Berlusconi: appelli e fardelli
Giancarlo Bosetti
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Pubblichiamo qui su Caffè Europa l’appello di Norberto
Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Alessandro Pizzorusso, Paolo Sylos
Labini che chiede di sconfiggere con il voto Berlusconi perché una
sua vittoria metterebbe in gioco la democrazia. Ma vi sottoponiamo
anche l’altro appello, pubblicato il 10 marzo dal Foglio di
Giuliano Ferrara e sottoscritto da Franco Debenedetti, Luciano Cafagna,
Michele Salvati, Paolo Mieli, Augusto Barbera con il quale si
sollecita la massima serenità nel confronto elettorale perché non è
in atto “uno scontro tra civiltà e barbarie” ma un ordinario
cambio di governo da viversi senza enfasi emotiva e senza scomodare
arsenali ideologici.
Ve li proponiamo entrambi, intanto per semplice dovere giornalistico,
e perché i nostri lettori possano, se credono aderire, ma poi
vogliamo cercare di ragionarci sopra. E poi perché entrambi hanno
delle buone ragioni da far valere. Se non ci fermiamo al tono un po’
troppo drammatico, che si poteva in effetti evitare, del primo appello
e ne prendiamo l’elemento più sostanzioso - il timore fondato che
il conflitto di interesse inquini la democrazia italiana - i due
appelli non sono incompatibili. A meno che il secondo non sia
interpretato come l’invito a non parlare più del conflitto di
interesse. Ma francamente mi pare inverosimile che persone, di cui
conosco bene le cose che hanno pensato e scritto in questi anni, come
Debenedetti, Mieli, Salvati, Cafagna e Barbera, quando invitano a non
demonizzare gli avversari intendano dire che non si deve più
obbiettare alcunchè sul conflitto di interesse. Impossibile.
Un curioso rilievo da fare è che tutti i sottoscrittori anche di
questo secondo appello (per il primo la cosa era abbastanza scontata),
se non mi sbaglio, appartengono all’area culturale del
centrosinistra. E’ vero che Giuliano Ferrara appartiene all’altro
schieramento per il quale il suo giornale è con evidenza, e in modo
dichiaratamente fazioso, impegnato, ma non ci risulta che abbia
aderito al secondo dei due appelli. Lo ha pubblicato, lo ha anche
valorizzato, ma non lo ha firmato. Se lo farà ne terremo conto, ma al
momento la sua non è tra quelle firme, come non ce ne sono altre
significative dei politici e degli intellettuali della destra e del
centrodestra, che pure possiamo immaginare favorevoli a sollecitare
equilibrio e sobrietà.

Che cosa questo significhi non saprei dirvi con certezza. Posso solo
fare delle ipotesi: a) a destra non si sente il problema nel senso che
la voce la alzano soltanto a sinistra, b) nessuno se la sente di
contraddire Berlusconi quando annuncia l’Aventino della
comunicazione dopo il caso Luttazzi o strilla al telefono con Santoro,
c) nessuno ha sentito o letto Fini quando sostiene che le elezioni
servono a “risanare la democrazia italiana”, o il sindaco di
Treviso quando promette , come ricorda Guido Martinotti, di “accoppare”
Rutelli, oppure Previti e tutti gli altri che sprizzano una smania,
non proprio serena e rassicurante, di andare al governo (a sinistra di
smania di restare proprio non c’è traccia).
Come è e come non è, gli appelli rimangono una specialità della
sinistra che in questo caso fa tutte le parti in commedia. Da una
parte drammatizza e dall’altra rassicura. Conosco quasi tutti i
firmatari e condivido molte delle posizioni che hanno assunto in
questi anni nella vicenda italiana. Riconosco certo anche le
differenze tra chi vede in Berlusconi una minaccia senza possibilità
di redenzione e chi confida che il learning by doing, l’apprendistato
che si fa una volta al potere, valga anche per il leader della Casa
delle libertà, al suo secondo tentativo (il primo consideriamolo learning
in corpore vivi, andato male). Ma so anche delle affinità
culturali tra di loro, tra Bobbio, Cafagna, Salvati, Sylos Labini,
Debenedetti, al punto che quei nomi uno si aspetterebbe di vederli
insieme ad affermare gli stessi principi, quelli di un riformismo
liberalsocialista sapiente e capace di attrarre consensi dal centro
verso la sinistra.
Bene, si dirà, e allora perché ci sono questi appelli separati e
difformi? Perché il centrosinistra si dibatte in una contraddizione
lancinante (come negarlo?) proprio a proposito di Berlusconi e dei
suoi (altrettanto innegabili, cari amici liberali del centrodestra)
“fardelli”, chiamiamoli così tutti insieme: i conflitti di
interesse ed i conflitti con la giustizia. Da una parte ci sono i “fardelli”
e dall’altra ci sono i voti, molti, che indubbiamente Berlusconi ha
preso e prenderà dagli italiani, tanti, che sui “fardelli”
sorvolano. Da una parte i dubbi sulla plausibilità legale di un
eventuale governo Berlusconi, dall’altra la legittimazione del voto.

