Democrazia pazza: la sindrome
Carlo Sirocchi
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Democrazia
pazza: la sindrome
Questa storia è stata tratta da alcuni documenti ritrovati
recentemente tra i resti di quello che un tempo doveva essere stato il
luogo pubblico principale di una civiltà estinta. Naturalmente la
ricostruzione degli eventi è solo un’ipotesi tra quelle possibili,
anche se appare quella più attendibile. Non sappiamo quasi nulla di
come tale civiltà si sviluppò e si estinse ma i ritrovamenti hanno
gettato nuova luce almeno su alcuni episodi importanti della loro
epopea. Certo, a noi molti problemi che sembra attanagliassero quelle
popolazioni possono apparire quasi incomprensibili. Cercherò perciò
di fare uno sforzo descrittivo per rendere i concetti quanto più
possibile accettabili dalla nostra mentalità abituata a ben altri
livelli di coscienza.
In quell’epoca tale civiltà aveva già conosciuto, nella sua lunga
storia, grandi tragedie, guerre, carestie, dittature feroci e epidemie
incontrollabili. Aveva anche avuto lunghi momenti di gloria, riuscendo
a dominare con le sue potenti armate i popoli circostanti. Le vestigia
imponenti del passato stanno ancora lì a testimoniare questa lunga e
grandiosa storia. Gli abitanti di quel mondo lontano, pur
perfettamente consapevoli dell’ineluttabile scorrere del tempo verso
l’unica mèta della scomparsa di tutte le cose, e forse proprio a
causa di tale ardua consapevolezza, continuavano pervicacemente ad
agire come se la loro vita fosse indefinita, affannandosi ad
accumulare oggetti deperibili, a creare ricchezze effimere. Amavano
anche credere, a dispetto delle loro pur avanzate conoscenze
astronomiche che mostravano chiaramente la ristrettezza del loro
mondo, che il loro ambiente vitale fosse inesauribile e illimitato,
tanto da agire nelle loro attività come se l’aria, l’acqua e il
suolo fossero unicamente beni da sfruttare e porre al servizio
incondizionato dell’accumulo delle suddette ricchezze effimere.
Un’altra strana credenza che circolava, specialmente negli strati
più elevati della popolazione, era che tutto fosse permesso in nome
del benessere materiale, facendo finta di non vedere che la maggior
parte dei propri simili vivevano al limite della sopravvivenza. Strane
parole circolavano senza che nessuno ne conoscesse veramente il
significato e, soprattutto, le conseguenze implicite, al di fuori,
naturalmente, di quelli che le avevano messe in circolazione
convincendo tutti della loro ineluttabile modernità. Parole come:
successo e carriera, profitto, globalizzazione.
Una specie di ipnosi collettiva faceva apparire come un insuccesso un
guadagno leggermente inferiore al previsto. Tanta era la forza di
questa specie di illusione collettiva che sembrò ad un certo punto
che tutto potesse essere sacrificato in nome del prezzo piuttosto che
del valore. Il problema sembra che fosse riconducibile proprio allo
smarrimento del senso del valore, prima di tutto della loro stessa
vita. Ad un certo punto qualcuno, più intraprendente degli altri,
pensò bene che per far crescere meglio e più in fretta gli animali
erbivori di cui quella civiltà si cibava, fosse perfettamente lecito
trasformarli in carnivori cannibali, dandogli da mangiare le carcasse
inutilizzabili dei loro simili. Tutti dicevano: “Siamo perfettamente
in grado di sapere ciò che facciamo, i meccanismi della natura sono
perfettamente controllabili dalle nostre conoscenze superiori.”
Le grandi devastazioni del passato, le pestilenze, le carestie, erano
viste come qualcosa di estraneo, non più possibili in un mondo dove
il progresso forniva tutte la garanzie e rassicurazioni necessarie.
Quando qualche animale cominciò ad ammalarsi e a morire nessuno
voleva credere che si trattasse delle avvisaglie di qualcosa di
terribile mai visto prima. Ben presto anche i più scettici dovettero
arrendersi all’evidenza: migliaia di animali stavano morendo per uno
squilibrio nel loro metabolismo dovuto alle diete ingrassanti forzate
e a basso costo. Cominciarono ad ammalarsi anche gli uomini,
contagiati dallo stesso squilibrio, anche se, per fortuna, le barriere
biologiche nel complesso reggevano. Ma, come spesso succede nelle
faccende della vita, una situazione di emergenza che assorbe tutte le
energie e l’attenzione impedisce di cogliere altri e più insidiosi
pericoli.
Il mondo del quale stiamo raccontando, dopo tante esperienze spesso
drammatiche e dolorose, aveva capito che la migliore forma di
autogoverno fosse quella di riunire dei rappresentanti delle diverse
opinioni in una grande aula dove poter decidere, sulla base dei
semplici rapporti numerici di rappresentanza, sulle questioni di
interesse della collettività. Questo sistema appariva, tra l’altro,
anche un ottimo modo per far crescere la qualità del dibattito civile
e, in ultima analisi, il livello dell’intera cultura di quel popolo.
Anche se c’è voluto molto lavoro per decifrare i documenti
pervenuti, tutti concordano che questo sistema fu chiamato ‘Democrazia’
e il luogo delle riunioni fu denominato ‘Assemblea Democratica’.
