| Quelle brave ragazze 
 
 
 Antonia Anania
 
 
 
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 Alcune attrici del Novecento che hanno fatto la storia del teatro
          internazionale del secolo uscente ma sono purtroppo cadute nel
          dimenticatoio. Noi le vogliamo ricordare, anche grazie alle
          segnalazioni di Micaela Esdra (vedi articoli collegati).
 
 Forse vedendo qualche loro foto vi verrà in mente che quella signora
          doveva aver recitato in un film o in uno di quei vecchi sceneggiati
          televisivi di cui ci parlano tanto i nostri genitori, ma i loro nomi
          non dicono niente ai giovani di adesso. Ed è un peccato perché ogni
          aspirante attrice del nuovo secolo dovrebbe considerarle un punto di
          riferimento.
 
 Adelaide (in arte Lilla) Brignone (Roma 1913-1984). Profilo
          inquietante, voce profonda e sobria, inesauribile carica espressiva,
          controllo e misura nei gesti e nella voce. Pensate: stimata da
          Tennessee Williams e considerata da Luchino Visconti, insieme a Rina
          Morelli, la migliore attrice italiana. Pur di convincere il padre a
          lasciarle fare l’attrice di teatro, tentò il suicidio con una
          boccetta di laudano! Debuttò a 21, anni ma solo col tempo perfezionò
          la propria carica drammatica e la propria tecnica recitativa.
 Nel 1947 incontrò Giorgio Strehler al Piccolo Teatro di Milano, che
          la diresse per ben 7 anni in trentasei interpretazioni (da Vasilisa ne
          L’albergo dei poveri di Gor’kij a Nora di Casa di
          bambola di Ibsen passando per Elettra di Sofocle e Questa
          sera si recita a soggetto di Pirandello). Nel 1953 si allontanò
          dal Piccolo, insieme a Gianni Santuccio, il suo compagno di vita e
          spesso di scena. Lavorò diretta da Luchino Visconti e poi da Luca
          Ronconi, Giuseppe Patroni Griffi e Giancarlo Sepe. Da quest’ultimo
          è stata guidata per la sua ultima interpretazione pirandelliana nel
          1983: la signora Frola di Così è (se vi pare). Da vedere, se
          riuscite a trovarne la registrazione in video.
 
 Edith Clever (Wuppertal 1940). Incisiva, profonda, vigorosa e
          bella. Insieme a Peter Stein fondò a Berlino la Schaubühne,
          la massima istituzione teatrale tedesca. Quando nel 1980 interpretò
          Clitennestra nell’Orestea di Stein la critica parlò di “miracolo
          di sensibilità” e di un personaggio modulato su “una continua
          frase musicale”. A personaggi di profonda drammaticità la Clever
          seppe alternarne di leggeri come quello in Kalldewey di Botho
          Strauss per la regia di Luc Bondy nel 1982.
 Dopo la versione cinematografica di Eric Rohmer della sua Marchesa
          Von O e la partecipazione al film Parsifal di Hans Jurgen
          Sybeberg, si dedicò con quest’ultimo a una nuova fase: gli
          spettacoli-racconto destinati al video o alla ripresa cinematografica.
          Monologhi interiori che devono dare esclusivamente corpo ed evidenza
          ai testi letterari che di volta in volta la Clever ha scelto insieme a
          Sybeberg. A chi vuole fare l’attrice del nuovo millennio un
          consiglio: cercare le videocassette delle sue interpretazioni e
          studiarsele secondo per secondo.
 
 Sarah Ferrati (Prato 1909-Roma 1982). Poca mondanità e molta
          attenzione allo studio psicologico del ruolo da interpretare, misura e
          precisione vocale. Il grande pubblico la ricorderà per essere stata
          una delle Sorelle Materassi nell’originale televisivo del
          1972 tratto dal romanzo di Aldo Palazzeschi, per la regia di Mario
          Ferrero. Sarah Ferrati infatti aveva una concezione positiva della
          televisione perché grazie ai primi piani degli attori funzionava
          ,secondo lei, da “microscopio dell’anima” (chissà che cosa
          avrebbe pensato della Tv di adesso...).
 “Al tempo stesso classica e imprevedibile, tragica, stupenda e
          commediante ora ironica, ora dolente del quotidiano”, così la
          definì Strehler che la diresse al Piccolo tra il 1954 e il 57 come
          protagonista in opere come La casa di Bernarda Alba di Garcia
          Lorca, La pazza di Chaillot di Jean Giraudoux e La visita
          della vecchia signora di Friedrich Durrenmatt. Diventa insegnante
          dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica e le sue apparizioni a
          teatro, per la regia di Franco Zeffirelli, si fanno sempre più rare,
          fino alla scomparsa, nel 1982.
 
