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“Io ho avuto una grande fortuna: ho cominciato a recitare da
ragazzina, a tredici anni, nell’epoca in cui si faceva il teatro in
televisione, con tanti attori straordinari, come Lauro Gazzolo, Sergio
Tofano, Lilla Brignone, Rina Morelli, Tino Carraro, Gianni Santuccio,
Elsa Merlini, Andreina Pagnani. Dall'incontro con loro è dipesa la
mia particolare concezione di questa professione: per me sono quelli i
veri attori, per cui se io nella vita non riuscirò a somigliare
nemmeno lontanamente a loro dirò di non aver mai fatto l’attrice”.
Micaela Esdra è un’artista e una persona libera e assoluta (“sono
dell’Acquario”) con una visione nobile e aristocratica della
professione dell’attore. Negli Anni Sessanta e Settanta le sue
interpretazioni a teatro con Strehler, negli sceneggiati televisivi,
al cinema in commedie brillanti, musicali o in quegli horror movie che
oggi sono un cult per gli appassionati del genere, hanno ammaliato
tutti. Oggi il suo volto non è conosciutissimo dalle giovani
generazioni che frequentano poco il teatro, ma anche loro conoscono la
sua voce, perché Micaela Esdra si divide tra il doppiaggio delle
attrici straniere come Kim Basinger (in L.A. Confidential, per
esempio), Juliette Binoche e Winona Ryder e il teatro di prosa, quello
serio, impegnato.

Premio Flaiano come miglior interprete femminile nel 1995, negli
ultimi anni, diretta da Walter Pagliaro, la Esdra ha interpretato Elettra
e Antigone di Sofocle, Medea di Seneca, Casa di
bambola di Ibsen e Vestire gli ignudi di Pirandello. A
marzo tornerà in teatro con una lettura di C’est tout, un
testo postumo di Marguerite Duras, alla Villa di Roma.
Abbiamo chiesto a quest’attrice a cavallo tra due millenni di
ricordare le grandi attrici del Novecento. Lei ci ha dato una
visione del teatro come impegno, sacrificio e dedizione - un messaggio
che, nell'era del Grande fratello, sembrerà anacronistico.
Secondo lei, quali sono le attrici più importanti del Novecento?
Quando si parla di attori e attrici del Novecento viene subito in
mente il nome di Eleonora Duse, per la cui recitazione ci fidiamo del
giudizio tramandatoci da altri. Ma sarà stata davvero grandiosa?. Per
me le attrici più strepitose sono state Sarah Ferrati, Lilla Brignone
e Rina Morelli. Ho avuto un rapporto personale molto bello soprattutto
con Rina Morelli che mi aveva preso a ben volere.
Che ricordo ha di lei?
Era una donna molto schiva, che aveva sofferto, una donna priva di
cultura, che viveva esclusivamente per il teatro. Si era affezionata a
me anche perché ero timida, ero piena di paure, forse rivedeva in me
se stessa da ragazza. Mi rincresce però di non avere avuto la
possibilità di frequentarla quando anch’io ero una donna adulta
perché purtroppo è morta giovane, nel 1976, e quando avevamo
lavorato insieme il mio rapporto con lei era di grande soggezione,
tanto da non avere il coraggio neanche di parlare in sua presenza.
Magari oggi, se lei fosse ancora viva, avremmo potuto avere un
rapporto più intimo.

E tra le attrici viventi quali bisogna ricordare?
In Italia la vera grande attrice, quella che ha una ricchezza di
mezzi tecnici davvero straordinaria è Giulia Lazzarini. Mi sento di
aggiungere che un’attrice così sensibile, che ha avuto la fortuna
di incontrare Giorgio Strehler in un momento così favorevole della
sua carriera e di lavorare con lui, secondo me ha avuto un attimo di
sbandamento quando Strehler è venuto a mancare, perché il rapporto
regista-attore è molto delicato e quando ci si abitua a un sostegno
così poderoso come quello di Giorgio, nel momento in cui si resta
soli, si può sbandare.
Pensando all’Europa invece?
In Germania ci sono attrici straordinarie: Edith Clever, che oggi ha
60 anni, è pressocché unica. Ha fondato insieme a Bruno Ganz e a
Peter Stein la Schaubüne di Berlino e il pubblico più
commerciale la ricorda nel film La Marchesa Von O. Un’attrice
di una bellezza vera, limpida che rifulge in scena. Come Laurence
Olivier, la Clever è baciata da Dio o dalla natura, perché ha l’intelligenza,
il fascino, il carisma, i mezzi tecnici, la cultura, la bellezza. Mi
piace ricordare anche Irene Papas, altra attrice straordinaria, che
sarebbe brava anche se prendesse l’elenco del telefono e lo
leggesse.
Ritornando alle interpreti italiane del Novecento, ha mai notato
delle costanti, delle somiglianze tecniche fra loro?
