irigaray e Giacomo Marramao e tra Roberto
Esposito e Salvatore Veca.
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