Lettera aperta a Il Foglio
Guido Martinotti
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Lettera aperta a Il Foglio
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Questa lettera è apparsa su "Il Foglio" del 18 marzo
Alcuni padri della patria - Bobbio, Galante Garrone, Sylos Labini da
un lato e Indro Montanelli dall'altro - raccomandano di non votare per
il Polo, suggerendo in toni più o meno espliciti che una vittoria di
questa compagine muterebbe la qualità della democrazia italiana.
Queste inquietudini serpeggiano non solo nel mondo della sinistra, ma
anche in quello degli affari, con qualcuno che sta già spostando i
propri asset liquidi all'estero. A sopirle intervengono sul Foglio alcuni
intellettuali che fanno capo all'area di sinistra, come Barbera,
Salvati e Mieli.
Meno male, mi sento un po' meno inquieto, anche se mi riesce difficile
considerare i Bobbio o i Montanelli come dei vecchi stizzosi che,
chissà perché, una mattina si sono svegliati e hanno trovato
l'invasore. Sarei più rassicurato se l'appello sul Foglio
l'avessero firmato anche: il presidente Galan che minaccia di
accoppare Rutelli (quel gesto che si fa ai conigli così si traduce in
italiano. "Propriam.Uccidere alcuno con percossa data nel
capo", Rigutini e Fanfani,1906, p.18); l'ex ministro Cesare
Previti, dal quale sarei molto interessato a farmi spiegare apertis
verbis e nei particolari cosa significa "non faremo
prigionieri", dettagliando anche i modi con i quali si propone di
perseguire questo scopo, oltre naturalmente a definire meglio chi
rientra in questa categoria; da Giulio Tremonti, che chiama gangster
il ministro e l'Istat; dal collega Vittadini che dà del Pol Pot ai
giudici che indagano su possibili reati della Compagnia delle Opere
("chi tocca i fili muore", ricordate?).
E infine perché no, anche da Silvio Berlusconi che ha passato la
legislatura a chiederne la fine (già il successo di questa richiesta,
che si accompagna con la più lunga legislatura della storia
repubblicana, qualche domanda sulle capacità di leadership di chi
l'ha pervicacemente sostenuta la porrebbe) e cerca di convincere gli
italiani che siamo usciti da un regime così poco democratico che,
unicum nella storia, ha permesso al capo dell'opposizione di parlare e
gridare più di chiunque altro in tutte le forme, dal piccolo schermo
ai muri del paese. Naturalmente anche in questo caso le statistiche
che non piacciono sono ovviamente fatte da imbroglioni, dall'Istat
all'Osservatorio di Pavia, l'unica fonte della verità mai messa in
dubbio essendo il TG di Emilio Fede.
Mi si dirà che sono tutte parole, che questo linguaggio è
metaforico, che non ci si deve preoccupare di qualche bausciata (Bossi
traduce in gergo contemporaneo, "sceriffata", a proposito di
Galan), insomma che non si deve esagerare, questo è il linguaggio
moderno nato dal piccolo schermo, dai processi del lunedì, dall'ora
di odio di Sgarbi, che vecchie fuffe come Bobbio o Montanelli non
possono capire. Che se vogliamo la libertà dobbiamo anche ammettere
la libertà di linguaggio: libertà assoluta, come si è sentito in
questi ultimi tempi.
Ma è proprio questo il punto. Che sia in corso in tutto il mondo una
mutazione dal modello della democrazia della partecipazione a quello
della democrazia della persuasione lo sappiamo, ce l'hanno spiegato in
tutte le salse i teorici della società di massa da Karl Mannheim a
Christopher Lasch. E l'Italia, che è sempre stata all'avaguardia
nelle innovazioni politiche del Ventesimo secolo, dal diciannovismo
all'eurocomunismo, può benissimo esserlo anche nel Ventunesimo.
Ed è fuor di dubbio che, nel nostro paese, Berlusconi abbia preso la
guida di questa trasformazione: è lui che agita il vessillo di questa
modernità a la Pohl & Kornbluth o alla Ron Goulart, gli altri
sono solo dei barbogi. Il punto è tutto qui: siamo sicuri che
piacerà a chi sta dalla parte convessa dello schermo televisivo,
questa democrazia della persuasione? Saranno più felici i consumatori
quando invece di una sola Pravda chi deterrà il potere ne
avrà a disposizione sei, almeno? Ci sarà ancora spazio per
pubblicazioni sbarazzine come il Foglio, oppure anche lui sarà
ridotto a fare il birichino di regime come la Komsomolskaia Pravda d‚antan?
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