 Giulia Lazzarini (Milano 1934). “Uno di quei rari talenti
          naturali nati così non si sa perché, che salgono su un palco di
          teatro, cominciano a recitare e sanno già tutto della teatralità,
          recitando sempre e da sempre bene”. Sono parole di Strehler per un’attrice
          con un corpo minuto, una grande leggerezza nei gesti e una emozionante
          presenza scenica. Anche lei fu attrice di teatro in televisione. Chi
          ha l’età giusta ricorderà le sue interpretazioni ne La
          maestrina di Dario Niccodemi, Nora in Casa di bambola di
          Henrik Ibsen fino a Dosolina nella riduzione televisiva de Il
          mulino del Po di Riccardo Bacchelli, per la regia di Sandro Bolchi
          (1963).
 Con la regia di Strehler ricordiamo Polly nell’Opera da tre soldi
          di Brecht (1972) insieme a Domenico Modugno, Vania nella prima
          edizione de Il giardino dei ciliegi di Cechov (1973) e Ariele
          nella Tempesta di Shakespeare, dove è straordinaria: sospesa
          da terra con un cavo, fa diventare lo spiritello che interpreta “puro
          spirito”.
 
 Pupella Maggio (Napoli 1910). Una filastrocca canta che lei è
          “senza forme e senza carne… con due occhi stanchi, malinconici,
          teneri, dolci e lagrimosi, espressivi e assai pungenti”. Pupella
          Maggio è famosa per essere stata l’interprete delle più importanti
          commedie di Eduardo De Filippo, ideale perché comica e drammatica,
          ironica e umana al tempo stesso.,Per le nuove attrici di adesso la
          storia della Maggio serve a capire che a volte agli inizi del 900 si
          faceva l’attrice per necessità: per portare qualche soldo a casa
          questa ragazzina si esibiva con i suoi fratelli nei circhi e nelle
          sceneggiate, pezzi comici soprattutto, che soddisfavano il pubblico e
          garantivano guadagni decenti al botteghino.
 Nel 1954 approda alla compagnia di Eduardo De Filippo, mentre dal 1960
          in poi dà prova anche di teatro in lingua (del 1979 è un’insolita
          interpretazione de La madre di Bertolt Brecht, regia di Antonio
          Calenda). Nel 1980 fa riscoprire al pubblico la maschera di Pulcinella
          e in ‘Na sera ‘e maggio (1983) interpreta personaggi della
          tradizione napoletana. Perché non provate anche voi giovani attrici a
          far rivivere Pulcinella?
 Elsa Merlini (Trieste 1903-Roma
          1983). Quando da Trieste arrivò a Firenze la Merlini parlava uno
          strano italiano contaminato da slavo e tedesco, per cui dovette
          frequentare una scuola di dizione per affinare la pronuncia. Negli
          anni 30 diventò la fidanzata ideale: i giovani del tempo la vedevano
          al cinematografo nelle commedie dei ‘telefoni bianchi’ e a teatro
          nelle pièce francesi o in quelle sentimentali di Aldo De
          Benedetti, e si innamoravano di questa fanciulla spiritosa, brillante,
          indipendente e molto femminile.Dagli Anni 40 in poi inizia a mostrare la sua dimensione lirica e
          drammatica che culmina nel '78 con l'interpretazione di Maria nella Passione
          tratta da testi del '600; nell’80 diventa un'esile e focosa regina
          Margherita nel Riccardo III di Shakespeare, nell’82 un’arzilla
          vecchietta anticonformista e spregiudicata in Mela di Dacia
          Maraini. Recita fino all’ultimo e muore per un male incurabile.
 
 Rina Morelli (Napoli 1908-Roma 1976). “La più grande di tutte…
          In lei si accentrano le qualità dell’artista del teatro, di una
          sensibilità e di una intelligenza più che moderne… una fonte
          inesauribile di possibilità, umile e modesta per di più: un mostro
          sacro del teatro contemporaneo”. Questa la descrizione di Luchino
          Visconti. Piccola, timida, fragile e aggraziata, malinconica e
          ironica, Rina Morelli è forse ricordata dai più giovani, amanti
          della storia del cinema e della televisione, per aver interpretato una
          delle Sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi (1972) in
          televisione e la religiosissima contessa Salina ne Il Gattopardo
          di Giuseppe Tomasi di Lampedusa diretto da Luchino Visconti (1963) al
          cinema.
 
