| Ma dove sono le musiciste? 
 
 
 Paola Damiani
 
 
 
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 Mancano le donne musiciste in questa grande mostra romana. Il concerto
          di Giovanna Marini che conclude il programma delle manifestazioni non
          basta a dare conto di una delle più significative rivoluzioni
          femminili compiute nel secolo appena trascorso: la conquista del ruolo
          di compositore. Non è stata una conquista facile ed è una di quelle
          maturate più tardi.
 
 La storia della musica colta è punteggiata di donne compositrici,
          spesso esecutrici dotate di personalità prorompente che sfidavano gli
          uomini su un terreno formalmente loro precluso e che venivano
          tollerate come fenomeni di costume, eccezioni, rarità. Con quanto è
          rimasto di Clara Schumann o Fanny Mendelssohn è difficile immaginare
          le loro potenzialità creative. Anche il Novecento si apre nel segno
          della continuità: idolatrate come cantanti, rispettate come pianiste,
          le donne annoverano poche violiniste e nessuna direttrice d'orchestra.
 
 Sono le avanguardie a sparigliare i giochi con il loro gusto
          sovversivo, alle quali si affiancano le conquiste femministe del modo
          angloamericano che allargano alle donne anche le classi di
          composizione. In Italia tutto è più lento, eppure qualcosa si muove.
          A Palermo, alla fine della prima guerra mondiale, una giovane di buona
          famiglia dagli occhi azzurri vivacissimi si ostina a voler fare la
          compositrice e ottiene di andare a studiare a Napoli. Si chiama Elena
          Barbara e al conservatorio di San Pietro a Majella incontra il suo
          futuro marito, un direttore d'orchestra che la incoraggia e le
          permette di perfezionarsi a Milano con Giorgio Federico Ghedini.
 
 Elena Barbara sposa il barone Giuranna, e da quel momento sceglie di
          chiamarsi Barbara Giuranna. Ha due figli e inizia a fare la
          compositrice, non la pianista, l'insegnante o altro. La sua
          determinazione è tale che non si rassegna anche quando resta vedova -
          il marito cade accidentalmente da un balcone - e, sola con due
          bambini, continua a presentare i suoi pezzi ai concorsi di
          composizione vincedone molti. Per aiutarla le viene offerto di entare
          alla Rai con mansioni generiche, ma finisce in breve tempo
          nell'archivio musicale, dove scova e revisiona brillantemente
          preziosissime partiture antiche. E' morta pochi anni fa, molto anziana
          e circondata da grande rispetto. Ancora le brillavano gli occhi quando
          parlava delle sue opere liriche, Jamanto e soprattutto Mayerling.
 
 Le storie delle compositrici italiane sono tante e tutte affascinanti.
          E contrastate. Elsa Olivieri Sangiacomo, ad esempio, pur essendo
          rimasta orfana di padre giovanissima e in difficili condizioni
          economiche studia musica tenacemente, è una valente pianista e un
          ottima cantante. La carriera di pianista si interrompe a causa di una
          brutta tendinite. Da allora Elsa si dedica alla composizione e
          incontra il maestro Ottorino Respighi, molto più grande di lei,
          burbero, esigente e un po' orso.
 
 Eppure, leggendo le liriche da camera di Elsa, il misogino Ottorino si
          adopera perchè le pubblichi Ricordi. Ma l'amore che sfocerà nel
          matrimonio non lascerà spazio al talento di Elsa, che lentamente e
          dolorosamente smetterà di scrivere e sceglierà di affiancare il
          marito solo come interprete. In fondo Respighi, che pure credeva nelle
          sue qualità, non farà nulla per dissuaderla. Solo alla morte del
          compositore, nel 1929, Elsa riprende la penna e termina la Lucrezia
          del marito rimasta incompiuta. In seguito si cimenta con una
          grande opera che però non vedrà mai le scene.
 
 Nel secondo dopoguerra tutto cambia e spuntano nuovi nomi. Teresa
          Procaccini e Irma Ravinale, fra le altre, che diventano anche
          direttrici di conservatorio. E poi una singolare figura di musicista
          come Teresa Rampazzi, l'unica italiana che frequenta i corsi estivi di
          Darmstadt insieme a Bruno Maderna ed è la prima a dedicarsi alla
          sperimentazione elettronica. A lei dedicano brani Camillo Togni e
          Franco Donatoni. Ed è lei che aiuta John Cage durante un happening
          a fracassare giù per le scale un pianoforte a coda. Insieme ai
          suoi allievi del conservatorio di Padova inizia a collaborare con
          l'Università della stessa città da cui nascerà il Centro di
          Sonologia Computazionale, uno dei centri di ricerca musicale più
          importanti d'Italia.
 
 Da allora sono passati alcuni anni. Ora le compositrici italiane sono
          tante: insieme a Giovanna Marini si possono ricordare Ada Gentile,
          Sonia Bo, Elisabetta Brusa, solo per fare alcuni nomi. Ma se progetti
          come Novecentodonna si dimenticano di dare conto di quanto si fa in
          musica al femminile vuol dire che la strada da fare è ancora lunga.
 
 
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