Essendo composta di esseri viventi, questa ‘Democrazia’ acquisì
immediatamente le caratteristiche dei suoi componenti: poteva
prosperare, godere buona salute, crescere, ammalarsi, subire crisi di
qualche tipo. Non erano molti, in verità, quelli che erano in grado
di riconoscere nella ‘Democrazia’ queste caratteristiche tipiche
degli esseri viventi. Ai più sembrava semplicemente un meccanismo in
grado di svolgere le sue funzioni in maniera abbastanza efficace.
Così in pochi avvertirono il pericolo che poteva annidarsi sotto gli
scranni dell’ ‘Assemblea Democratica’, un po’ come certi
batteri che si annidano tra le fibre dei tappeti polverosi pronti a
svilupparsi in modo virulento alla prima occasione. Del resto come
accorgersi di certi elementi di pericolo se l’attenzione è
concentrata su questioni meglio identificabili, su argomenti
apparentemente più concreti e immediati come: ordine pubblico,
sicurezza sociale, mercato del lavoro? Infatti sembra che questi
fossero alcuni dei problemi molto di moda in quel tempo.
Fatto sta che l’ ‘Assemblea Democratica’ cominciò a comportarsi
in maniera strana. Non era molto chiaro in cosa consistesse la
stranezza così come è sempre molto difficile distinguere sintomi di
malanni gravi da quelli di una semplice influenza. C’erano
rappresentanti che emigravano da un gruppo ad un altro incuranti degli
impegni presi con gli elettori, maggioranze trasversali che si
componevano e ricomponevano a seconda degli interessi in gioco, norme
che avrebbero dovuto essere approvate, secondo buon senso, e non
venivano neanche votate, altre che sarebbe stato meglio o più utile
depennare che invece raccoglievano il massimo dei consensi, liti e
dispetti continui su questa o quella regola di settore mentre i grandi
temi di fondo rimanevano irrisolti, e così via. Sembrò ad un certo
punto persino normale che i maggiori e più ricchi possidenti
cercassero di conquistare il governo del popolo senza fornire le
benché minime garanzie circa il rischio concreto che, con l’occasione,
non approfittassero del loro potere per agire a favore dei loro stessi
cospicui interessi.
Si trattava di un malessere e un disagio che travalicava i confini
dell’‘Assemblea Democratica’. Infatti qualcuno dotato di maggior
spirito critico che cominciò a far notare che la ‘Democrazia’ era
stata inventata soprattutto per garantire la partecipazione della
gente qualsiasi alle decisioni, in un quadro di trasparenza e
correttezza, togliendo il privilegio e il potere di decisione ai
ricchi e ai nobili, fu ben presto emarginato e posto in ridicolo a tal
punto che si ammalò e morì. Qualcuno notò anche le improvvise
carriere di certi rappresentanti e certi improvvisi cambiamenti di
livello di vita di altri. Ma, come si diceva, in fondo si trattava di
eventi congeniti alla ‘Democrazia’, nulla che potesse in qualche
modo allarmare. Stava accadendo cioè lo stesso fenomeno di
obnubilazione dello spirito critico che si era manifestato per l’epidemia
che aveva colpito gli animali che, a detta di molti, era un semplice
incidente di percorso ben controllabile dalla scienza e dalla
tecnologia.
Finché un illustre scienziato, attraverso calcoli e ricerche molto
complicate, riuscì a dimostrare che c’era una relazione tra la
degenerazione degli animali e le anomalie che si osservavano nella ‘Democrazia’.
Definì tali anomalie ‘La sindrome della Democrazia pazza’,
suscitando naturalmente le ire dei bempensanti, cioè di coloro che
preferivano in ogni caso il vecchio modello, essendo quello più
rassicurante e, perché no, il più redditizio per loro.
Ma il ragionamento dello scienziato era inoppugnabile: la malattia
degli animali e quella della ‘Democrazia’ erano due facce della
stessa medaglia o, come qualcuno dei più spiritosi disse usando un
tipico detto idiomatico dell’epoca, due scarichi dello stesso cesso.
Detto in maniera molto sintetica, si trattava di due varianti dello
stesso virus. Nel caso degli animali si era manifestato attaccando la
sete di guadagno di tutti coloro che avevano in qualche modo a che
vedere con la vita di tali animali, gonfiandola a dismisura. Nel caso
della ‘Democrazia’ aveva invece invaso il bisogno di potere di
certi personaggi costringendoli, poveretti, a dimenticarsi dei bisogni
della collettività per ricordarsi solo dei loro.
Il dibattito sulle conclusioni dello scienziato divenne ben presto
molto aspro. Nel frattempo gli animali, e gli uomini contagiati,
continuarono a morire, la ‘Democrazia’ a deperire e coloro che
lanciavano allarmi a rimanere vittima del ridicolo e dell’emarginazione.
Purtroppo i documenti pervenuti su questo mondo lontano sono
incompleti e lacunosi per permettere di ricostruire come andò a
finire. Forse la mancanza di documenti può essere la prova che le
cose non finirono molto bene per nessuno. Ma, come tutte le
ricostruzioni storiche che si rispettano, forse è bene che ciascuno
immagini la fine che meglio crede. Fortunatamente si tratta di
problemi che non ci riguardano.
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