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Felici in un mondo globale



Intervista a Zigmunt Bauman
a cura di Alessandro Lanni



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"Siamo sul valico di una montagna, esposti alle intemperie." Zigmunt Bauman, non nasconde certo la criticita' del momento ne' la sua personale preoccupazione per le possibili conseguenze degli attentati dell'11 settembre. Professore di Sociologia a Leeds e Varsavia, Bauman e' sicuramente tra i maggiori e piu' acuti interpreti della contemporaneita' e di quel fenomeno complesso che passa sotto il nome di "globalizzazione" (tra i suoi libri tradotti: La societa' dell'incertezza, 1999; Dentro la globalizzazione 1999; La solitudine del cittadino globale, 2000; Voglia di comunita', 2001).

Tuttavia, il professore polacco, anche di fronte al difficilissimo passaggio che sta attraversando il pianeta, e' ottimista. "Come tutti sanno, il valico e' il posto piu' pericoloso in montagna, ma e' anche l'inizio della discesa." Ed e' anche per questo, immaginiamo, che Bauman ha partecipato al Festival di Filosofia ed e' intervenuto sul tema della felicita'.

Professor Bauman, cos'e' la felicita'?

Rispondere a questa domanda e' difficile. Abbiamo le idee abbastanza chiare sul momento in cui siamo felici. Sappiamo riconoscere quando attraversiamo questa dimensione. Dire cosa sia la felicita' e' molto piu' complicato. La felicita' e' uno stato mentale, corporeo, che sentiamo in modo acuto, ma che e' ineffabile. Una sensazione che non e' possibile condividere con altri. Ciononostante, la caratteristica principale della felicita' e' quella di essere un'apertura di possibilita', in quanto dipende dal punto di vista con il quale la esperiamo.

Nella storia non c'e' stata sempre la stessa idea della felicita'.

Nell'antichita' la felicita' era una ricompensa per pochi eletti selezionati. In un momento successivo venne concepita come un diritto universale che spettava a ogni membro della specie umana. Successivamente, si trasformo' in un dovere: sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque chi e' infelice e' costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale.

Esiste poi una seconda linea di evoluzione del concetto di felicita': la felicita' come stato finale, come obbiettivo al quale dobbiamo tendere. All'interno di questa seconda prospettiva, l'evoluzione e' stata verso un'esperienza della felicita' legata direttamente al piano della vita quotidiana, che nella contemporaneita' ha indebolito l'idea della felicita' come obiettivo. A cio' si lega anche la parallela evoluzione del concetto di desiderio. Ora, non ci si ferma soddisfatti, e felici, quando un nostro desiderio si realizza. Piuttosto, ci si spinge subito a desiderare qualcos'altro che ci possa soddisfare in maniera migliore. Desideriamo il desiderio piu' che la realizzazione di esso. Quest'atteggiamento da' luogo ad una catena tendenzialmente infinita di frustrazioni e insoddisfazioni.

Esiste una storia della felicita' planetaria?

Le tappe alle quali ho fatto cenno non devono essere pensate come un progresso universale della felicita': se le pensassi come uno svolgimento teleologico della storia avrei torto. Ma anche interpretare questi passaggi semplicemente come una storia della felicita' secondo la cultura occidentale sarebbe un errore. La contemporaneita', infatti, ci mostra la commistione, la fusione dei nostri stili di vita. C'e' un condizionamento reciproco tra le varie comunita' locali.

Questo ha a che fare con la globalizzazione. Gli attentati dell'11 settembre sono un prodotto della globalizzazione o rappresentano una nuova fase, radicalmente diversa dalle precedenti?

E' una domanda difficile. Ma credo che questo particolare momento sia solamente una nuova manifestazione di uno sviluppo antico. La globalizzazione ci rende dipendenti uno dall'altro, non esiste piu' una dimensione locale. Gli sviluppi locali hanno sempre ripercussioni su una scena allargata.

Puo' fare un esempio?

Bin Laden e' stato portato in Afghanistan con la funzione di liberare il Paese dall'esercito sovietico, ma subito si e' reso conto di avere delle possibilita' piu' grandi, che l'Impero non era cosi' potente come appariva in precedenza. I terroristi hanno imparato le tecniche che possono permettere loro di distruggere anche un altro impero. Questo e' stato reso possibile anche dal fatto che la tecnologia e lo sviluppo delle nostre economie consente di agire a distanza, sia nello spazio che nel tempo. E se e' evidente come cio' funzioni per lo spazio, va notato che azioni globali possono avere effetti sulle generazioni future, dunque funzionare nel tempo.

Se gli Stati-Nazione vengono scavalcati dal terrorismo, questo segnala un declino degli Stati stessi, almeno per come siamo abituati a concepirli?

Potere reale e istituzioni politiche in questo momento si vanno allontanando sempre piu' fra di loro. I poteri reali trascendono i confini degli Stati. Dopo gli attentati negli Usa c'e' una sfida ai limiti degli Stati stessi. E' chiaro come le democrazie attuali non abbiano le risorse per far fronte ai pericoli reali del mondo globalizzato, che eludono le convenzioni con le quali da duecento anni a questa parte siamo abituati a convivere.

Chiunque ha progettato l'attentato ha scelto con precisone gli obiettivi: il potere economico con le Twin Towers, il potere militare con il Pentagono, il potere politico con la Casa Bianca alla quale era destinato l'aereo precipitato in Pennsylvania. Ma se i terroristi fossero stati meno ignoranti avrebbero dovuto immaginare un quarto obiettivo. Avrebbero dovuto colpire Hollywood, il simbolo della dominazione culturale americana.

Professore, globalizzazione vuol dire anche guerra globale?

Non e' la prima volta che ci troviamo di fronte ad una crisi di questo genere. Finora l'ingegno umano ha trovato le soluzioni per superare gli ostacoli. Dunque il compito che abbiamo di fronte e' chiaro, non sappiamo come, ma sappiamo cio' che dobbiamo fare. Dovremmo tornare a leggere Tocqueville, che ha dimostrato come il crollo dell'Ancien Regime fosse gia' in atto prima della Rivoluzione francese, che e' stata una risposta al processo di degenerazione del vecchio sistema. Ci troviamo in una situazione analoga: si sta disgregando il mondo degli Stati Nazione. Dobbiamo trovare una soluzione per cui le istituzioni della politica riescano a fronteggiare la globalizzazione, soprattutto economica.


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