Quasi tutte hanno studiato dizione, cosa che oggi non si fa spesso,
alcune si sono diplomate a varie scuole di recitazione, che però
secondo me servono più per farsi una cultura. Secondo me il mestiere
si impara facendo teatro, l'esperienza è l’unico mezzo che ti dà
la possibilità di migliorare tecnicamente nella ricchezza e nelle
possibilità dei mezzi, cosa che il cinema e la televisione non danno.
Ma i veri elementi in comune di queste attrici così come di tutti gli
attori di quella generazione sono l’istinto e la dedizione assoluta
al teatro. In Italia c’è una bellissima tradizione di attori
istintuali, senza cultura ma di grande fantasia. A 15 anni feci in tv
con Salvo Randone “Creatura umana”, un testo di Calvino sulla
coscienza di un medico che deve mettere da parte ogni opinione
politica. Salvo Randone era qualcosa di indescrivibile, un genio
assoluto, uno di quelli che è rimasto sulle scene fino alla fine dei
suoi giorni, quando cieco lo accompagnavano sul palcoscenico perché
recitasse nel suo modo epico, facendo musica, e il pubblico alla fine
lo applaudiva per 25 minuti ininterrotti, perché aveva assistito a
una specie di miracolo. Una cosa da brivido.

Salvo Randone aveva un’attrice preferita?
Lui adorava sua moglie, Neda Naldi, diceva che un uomo doveva
sempre offrire un mazzo di rose alla sua donna, e tutto quello che
faceva voleva farlo con la moglie, ma lei non era un’attrice che ha
lasciato un suo segno specifico.
Nella sua memoria c’è una prova teatrale indimenticabile di
qualche attrice?
La rappresentazione che rimane nei miei ricordi con più
intensità è Il Giardino dei ciliegi diretto da Giorgio
Strehler nel 1973. In questo caso non ho un ricordo positivo solo
delle attrici ma di tutti i componenti della compagnia: Valentina
Cortese, Gianni Santuccio, Franco Graziosi, Giulia Lazzarini, Monica
Guerritore. Fu un gioiello assoluto, un merletto di bravura.
In questi ultimi anni invece ho visto una bellissima interpretazione
di un’attrice che non sempre è grande ma che in quella circostanza
lo è stata, Piera degli Esposti in Madre Coraggio di Brecht:
un’interpretazione fantastica e intensa di un testo che Brecht aveva
scritto per la moglie, Helene Weigel.
Le attrici si immedesimano in un copione in modo diverso dagli
attori?
Non credo affatto che ci siano differenze per quanto riguarda la forma
artistica, esiste un modo personale di avvicinarsi a un testo che
dipende dalla propria sensibilità e non dall’essere donna o uomo.
E invece c’è qualcosa che contraddistingue le attrici rispetto
alle altre donne?
Sì. Perché il teatro è un grande veicolo di libertà del
cervello, e questo è il motivo per cui è tanto combattuto e odiato.
Il teatro apre il cervello, fa diventare più intelligenti, fa capire
la verità, i grandi temi della vita, è una scuola sia per chi lo fa
che per chi lo vede. Anche per questo il teatro non può che essere l’ascolto
e la recitazione di cose scritte da grandi geni, perché in questo
modo c’è la possibilità di capire il grande pensiero dell’uomo,
la tragedia della vita umana.
Andando a vedere una commediola si porta a casa poco; invece far
assistere a Casa di Bambola di Ibsen a una bambina diventa
qualcosa di determinante, perché il pensiero di quella bambina poi va
verso una direzione che magari non è gradita a molti. Ecco perché il
teatro è importante ed ecco perché non viene più fatto vedere e
sentire. La nostra società è in decadenza perché i grandi veicoli
culturali non fanno teatro, non lo vogliono fare. In tv i nostri
bambini crescono davanti al Grande Fratello, non a Ibsen, e poi
se ne raccolgono i risultati.

Invece Micaela Esdra da piccola è cresciuta con Casa di bambola.
Sì, per caso c’era il televisore acceso, mentre stavo aiutando mia
mamma a portare i piatti. Mi ricordo nettamente di essere stata
calamitata davanti a quello schermo, e di aver visto tutto il testo
recitato mirabilmente. Sono sicura di aver capito esattamente il
significato, il discorso sull’uomo, sul potere, sulla religione, sul
femminismo, su che cosa significa avere un’identità o meno. Ho
capito talmente tutto che quando da adulta ho rifatto questo ruolo per
una riedizione televisiva nell’ultimo grande ciclo di prosa di Rai
Uno, nel 1983, non ho avuto neppure bisogno di studiarlo: lo sapevo
perfettamente perché l’avevo visto in tv a nove anni e mi ricordavo
perfettamente i significati del testo.
Dalle interpreti ai personaggi interpretati, c’è un personaggio
femminile scritto e pensato nel Novecento che la emoziona in modo
particolare?