Il problema non è nuovo e si trascina da anni, come si sa. Il fatto
che si trascini ha portato molti a concludere che la questione è
logorata, gli argomenti consumati, la efficacia elettorale dell’uso
di questi argomenti scarsa. Ma questa consunzione, ecco un’altra
contraddizione, ha estenuato tutti noi, ma non il problema, che rimane
lì, bello e fragrante come il primo giorno, quello in cui nacque
Forza Italia e con lei l’avventura politica del suo leader,
proprietario dell’impero Fininvest-Mediaset. I macigni sono due,
dunque, quello degli elettori e quello dei telespettatori, e nessuno
dei due ha l’aria di volersi levare da solo.
L’effetto ottico di questi anni, e certo anche una notevole abilità
e tenuta del protagonista di tutta la facenda, ha travasato un
problema, che era ed è soprattutto della destra (la quale rischia di
non poter andare mai serenamente al governo come in fin dei conti si
potrebbe anche meritare), nel bacino di utenza della sinistra. La
discussione sui “fardelli” avrebbe dovuto diventare un
difficilissimo cruciverba del Polo; è diventato invece un lancinante
dilemma della pensosa e responsabile sinistra. Da anni ormai se ne
discetta come di un problema di “credibilità” della sinistra. E’
credibile D’Alema quando solleva la questione dopo aver tentato l’accordo
con Berlusconi per le riforme costituzionali? E prima di lui Prodi e
Veltroni? E poi Amato? C’è qualcuno in giro, oltre a Sylos Labini,
che possa rivendicare una limpida, immacolata linearità nel
considerare il “fardello” del conflitto di interesse un ostacolo
insuperabile per la legittimazione del candidato premier della Casa
delle libertà?
Pare di no, amici miei. Ho ospitato su queste pagine e su Reset
circa un anno fa un appassionato confronto tra lo stesso Sylos Labini
e Marco Vitale con il quale si confermava la inflessibilità del primo
(che molti, noi compresi, hanno continuato a guardare con simpatia) e
la determinazione del secondo, diciamo per disperazione, nell’abbandonare
un argomento che era stato ormai quasi completamente dissolto, nella
sua capacità di presa sulla opinione pubblica, a causa delle numerose
oscillazioni degli avversari di Berlusconi.
Ora i due appelli, che qui pubblichiamo, non sono risolutivi della
questione, il primo perché la ripropone come “fuori contesto” -
non prende cioè sul serio le pretese democratiche degli italiani che
hanno votato e vogliono votare Berlusconi -; il secondo perché,
sottoscritto com’è soltanto da una parte, il centrosinistra,
equivale (non lo pretende ma gli equivale) a un impegno a non
utilizzare più il tema dei “fardelli” e non si dimostra capace di
presa sul centrodestra, dove invece di eccessi ce ne sono molti.

Come si fa a non preoccuparsi se Storace, il presidente del Lazio
nelle sue funzioni, non un attore comico in seconda serata, innalza le
insegne della virilità e fa insinuazioni sulla omosessualità degli
avversari? Tra gli intellettuali di Alleanza nazionale tutti d’accordo?
Nessun dibattito sulla elegante rivista Carta? Nessuno
sfottimento sul Foglio? Nessuna sobria riflessione sui toni
della campagna elettorale? E tra i liberali-doc e i civilissimi e
spiritosissimi professori di Forza Italia nessuna reazione?
Ma sì, facciamolo girare il secondo appello, nella Casa delle
Libertà. Evitiamo che l’invito alla calma se lo facciano tra loro
persone che non l’hanno mai persa.
Quanto ai “fardelli” di Arcore, con o senza l’aggiunta di
cavalli e stallieri di dubbia provenienza, resta da fare un’ultima
indispensabile chiosa. Nella pubblica discussione si possono usare
argomenti ad hominem ed argomenti ad rem. Se uno solleva
il problema del conflitto di interesse, si può obbiettare ad
hominem: per esempio se il problema lo solleva D’Alema, gli
possono dire “dovevi pensarci prima, perché lo fai solo ora e non
quando eri presidente della Bicamerale?” Benissimo, questa reazione
ha una sua efficacia retorica, ha un valore “persuasivo”, che può
anche funzionare.
Ma c’è un dettaglio: quello sollevato non è un problema retorico e
non è liquidabile con i fumogeni della soggettività. E’ un
problema obbiettivo, non è neppure un problema di sinistra, il suo
nucleo essenziale non sta in homine, nel modo e nei tempi in
cui altri lo pone, ma in re ipsa. Dunque la sinistra potrebbe
persino non porlo, il problema, eppure esso ci sarebbe ugualmente. E
ugualmente scoppierebbe davanti al naso di tutti gli italiani, a
cominciare da quello del presidente della Repubblica per finire a
quello dello stesso Berlusconi.
Del resto le reazioni del Polo in questi giorni all’episodio
Luttazzi sono così evidentemente fuori misura da rappresentare un
campanello di allarme. Forse non è neppure il caso di insistere
troppo da sinistra su questo tasto. E’ bene lasciare che il tema dei
“fardelli” torni a versarsi, per sua forza propria, nel suo bacino
naturale: la destra. Se lì c’è davvero gente che vuole governare a
lungo per lasciare la impronta di una politica diversa da quella del
centrosinistra con risultati plausibili, anche se non da tutti
condivisibili, farebbero bene a preoccuparsi di questi fardelli prima
che sia troppo tardi.
La contraddizione del monopolista privato tv che va al governo e che
perciò stesso prenderà il controllo della Rai è nelle cose. E’
roba forte, che, anche a stare tutti calmi, nel mondo civile, cortese
e plurale, in cui per nostra fortuna viviamo, può alimentare incubi
premoderni e soffocare più di un governo. E, in queste condizioni, a
nodo irrisolto, può lasciare alle spalle il ricordo di Berlusconi
premier come una delle esperienze più rissose ed idiote della storia
repubblicana. Tale da cancellare le ambizioni di governo della destra
per qualche generazione.
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