 Con la regia teatrale di Visconti, Rina Morelli ha interpretato i
          personaggi femminili più disparati ed emozionanti: Antigone e Euridice
          di Jean Anouilh, Laura in Zoo di vetro e Blanche in Un tram
          che si chiama Desiderio di Tennesse Williams. E' apparsa in Tre
          sorelle e Zio Vanja di Cechov, è stata Matilde in Figli
          d’arte di Diego Fabbri (Premio come miglior attrice al Festival
          du Theatre des Nations a Parigi). Nel 1975 dà l’addio alle scene,
          recitando accanto al suo amato Paolo Stoppa in Caro bugiardo,
          tratto dall’epistolario dello scrittore George Bernard Shaw con l’attrice
          Stella Patrick Campbell.
 
 Andreina Gentili in Pagnani (Roma 1906-1981). Dal genere
          brillante alla tragedia, questa donna fascinosa e carismatica riesce a
          fare di tutto a teatro e grazie alla sua dizione morbida e fluida
          diventa la doppiatrice di grandi dive del cinema come Bette Davis e
          Marlene Dietrich. Nel 1937 è la prima interprete della Contessa Ilse
          de I giganti della montagna, dramma incompiuto di Pirandello.
          Ballerà e canterà per Garinei e Giovannini e nel 1966 interpreterà
          la dolce e buona Madame Maigret accanto a Gino Cervi, nello
          sceneggiato televisivo tratto da Le avventure del commissario
          Maigret di Georges Simenon.
 
 Joan Plowright (Brigg 1929). Certe foto che ritraggono quest’
          anziana attrice mostrano il suo buffo piglio autoritario e già la
          descrivono come una donna decisa, cocciuta e molto simpatica. E’ la
          terza moglie di Laurence Olivier ma ha fatto quasi sempre tutto di
          testa sua e se Olivier era famoso per le sue interpretazioni
          shakespeariane e prediligeva i classici lei preferiva le commedie
          moderne, quelle di John Osborne, Natalia Ginzburg Eduardo De Filippo,
          con personaggi realistici, contemporanei e anticonformisti.
 Nondimeno per dieci anni seguì il marito e si dedicò alle
          interpretazioni di classici come Moliere, Shakespeare, Cechov. Poi
          negli Anni Settanta ritornò il tempo degli autori contemporanei.
          Negli ultimi vent'anni è passata al cinema a parti di spalla di gran
          caratterizzazione ma nel 1990 è ancora a teatro nello spettacolo Il
          tempo e la famiglia Conway di John Priestley, con tutta la
          famiglia: le due figlie attrici, e il figlio regista Richard Olivier.
 
 Helene Weigel (Vienna 1900-Berlino Est 1971). Altra moglie di
          personaggio illustre della serie: quando dietro a un grande uomo c’è
          una grande donna e si condivide tutto, dove tutto sta per politica e
          teatro. Helene Weigel era la moglie di Bertolt Brecht (e si dice che
          dovette ingoiare varie relazioni extra-coniugali del marito) e l’interprete
          principale delle opere del drammaturgo tedesco, da Leocadia in Un
          uomo è un uomo (1927) a L’Antigone di Sofocle
          rielaborato da Brecht (1947) a Madre Coraggio e i suoi figli
          (1950), che rimane nella storia del teatro come esempio del concetto
          brechtiano di recitazione ‘epica’.
 Incallita comunista, prima e dopo l’esilio del 1933, ritornando a
          Berlino Est con Brecht, nel 1949 fonda il Berliner Ensemble, dove
          Brecht era l’anima artistica e creativa, lei quella organizzativa.
          Premiata varie volte come ‘attrice di Stato’, grazie alle sue
          peculiarità tecniche: una voce potente, la forte presenza scenica e
          la programmatica e brechtiana distanza critica dal personaggio che
          interpreta. Dopo la morte del marito continua il lavoro al Berliner e
          nel 1971 saluta le scene con un recital che arriva anche al Piccolo di
          Milano. Almeno dalle foto la Weigel appare una donna mascolina, una di
          quelle bruttissime ma interessanti, con gli occhi intensi ed
          espressivi, che nel Diario di lavoro Brecht descrive così: “una
          testa cui è consentito di mantenere intatte le sue contraddizioni”,
          una dichiarazione che certamente non lo perdona delle sue tanti amanti
          ma che mostra quanto conoscesse, ‘amasse’ e ammirasse Helene.
 
 
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