Proprio la Nora di Casa di Bambola. Sì, è stato scritto alla
fine dell’Ottocento ma credo sia uno dei personaggi femminili più
emozionanti e più attuali. Ho interpretato Nora anche l’anno scorso
per la regia di Walter Pagliaro e la sento sempre molto vicina. Una
donna che continua a vivere per cercare di far contento questo marito
e che alla fine, dopo una tarantella folle e ossessionata, che Walter
ha messo in scena, mentre nel testo di Ibsen è fuori scena, intuisce
di essere stata un burattino, di aver sbagliato tutto, e alla fine
lascia quei figli che in realtà non sono suoi perché lei prima non
aveva un’identità. Un testo che dovrebbe essere studiato nelle
scuole da tutte le bambine; oggi va di moda dire che è superato, ma
basta leggerlo per capire che non è vero.
Per quanto riguarda i testi novecenteschi, secondo me i personaggi
femminili più intensi creati e pensati per il teatro sono sempre
quelli classici, di Pirandello, D’Annunzio, quelli del primo
cinquantennio del secolo. Eduardo de Filippo al contrario è stato un
bravo scrittore, ma la sua grandezza strepitosa è stata la bravura d’attore.
Non mi sentirei dunque di mettere il personaggio di Filumena Marturana
nel panorama delle protagoniste più fascinose a teatro.
Le attrici sanno fingere anche nella vita?
No, credo di no. Io credo che gli attori, quelli bravi, veri e
seri che hanno capito il senso della loro professione, recitino solo
quando stanno in scena, perché è lì che bisogna recitare. Nella
vita penso che abbiano un’interiorità talmente nascosta e segreta,
che trovano il coraggio di portarla fuori solo in palcoscenico. Trovo
che un attore vero sia una persona schiva e timida, piena di pudore.
Il luogo comune dell’attore spigliato è un’idiozia.
E come prevede che sarà l’attrice del Duemila?
Il Duemila si presenta brutto per il teatro, oggi il personaggio della
donna normale è penalizzato a vantaggio di quello della prostituta o
della madre, siamo ritornate indietro, ma di tutto questo sono
responsabili anche le donne. Non vedo un’attrice di teatro per il
Duemila, ormai le ragazze sono molto più allettate a partecipare alla
selezione del Grande Fratello che ad andare a fare un’audizione
da un regista, dove saranno giudicate e dovranno faticare anche di
più per avere un ruolo.
La professione dell’attore è più nobile e più bella di quanto non
sia considerata adesso. In Inghilterra, in Francia, in Germania, in
questo momento ci si dedica di più al teatro, nel nostro Paese invece
purtroppo la situazione si sta facendo molto preoccupante e temo che
il teatro di prosa, cioè l’esecuzione di attori in grado di reggere
uno spettacolo di due ore da soli, con la sola arte della propria
recitazione, andrà scomparendo.
Ma che cosa significa fare l’attore per lei?
Fare l’attore significa recitare le parole scritte da grandi
geni. Bisogna cimentarsi con i concetti e i grandi temi dell’animo e
del sentimento umano raccontati dai classici del teatro, non ci si
può misurare solo coi film. Il teatro è poi un fatto di integrità e
attività fisica, di forza, di saldo sistema nervoso, di educazione al
respiro. Cioè ha dei requisiti tecnici che negli anni si perdono
anche abbastanza presto perché fare teatro significa avere tempi e
ritmi logoranti per il sistema nervoso, è molto impegnativo
fisicamente e mentalmente.
Poi, a differenza del cantante o della ballerina, che svolgono e
sviluppano la propria professione sulla base di certe regole tecniche
e su quelle regole tecniche introducono la loro personalità, la
professione dell’attrice e dell’attore è impalpabile perché
corre di pari passo col proprio essere persona. Questo vuol dire che
si può essere un grande attore in certi anni della vita e poi magari
si torna indietro e si peggiora, e magari poi si fanno dei passi da
gigante perché si attraversa un momento fertile del cuore e del
cervello.
Ritorniamo alle attrici: al cinema c’è un’interprete con
grandi potenzialità teatrali che le sembra vivere un momento
particolarmente fertile?
Grazie al mio lavoro di doppiatrice ho la possibilità di ascoltare le
voci delle varie attrici che doppio e credo che Winona Ryder abbia
delle grandi potenzialità teatrali. Ha occhi scuri pieni di forza che
affascinano. E’ un’attrice che studia, si prepara alla parte con
il virtuosismo che è proprio dell’attore di teatro. La vedo simile
a Bette Davis, con lo stesso tipo di personalità e carisma. E come
Bette Davis ha spesso il coraggio di imbruttirsi per interpretare un
ruolo che lo richiede. Purtroppo non le fanno interpretare spesso film
che mostrano la sua vera grandezza.
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